I laboratori scolastici in tempo di Covid

I laboratori scolastici in tempo di Covid

di Rita Manzara 

Dal 5 novembre 2020 (e fino a data da destinarsi) per gli studenti delle scuole secondarie di II grado sono davvero poche le occasioni di incontrare “dal vivo” i propri docenti e compagni: una di queste è l’attività laboratoriale.

Quest’ultima già in precedenza era stata oggetto di attenzione ministeriale con l’invito rivolto ai docenti e ai Dirigenti scolastici a riservare uno spazio, nella programmazione curricolare, alle attività didattiche comportanti l’uso di  laboratori.

Nel Documento per la pianificazione delle attività scolastiche, educative e formative veniva addirittura sollecitata la collocazione di tali attività “nella prima parte dell’anno scolastico, anche in forma di aggregazione per ambiti disciplinari”.

Tale orientamento nasceva dalla considerazione delle particolari condizioni di apprendimento degli studenti nel corso del precedente anno scolastico ed alla necessità di consolidare le competenze sul piano operativo (“saper fare”), essendo per lo più mancate le situazioni “in concreto” in cui applicare (anche in un contesto interdisciplinare) le conoscenze teoriche acquisite.

La recente nota del MIUR n.1990 del 5 novembre 2020 (emanata a seguito del DPCM del 3 novembre 2020) precisa che per “laboratorio” si intende quello compreso nei percorsi previsti dai piani degli studi e dai quadri orari e ricondotto alle materie di indirizzo, “elemento dirimente sulla base del quale moltissimi studenti hanno scelto di frequentare gli specifici percorsi”

Sembra superfluo sottolineare che la definizione di “laboratorio” applicabile alla realtà che vive in questi giorni la scuola secondaria di II grado è senz’altro più circostanziata rispetto a quella a suo tempo fornita dalle “Indicazioni nazionali” per la scuola primaria e secondaria I grado. C’è, comunque, una base comune nella descrizione di tale esperienza didattica nel momento in cui si parla di “luogo privilegiato in cui si realizza una situazione d’apprendimento che coniuga conoscenze e abilità su compiti significativi per gli alunni, possibilmente in una dimensione operativa ed applicativa che li metta in condizione di dovere e poter utilizzare il proprio sapere in modo competente”.

E’ del tutto evidente che la mancata frequenza “in loco” di attività come quelle previste nei percorsi professionali, oppure legate alla formazione artistica (design, grafica, ecc), pregiudica, di fatto, l’acquisizione di competenze basilari da certificare alla fine di un percorso intrapreso per acquisire una qualifica.

Tuttavia, la didattica in presenza sembra inevitabile solo nel caso che il laboratorio,  oltre ad essere caratterizzante, non possa essere diversamente realizzato facendo ricorso, ad esempio, alle diverse strumentazioni e potenzialità offerte dall’informatica.

Ai Dirigenti scolastici rimane comunque l’onere di organizzare responsabilmente le predette attività, avendo cura in primo luogo di garantire le indispensabili condizioni igieniche negli ambienti da utilizzare  (all’interno o all’esterno degli edifici scolastici come, ad esempio, nel caso di istituti agrari).

Va comunque rilevato che, nell’attuale contingenza, agli apprendimenti tecnico pratici va collegato un importante aspetto trasversale a tutti i laboratori, che si collega all’educazione civica e si concretizza in azioni di pratica comune da parte degli allievi (come il riassetto della postazione di lavoro) nell’ottica della condivisione delle misure di tutela del benessere comune. 

Lettera a Mimmo

Lettera a Mimmo

di Maurizio Tiriticco

Grande Mimmo! Alias, il DS Domenico Ciccone! Ottimo il tuo ultimo pezzo su edscuola! Interessante anche il richiamo all’articolo 4 del dpr 275/99 – in effetti largamente ignorato dai più – per quanto concerne le indicazioni e le opportunità innovative che offre alle nostre ISA, Istituzioni Scolastiche Autonome. E, di conseguenza, a DS e docenti. Mi piace riportare integralmente le forme di “flessibilità” che le scuole possono – o potrebbero – adottare: a) articolazione modulare del monte ore di ciascuna disciplina (ma, dico io, che cos’è un modulo? Boh!); b) definizione di unità di insegnamento non coincidenti con l’unità oraria della lezione; c) attivazione di percorsi didattici individualizzati; d) articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa classe o da diverse classi o da diversi anni di corso; e) aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari

Te le ho ricordate tutte, più per il lettore, perché tu le conosci benissimo! Ma voglio anche ricordarti/mi che quell’articolato – in effetti era un dpr, non una legge) non nacque dal caso o da strane velleità riformatrici, bensì da una legge delega, per l’esattezza, dalla Legge 15 marzo 1997, n. 59, che così recita: “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”. Per maggiore chiarezza, è opportuno ricordare che a quella legge si era giunti dopo un lungo periodo di riflessioni e di dibattiti, che riguardavano la possibilità di “andare incontro” a processi di democratizzazione dell’intero apparato statale, della funzione pubblica e della erogazione dei pubblici servizi, nonché, ovviamente della erogazione del servizio scolastico.

Insomma, non sto a ricordarti che, con l’avvio del nuovo secolo, si intendeva dar vita anche ad un Paese più libero ed aperto, e responsabile, in materia di servizi pubblici nonché di scuola, servizio pubblico per e di eccellenza! Qualche anno prima, esattamente nell’ottobre del 1995, nel corso del dibattito che precedette il varo delle “autonomie” – il discorso, in effetti, non riguardava solo la scuola – io e l‘amico Sergio Auriemma scrivemmo per i tipi della Tecnodid un aureo libretto, “Carta dei Servizi e Progetto d’Istituto”. Si trattava in effetti di un guida per – copio dalla copertina – organizzare le attività preliminari; rilevare i dati-base necessari; individuare i fattori di qualità; definire standard e indicatori; formulare i documenti; attivare il monitoraggio; valutare il servizio scolastico erogato; curare la revisione periodica.

Insomma, in quegli anni di fine secolo, il fermento per costruire un apparato statale diverso – e quindi anche una diversa organizzazione scolastica – più attento ai bisogni reali delle persone che alla corrispondenza con le la “norma vigente” era molto forte. Il fatto è che l’apparato statale obbediva forse più a quella dello Stato sabaudo di sempre – per non dire nulla di quello fascista – che non allo Stato della nostra Repubblica, la cui Carta costituzionale nei suoi enunciati ribalta enunciati e procedure dello Stato precedente. E fu in questo clima di novità e di rinnovamento che si giunse al varo di quelle “Modifiche al Titolo Quinto della Parte Seconda della Costituzione”, concernente le Regioni, le Provincie e i Comuni, di cui alla Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. E, come ricorderai, la legge non solo fu approvata dal Parlamento l’8 marzo del 2001, ma anche dagli Italiani che, con il referendum del 7 ottobre 2001, la confermarono con il 64,4% di Si’. Comunque, non intendo dire nulla circa l’eterna querelle riguardante la corretta lettura/interpretazione del “riscritto” articolo 117 della Costituzione, che a tutt’oggi crea spesso grossi grattacapi per quanto concerne i rapporti tra Stato e Regioni.

Ma qui mi fermo! E ti ringrazio del prezzzioso contributo! E grazie anche per esserti ricordato di quelle tre C (Classe, Cattedra, Campanella), di cui parlo e scrivo da sempre – e da sempre inascoltato e non letto – la cui rigidità di fatto fa a pugni con il dettato del citato articolo 4 del dpr 275/99 e delle quali da sempre parlo e scrivo! Repetita iuvant. E grazie per avere individuato una quarta C! Ecco quanto scrivi al proposito: “Dal Ministero non mancano sollecitazioni a mettere a frutto le disposizioni del Regolamento 275/99, in particolare gli articoli 4 e 5, che consentirebbero di superare parecchie aporie, finite peraltro per diventare voluminose falle concettuali, in ordine all’organizzazione della scuola in tempo di pandemia e di emergenza. A ben vedere, però, accanto al richiamo apparente, rispunta concretamente la quarta C, quella più pericolosa: la circolare!”

La CIRCOLARE! La quarta C che – se non da sempre – assai spesso manda a gambe all’aria quelle tre C che dirigenti scolastici bravi come te con tanta fatica realizzano! Perché in verità il MI (oggi non è più MIUR) è sempre poco attento alle fatiche dei DS! Soprattutto di quelli come te, che tentano di innovare, ogni giorno! E con quotidiana fatica! Un forte abbraccio! Maurizio, alias Mastro Ticchio.

Eduscopio è uno strumento classista

Eduscopio è uno strumento classista che non valorizza il vero senso del lavoro nella scuola

Roma, 12 novembre – La Fondazione Giovanni Agnelli ha annunciato l’aggiornamento di Eduscopio, lo strumento che nelle intenzioni del presidente Andrea Gavosto dovrebbe sostenere gli studenti e le famiglie nella scelta della scuola secondaria di secondo grado, perché permette di “comparare le scuole dell’indirizzo di studio che interessa nell’area dove risiede”.

La logica alla base di Eduscopio è la netta definizione del percorso scolastico in base alla sua finalizzazione: per questo motivo si prevede che chi ha intenzione di entrare subito nel mondo del lavoro si deve necessariamente indirizzare verso istituti tecnici e professionali, mentre chi intende proseguire gli studi all’Università si rivolge ai licei ed agli istituti tecnici.

Di fondo persiste una logica classista di età gentiliana, che classifica le scuole sulle richieste del mondo del lavoro su indicatori del tutto aleatori e parziali (percentuale di contratti degli studenti diplomati, percentuale di neet, media del voto di uscita, percentuale di successo nel primo e nel secondo anno di università …), eliminando di fatto il valore sociale, educativo e culturale dell’azione delle istituzioni scolastiche rimpiazzato da indicazioni di “borsa” e logiche di mercato.

Riteniamo che il Ministero dell’Istruzione debba intervenire bloccando queste “operazioni di mercato” che non aiutano a scegliere i percorsi scolastici per la validità culturale che possono avere, bensì instaurano una competizione fra alunni, docenti, scuole che non solo si presta alla strumentalizzazione dei media (tutti i giornali oggi parlano di “classifiche” e “pagelle”), ma fornisce un disservizio alla comunità educante, impegnata alla costruzione di persone e non di numeri.

Auspichiamo che il Ministero apra al più presto con dirigenti, docenti, studenti e con le organizzazioni sindacali una seria interlocuzione sul sistema nazionale di valutazione e sul ruolo dell’INVALSI.

Istituti tecnici garanzia di lavoro: occupati al 49%

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno e Claudio Tucci

A oggi ancora non si sa come proseguirà l’anno scolastico 2020/21. Se in presenza, come ha auspicato ieri la ministra Lucia Azzolina sottolineando che nelle scuole ci sono solo il 3,55 dei focolai, o a distanza, come toccherà ad esempio ai ragazzi di Catanzaro che hanno visto il sindaco chiudere anche elementari e medie fino al 28 novembre. Ma per 1,5 milioni di studenti, e per le loro famiglie, è già tempo di pensare al 2021/22. E a coloro che dovranno scegliere la futura scuola superiore, in un momento così difficile a causa dell’emergenza sanitaria, e non si accontentano del “passa parola”, si rivolge la Fondazione Agnelli, che questa mattina pubblica online le nuove classifiche di Eduscopio sugli istituti che meglio preparano agli studi universitari o al lavoro dopo il diploma.

L’edizione 2020 conferma i segnali emersi lo scorso anno. A Milano, e in parte a Torino e a Palermo, primeggiano i licei “paritari”. A Roma e Bari invece il podio resta saldamente in mano agli istituti statali. I tecnici rimangono veri e propri passepartout per il lavoro, con l’indice di occupazione (percentuale di occupati con un impiego di almeno 6 mesi entro i primi due anni dal diploma) che sale ancora: dal 48 al 49,5 per cento. Soprattutto al Centro-Nord, ma segnali incoraggianti si registrano anche al Sud.

Il portale Eduscopio

È dal 2014 che la Fondazione Agnelli supporta le famiglie nella scelta delle superiori più adatte ai loro figli. Il gruppo di lavoro coordinato da Martino Bernardi ha analizzato i dati di circa 1.275.000 diplomati italiani in tre anni scolastici (2014/15, 2015/16, 2016/17) e 7.400 indirizzi di studio nelle scuole secondarie di secondo grado statali e paritarie. Due i criteri utilizzati dal portale Eduscopio (www.eduscopio.it): il successo negli studi universitari e, limitatamente agli istituti tecnici e professionali, la condizione occupazionale.

Nel misurare le performance delle scuole nel preparare all’università sono prese in considerazione solo quelle che mandano in facoltà almeno un diplomato su tre (per un totale minimo di 21 diplomati nell’arco di un triennio) e che non si trovano in Valle d’Aosta o nella provincia di Bolzano. In totale sono stati monitorati più di 700mila diplomati al loro primo anno da immatricolati (negli anni accademici 2015/16, 2016/17, 2017/18). I risultati sono poi sintettizati nell’indice «Fga», che pesa al 50% la velocità nel percorso di studi (percentuale di crediti universitari ottenuti) e per la restante metà la qualità negli apprendimenti universitari (media dei voti agli esami).

Per gli esiti occupazionali, invece, Eduscopio analizza i due maxi-indirizzi degli istituti tecnici (tecnico economico e tecnico tecnologico) e altrettanti dei professionali (servizi e industria e artigianato). Misurando anche la coerenza tra studi fatti e impiego svolto. Complessivamente, sono stati analizzati gli esiti lavorativi di più di 550mila diplomati.

I primi della classe

Guardando alle grandi città, un primo dato che spicca è la crescita degli istituti paritari negli indirizzi liceali a Milano. Quest’anno sul podio dei licei classici milanesi salgono tre scuole paritarie (Sacro Cuore, Alexis Carrel, San Raffaele); e tra i primi 5 licei classici 4 sono paritari (il quarto è il Sant’Ambrogio). Lo scorso anno le paritarie si fermavano a tre su cinque. Altra curiosità a Palermo, qui il primo liceo classico è un istituto paritario, Centro Educativo Ignaziano, che ha scavalcato l’Umberto I, che guidava la classifica nel 2019. A Napoli sono paritari i primi due istituti tecnici, indirizzo economico, il Diderot a Casoria e il Modigliani. A Roma tornano i primeggiare le scuole statali: il miglior liceo scientifico si conferma l’Augusto Righi, seguito dal Camillo Cavour e dal Giovanni Battista Morgagni. I primi tre licei classici sono invece il Torquato Tasso, il Francesco Vivona e l’Ennio Quirino Visconti.

Ma sono alcuni dei dati contenuti all’interno di un portale che è stato finora visitato da 1,8 milioni di utenti unici, con 8,7 milioni di pagine consultate. Numeri che Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, commenta così: «Molte famiglie che hanno figli all’ultimo anno delle medie sono spaesate e possono avere maggiori difficoltà, durante l’emergenza sanitaria, a farsi un quadro chiaro in vista della scelta della scuola superiore. In questo, Eduscopio può essere d’aiuto».

Tempi stretti per le iscrizioni 2021: domande dal 4 al 22 gennaio

da Il Sole 24 Ore

di Eu.B. e Cl. T.

La scelta della scuola per l’anno prossimo si annuncia ancora più complicata del previsto. Non tanto per il perdurare della pandemia che rende il quadro generale ancora incerto, quanto per i tempi stretti che le famiglie rischiano di avere a disposizione per prendere la loro decisione.

La bozza di circolare ministeriale sulle iscrizioni all’anno scolastico 2021/22 – che è stata consegnata martedì alle organizzazioni sindacali e che verrà emanata a breve – riduce la procedura on line a soli 18 giorni: ferma restando la registrazione al portale www.istruzione.it/iscrizionionline/ a partire dalle ore 9 del 19 dicembre, l’inserimento delle domande potrà avvenire dalle ore 8 del 4 gennaio 2021 e fino alle ore 20 del 22 gennaio. Mentre sia l’anno scorso che quello prima la finestra era stata 7-31 gennaio.

I sei giorni in meno su cui genitori e ragazzi possono contare non è passata inosservata. Tant’è che le organizzazioni sindacali hanno già chiesto al ministero dell’Istruzione di rivederla. Con quali risultati lo scopriremo quando arriverà il testo definitivo. La ratio di accorciare i tempi – spiegano da viale Trastevere – serve a recuperare qualche giorno in vista dell’organizzazione del prossimo anno. Le iscrizioni dei ragazzi rappresentano infatti solo il primo step di un lungo percorso che, insieme alla validazione dei pensionamenti, passa poi per la formazione degli organici, la mobilità, le immissioni in ruolo e la nomina degli eventuali supplenti. Sperando di non bissare l’esperienza di quest’anno con numerosi posti che, causa pandemia, sono ancora scoperti a metà novembre.

Per il resto, la circolare ricalca le note degli anni precedenti. A cominciare dall’ambito di operatività della piattaforma web: va utilizzata solo per l’iscrizione alle classi prime di elementari, medie e superiori di un istituto statale (o paritario se ha optato per la procedura online) oppure di un corso di istruzione e formazione professionale, ma solo nelle regioni che hanno aderito. Alla scuola dell’infanzia invece si va avanti con la domanda cartacea. E lo stesso vale per le classi terze degli istituti tecnici e dei licei artistici.

Esattamente come gli anni scorsi ogni famiglia dovrà indicare oltre alla scuola prescelta anche due opzioni alternative e specificare se vuole avvalersi del tempo pieno alla primaria o di quello prolungato alla secondaria di primo grado. Una volta inoltrata la richiesta non resta che aspettare di ricevere, sempre online, la risposta. L’unica novità di rilievo riguarda la scelta dell’insegnamento alternativo alla religione cattolica che va comunicato tra il 31 maggio e il 30 giugno 2021.

A loro volta, gli istituti scolastici oltre ad aggiornare il piano dell’offerta formativa entro il 4 gennaio devono anche fissare il numero massimo di iscritti accoglibili – da parametrare sulla base degli spazi a disposizione e dei docenti in organico (eccetto i supplenti Covid) – e i criteri di priorità per l’accoglimento delle domande. La circolare ne indica due a titolo di esempio: la vicinanza da casa e gli impegni lavorativi dei genitori. Laddove non potevano e non possono rappresentare una corsia preferenziale l’ordine di invio della domanda né l’aver partecipato a un test preselettivo organizzato dall’istituzione scolastica.

Dalla scuola in ospedale un aiuto alla didattica a distanza

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Dall’esperienza con la scuola dei bambini in ospedale per gravi malattie, possono arrivare suggerimenti, un protocollo “collaudato”, da mettere a disposizione per una riflessione sulla didattica a distanza nel periodo di emergenza sanitaria. Ai bimbi di scuola primaria mancano le maestre, i compagni, ma il 62% apprezza la didattica a distanza e il 91% dice di aver appreso cose nuove e percentuali simili riguardano la scuola secondaria. C’è una certa fatica nel seguire le lezioni in didattica a distanza, anche se viene riconosciuta la spinta a una maggiore responsabilizzazione nell’organizzare lo studio e all’autonomia. Tra i suggerimenti per migliorare, la necessità di libri digitali per chi non li ha e migliori connessioni per pc e tablet. Tutto ciò emerge dalla presentazione del Report finale “Crescere senza distanza”, promosso da ministero della Salute, ministero dell’Istruzione e ‘Con i Bambini’ e realizzato da ‘Fondazione Zancan’.

Il progetto
L’iniziativa punta a contrastare la povertà educativa. Agli insegnanti della scuola in ospedale, ai genitori ai sanitari e ai ragazzi è stato chiesto cosa insegnano le esperienze dei giovani con patologie croniche sull’apprendimento a distanza. Le indicazioni raccolte sono state “messe alla prova” in 11 scuole. Per facilitare il confronto in remoto il suggerimento è trovare il ritmo giusto tra insegnare e imparare. I traguardi devono essere dimensionati sulle potenzialità di ogni ragazzo, come nello sport.

Gli obiettivi
«La scuola in ospedale – spiega la sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa- restituisce una dimensione di normalità.Offre forza e fiducia che si riuscirà a superare un momento di difficoltà, che oggi purtroppo si somma all’emergenza coronavirus. Lottare contro le disuguaglianze nell’accesso alla scuola significa ‘avvicinare tutti’, insegnanti, ragazzi e genitori».A sua volta, Anna Ascani evidenzia: «La scuola è relazione e socialità. Nostro dovere – aggiunge la viceministra all’Istruzione – è impegnarci affinché, soprattutto in contesti di fragilità o svantaggio, siano garantite, insieme all’accesso all’istruzione, anche le condizioni per crescere bene e insieme, nonostante il distanziamento».

Alunni con DSA, nel 2018/19 oltre 298mila: il 7,3% al Nord Ovest

da OrizzonteScuola

Di redazione

Il ministero dell’Istruzione pubblica i principali dati relativi agli alunni con DSA anno scolastico 2018/2019. Nell’anno scolastico 2018/2019 gli alunni frequentanti le scuole italiane a cui è stato diagnosticato un disturbo specifico dell’apprendimento sono 298.114, pari al 4,9% del totale degli alunni

Spicca tra i dati pubblicati la differenza importante territoriale. Si rileva infatti che le certificazioni di disturbi specifici di apprendimento sono rilasciate più frequentemente nelle regioni del Nord Ovest in cui la percentuale di alunni con DSA sul totale dei frequentanti è pari al 7,3%. Tale percentuale è superiore alla media nazionale anche per le regioni del Centro e del Nord Est, con quote di alunni con DSA sul totale alunni rispettivamente pari, nell’anno scolastico 2018/2019, al 5,7% e al 5,9%.

Nel dettaglio delle singole regioni, i valori più elevati si rintracciano in Liguria con il 7,7%, in Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta con il 7,6% e il 7,5% di alunni con disturbi specifici di apprendimento sul totale dei frequentanti; ma anche in Piemonte con il 7,3%, in Lombardia e in Emilia Romagna con il 7,2% e il 7%. Analogamente a quanto già registrato negli anni precedenti, le percentuali più contenute sono presenti in Calabria, Campania e Sicilia, rispettivamente con l’1,3%, l’1,5% e il 2%.

Per quanto riguarda le tipologie di disturbo, nell’anno scolastico 2018/2019, 187.693 alunni presentano dislessia, 87.859 disgrafia, 101.744 disortografia e 96.081 discalculia.

I dati del ministero

Crisanti: la scuola non traccia. Evitiamo la terza ondata

da La Tecnica della Scuola

Il virologo Andrea Crisanti, riferendosi alla tesi della ministra Azzolina secondo la quale “la scuola è un formidabile strumento di tracciamento”, ha dichiarato all’Agi:  “Non capisco come faccia a sostenere una cosa simile. La scuola è uno spazio, una comunità, una rete sociale in cui convergono numerose famiglie e relazioni e in cui si concentrano potenziali contagi. Se si testa tutta un’intera classe non si traccia nulla, quello che si ottiene è un’informazione sul livello di trasmissione in quella comunita’”. Non solo. La ministra ha parlato di test rapidi, ma questi danno spesso falsi negativi”.

E aggiunge pure: “La maggior parte dei bambini sono prevalentemente asintomatici. Quindi non vengono identificati. Come si può dire allora che la scuola è un ‘formidabile strumento di tracciamento’ sulla base di test non del tutto affidabili, che vanno eseguiti su una popolazione sintomatica e, invece, caratteristica di quella scolastica è che contrae il virus in modo asintomatico?”

Inoltre, sostiene sempre Crisanti, “la secondaria non andava riaperta con quelle condizioni. Nessuno sapeva se le misure adottate avrebbero funzionato. E’ stata fatta una scommessa con ingenti investimenti”. Avrebbero dovuto “implementare le misure che ritenevano poter funzionare e provarle in un distretto scolastico. O magari più distretti. Aprire ad esempio solo gli asili e le scuole elementari in una provincia, solo le medie e le superiori in un’altra e aprire le scuole di tutti i gradi in un’altra ancora. Poi, dopo un mese studiare i dati e decidere di conseguenza. Tutto il resto sono chiacchiere”.

“Con il sistema di tracciamento che è saltato del tutto, oggi si può fare poco. Si può però investire per evitare una terza ondata l’anno prossimo”.

“Una chiusura totale permetterebbe di abbassare di molto i casi, ma è inutile farla se poi riapriamo a Natale sotto la spinta di tutti. Sarebbe la strada maestra per una terza ondata”.

Contratto DDI: Cisl approva, per la Gilda orari massacranti per i docenti

da La Tecnica della Scuola

Sul contratto della didattica digitale integrata rimangono opinioni discordanti, specie tra i sindacati.

Il leader della Gilda degli insegnanti Rino Di Meglio, in un’assemblea online tenuta con oltre 5mila docenti, ha raccolto alcune criticità relative alla Dad.

Gli insegnanti evidenziano casi di scuole dove si definiscono unità orarie di 45 minuti per un massimo di 20 ore settimanali per le classi finali in DDI e invece se ne fanno 30. Molti dunque evidenziano il problema di una Dad infinita con orari massacranti per chi insegna in più classi.

Parere opposto quello della Cisl Scuola che attraverso la segretaria generale Maddalena Gissi approva il contratto sulla DDI: “È sempre accaduto, come prassi ordinaria, che l’Amministrazione trasmetta un contratto integrativo accompagnandolo con indicazioni applicative. Lo ha fatto anche in questa occasione, ma proprio per essersi discostata dai contenuti del CCNI abbiamo chiesto – e ottenuto – una nuova circolare, che servisse a puntualizzarne alcuni aspetti” afferma Gissi.

La segretaria Cisl appare soddisfatta dal tavolo negoziale, dal confronto e dal chiarimento di tutti gli aspetti necessari della circolare.

Nella primaria il voto numerico non esiste più, le scuole devono attrezzarsi per la valutazione intermedia

da La Tecnica della Scuola

 

C’è incertezza nelle scuole primarie a proposito delle modalità applicative della norma che ha definitivamente cancellato l’obbligo del voto numerico introducendo il giudizio descrittivo.
In diverse scuole si è in attesa di una circolare ministeriale esplicativa che dia il “via libera” alle nuove regole.
In altre scuole (così ci viene segnalato da più parti) i “tecnici” che gestiscono le piattaforme del registro elettronico sostengono che stanno aspettando un segnale dal Ministero per poter aggiornare il software.

Ma come stanno le cose?
Va detto che il 14 ottobre è entrata in vigore la legge 126 con la quale viene convertito in legge il decreto 104 del 14 agosto scorso.
Nell’articolo 32 della legge è stato inserito un comma che chiarisce in modo inequivocabile che a partire dall’anno scolastico in corso la valutazione periodica e finale va fatta con il giudizio descrittivo e non più con il voto numerico.
L’ultimo articolo della legge recita, come di consuetudine, che “è fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare”.
Al di là della ritualità, l’espressione sta ad indicare che la legge 126 – come tutte le leggi – deve essere applicata.
E, nel caso specifico della disposizione sul voto numerico, non c’è alcun bisogno di una norma ministeriale che “autorizzi” le scuole ad applicare quanto previsto dall’articolo 32 comma 6 sexies.

Detto questo non si comprende però per quale motivo il Ministero stia ritardando nel diramare una circolare applicativa che chiarisca (o meglio confermi) le modalità con cui procedere alla valutazione intermedia di fine quadrimestre (o di fine trimestre per le scuole che abbiano deciso di adottare una diversa ripartizione dell’anno scolastico). Forse una nota ministeriale servirebbe a ricordare a tecnici informatici, dirigenti e collegi dei docenti che ormai il voto numerico, nella scuola primaria, non esiste più.

Sciopero nazionale, proclamato per l’intera giornata del 25 novembre 2020

da La Tecnica della Scuola

La Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Funzione Pubblica – ha comunicato le seguenti azioni di sciopero generale nazionale proclamate per il giorno 25 novembre 2020:

  • USI – Unione Sindacale Italiana fondata nel 1912: “tutto il personale a tempo indeterminato e determinato, con contratti precari e atipici, per tutti i comparti, aree pubbliche (compresa la scuola) e le categorie del lavoro privato e cooperativo”. Allo sciopero ha aderito anche il sindacato di Comparto USI SURF (Scuola, Università ed Enti di ricerca);
  • USB – P.I. Scuola: “tutto il personale del comparto scuola docente, ata, educativo e dirigente a termpo determinato e indeterminato, delle scuole in Italia e all’estero”.

Poiché le azione di sciopero interessano il servizio pubblico essenziale “istruzione”, il diritto di sciopero va esercitato in osservanza delle regole e delle procedure fissate dalla normativa vigente e illustrate con nota 21965 dell’11 novembre 2020.

Le scuole, in particolare, dovranno adottare tutte le soluzioni a loro disponibili (es: pubblicazione su sito web della scuola, avvisi leggibili nei locali della scuola, ecc. ) in modo da garantire la più efficace ottemperanza degli obblighi previsti in materia di comunicazione. E sono inoltre tenute a rendere pubblico tempestivamente il numero dei lavoratori che hanno partecipato allo sciopero, la durata dello stesso e la misura delle trattenute effettuate per la relativa partecipazione.

Azzolina: ‘Continuerò a battermi per tenere le scuole aperte’

da Tuttoscuola

“Continuerò a battermi per tenere aperte le scuole. Credo che, compatibilmente con la situazione epidemiologica, dobbiamo provare a tenerle aperte e anche laddove ci fossero ulteriori limitazioni, più si limitano le attività fuori la scuola più si abbassa il rischio dentro la scuola. Guai a pensare che la scuola non sia attività produttiva e a sacrificarla: è la principessa delle attività produttive, senza formazione non abbiamo futuro”. Lo ha detto la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, nel corso di un’intervista a Radio Anch’io.

“Sono convinta” che con la chiusura delle scuole “rischiamo un disastro educativo, sociologico, formativo, psicologico. Un bambino che deve imparare a leggere e a scrivere, non può farlo da dietro uno schermo. Dobbiamo essere molto prudenti, i ragazzi hanno diritto ad un pezzo di normalità nella loro vita”, ha ggiunto la ministra.

Ai supplenti in DAD il pc lo presta la scuola in comodato d’uso

da Tuttoscuola

A integrazione e puntualizzazione della precedente nota per l’applicazione del contratto integrativo sulla DDI, d’intesa con i sindacati firmatari (Cisl-scuola, Flc-cgil e Anief), il ministero dell’istruzione ha emanato una nuova nota (prot. 2002 del 9.11.2020) con cui fornisce indicazioni sugli interventi del personale docente.

Dopo aver ricordato che la DDI rappresenta un dovere, definito per legge, sia per le istituzioni scolastiche sia per i lavoratori coinvolti, la nota ricorda che il nuovo CCNI prevede “in corrispondenza della sospensione delle attività didattiche in presenza a seguito dell’emergenza epidemiologica, il personale docente assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza, utilizzando strumenti informatici o tecnologici a disposizione, potendo anche disporre per l’acquisto di servizi di connettività delle risorse di cui alla Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente”.

Il riferimento al possibile utilizzo della carta del docente per acquisti della strumentazione di connessione è conseguente al fatto che i docenti, previa autorizzazione del capo d’istituto, possono operare in DDI da casa.

Ma tra i 362mila docenti attualmente in DAD sono molti, soprattutto nella secondaria, i supplenti annuali o fino al termine delle attività; una quantità che si può stimare (compresi i docenti di sostegno in deroga), intorno ad almeno 60-65mila unità.

Considerato che, a differenza di quelli di ruolo, non fruiscono della carta del docente “è opportuno – precisa la nota – che le istituzioni scolastiche attivino le verifiche delle effettive ed eventuali necessità motivate del personale docente a tempo determinato, da poter assolvere anche attraverso lo strumento del comodato d’uso”.

Viene al pettine il nodo irrisolto della carta del docente per gli insegnanti con contratto a tempo determinato, da tempo richiesto dai sindacati della scuola e che il Parlamento nei mesi scorsi stava quasi per approvare.

Riteniamo che sia giunto il momento per rimediare a quel vuoto normativo e, per una questione di equità tra gli insegnanti e di funzionalità per il servizio, prevedere, in qualche misura, in sede di conversione degli ultimi decreti legge l’estensione della fruizione della carta elettronica anche al personale docente con contratto a tempo determinato.

Alunno positivo a scuola: cosa fare?

da Tuttoscuola

La riapertura delle scuole continua a destare preoccupazioni e dubbi, soprattutto nel caso si verifichino casi accertati di Covid-19 tra gli alunni o tra gli operatori scolastici e/o insegnanti.

La ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha finora rassicurato che la scuola non ha avuto un impatto così significativo sul crescente aumento dei contagi generali registrati in Italia.

Tuttavia, bisogna considerare che ogni Regione ha poi adottato regolamenti diversi, per esempio sul certificato medico da presentare dopo l’assenza per malattia che non sia la Coivid-19.

Di seguito alcune indicazioni generali su come comportarsi in caso di alunno positivo a scuola.

Cosa fare in caso di alunno con temperatura superiore a 37,5° a scuola?

Nel caso in cui un alunno presenti un aumento della temperatura corporea al di sopra di 37,5° a scuola, sintomo compatibile con Covid-19, il personale scolastico deve intanto avvisare il Referente scolastico per Covid-19 che provvederà ad avvertire i genitori/tutore legale e contattare l’USCA di riferimento.

L’alunno va dotato di mascherina chirurgica e messo in una stanza dedicata, in cui resterà in compagnia di un adulto fino a quando non verrà affidato a un genitore/tutore legale.

Cosa succede se l’alunno risulta positivo al tampone?

Se, effettuato il test, l’alunno risulta positivo al Covid-19, il Dipartimento di Prevenzione della ASP notifica il caso e il Referente scolastico per Covid-19 avvia le operazioni di contact tracing, fornendo l’elenco dei compagni di classe e degli insegnanti con cui ha avuto contatti nelle 48 ore precedenti la manifestazione dei sintomi.

La struttura scolastica va sottoposta a sanificazione straordinaria nella sua area interessata.

Spetta al Dipartimento di Prevenzione decidere se i contatti stretti debbano essere posti in quarantena per 14 giorni a partire dall’ultimo contatto o in isolamento fiduciario per 10 giorni, a patto di fare poi un tampone molecolare o antigenico. È sempre il Dipartimento di Prevenzione a prescrivere eventuali tamponi in base al rischio di contagio.

È sempre il Dipartimento di Prevenzione che decide se prescrivere la chiusura di una scuola o di parte di essa.

Quando può rientrare a scuola l’alunno positivo?

Per rientrare a scuola bisognerà attendere la completa guarigione clinica, cioè la totale assenza di sintomi. Per conferma dell’avvenuta guarigione va effettuato un test molecolare dopo l’assenza di sintomi per almeno 3 giorni.

Il tempo che va, il tempo che viene

Il tempo che va, il tempo che viene, tra opportunità e coscienza

di Domenico Ciccone

La scuola dell’emergenza, della didattica digitale a distanza, quella delle aule virtuali, popolate da innumerevoli alunni beatamente eterei, nascosti dietro ad un nickname, con la telecamera spenta e la linea che va e viene, spesso a piacimento, ha provocato una nostalgia inguaribile per la scuola che c’era prima. Sì proprio quella che a stento utilizzava le LIM e rigettava sistematicamente ogni novità, sempre percepita come foriera di sciagure psicopedagogiche, generata da forze malefiche, da respingere senza discutere.

    Cattedra, classe e campanella, l’archetipo, quasi mitologico, della scuola che fu e che non se ne vuole andare, è diventato improvvisamente un paradigma desiderabile, perfino rimpianto e bramato, quotato al punto che, pur essendo l’emblema della staticità e della conservazione ad oltranza, riesce a condizionare la didattica “virtuale” a supporto digitale, suo esatto contrario, suo contraltare concettuale ed ideologico.

Le tre “C” , a ben riflettere, sono completamente dominate dalla categoria del “Tempo”, già analizzata da Aristotele nella sua complessità e legata, secondo il Maestro, in maniera deterministica alla numerazione[1] :

  • La cattedra si basa su un numero di ore assegnate alla relativa disciplina che non possono essere cambiate se non all’interno di rigidi parametri;
  • la classe è un insieme di studenti nati, più o meno, nello stesso anno e posti in quella posizione in base ad un numero che si riferisce al loro tempo di vita;
  • la campanella marca il tempo scolastico, fatto di ore in numerazione ordinale che si scandiscono, senza contemplare alcuna differenza. Un certo numero di suoni di campanella corrisponde al quadro orario, alla scansione del periodo didattico stabilito dal collegio per le valutazioni periodiche e finali e alla conclusione parziale o totale di un percorso di studio che conduce al conseguimento di un  titolo riconosciuto.

Siccome nella scuola si formano le coscienze, non si dovrebbero contare solo le ore poiché, per lo scopo, risultano esercizio inutile, appare molto illuminante la concezione di Henry Bergson che distingueva, in maniera dirimente, tra l’idea positivista di tempo “scientifico”, omogeneo e reversibile, quantitativo e calcolabile, che si limita a riprodurre l’idea dello spazio geometrico, e l’idea di tempo come “durata”. La durata reale è la singola coscienza per la quale il tempo è inesteso e non divisibile, qualitativo ed eterogeneo, non misurabile ed irreversibile.

Probabilmente il rifiuto del tempo spazializzato, come riproduzione dello spazio geometrico, di Bergson[2], è stata la vera, poderosa, profezia lanciata al futuro, dal mondo culturale e accademico del XIX secolo, che percepiva pienamente la terribile crisi d’identità che, nel tempo a venire, avrebbe colto l’umanità.

Il tempo degli schemi ottocenteschi ancora desiderati.

La scuola, nella sua evoluzione storica, non ha colto queste sollecitazioni se non in maniera marginale. Leggere il libro “Cuore” con l’occhio disincantato dell’esperto in psicopedagogia e didattica, rivela un mondo (classe/aula/tempo) sostanzialmente identico alla tuttora gettonatissima scuola “tradizionale” in presenza, che tanto ci manca. Quaderni, lavagna, penna, matita, spiegazione, interrogazione e valutazione, tutto scandito dal tempo, per usare l’uno o l’altro strumento, per svolgere l’uno o l’altro adempimento, per realizzare un perfetto esempio di “modello organizzato”, nel quale le coscienze difficilmente trovano il terreno per crescere ed abituarsi al mondo.

L’evoluzione e lo sviluppo della didattica, della metodologia attiva, dell’apprendimento come processo partecipato, che, a partire dall’attivismo pedagogico, ha attraversato l’intera scuola contemporanea, ha dovuto sempre fornire ampie giustificazioni pedagogiche, sociali, psicologiche e culturali per affermare qualsiasi cambiamento nelle dinamiche di insegnamento – apprendimento e relazione. Ha dovuto superare scetticismi, contrarietà e scarsa propensione all’applicazione delle tante ed interessanti novità, sebbene tutte validate dal metodo scientifico e rivolte alla costruzione delle coscienze.

Di contro, la scuola “tradizionale”, che riscuote ancora consenso e approvazione, si attesta quasi del tutto sulla categoria del tempo, non poggia su di un substrato scientifico consolidato, non rimanda quasi mai alle teorie dell’apprendimento, non si adegua alle teorie dello sviluppo, che mostrano differenti livelli di evoluzione personale quasi mai legati all’età cronologica dello studente. In questo modo, pur risultando fortemente condizionata dalla politica di turno, che se ne appropria colpevolmente, condizionando le idee di scuola e di educazione, rifiuta completamente le evidenze scientifiche, ne contesta la validità in maniera arbitraria ed evidenzia i propri limiti, sia nei risultati sia nella funzione che espleta a livello di mandato istituzionale.

Il tempo dell’Autonomia e delle relative geometrie.

La situazione di aperta contraddizione si riflette, in maniera speculare, nella didattica digitale integrata, modello di genesi ministeriale che, proprio in base alla sua origine sarebbe, di per sé, inadeguato alla adozione nelle singole scuole.  Benché sia stato emanato sotto forma di linee guida e rimandi alla potestà regolamentare delle istituzioni scolastiche autonome, non fa altro che rispondere alla folle corsa verso il tempo, il tempo della scuola che non riconosce se stessa quando è costretta a rinnegare le sue certezze.

L’autonomia che se ne va, ma poi  ritorna! Il ritorno della quarta “C”.

L’autonomia della scuola, a suo tempo creata e voluta per rendere efficace la sua azione di promozione culturale, educativa e sociale sui territori, finisce ormai inspiegabilmente per scoprire il fianco ad ogni possibile attacco.

Dal Ministero non mancano sollecitazioni a mettere a frutto le disposizioni del Regolamento 275/99, in particolare gli articoli 4 e 5, che consentirebbero di superare parecchie aporie, finite peraltro per diventare voluminose falle concettuali, in ordine all’organizzazione della scuola in tempo di pandemia e di emergenza. A ben vedere, però, accanto al richiamo apparente, rispunta concretamente la quarta “C”, quella più pericolosa: la circolare!

Come possono le scuole rivendicare le proprie prerogative e le proprie esclusive competenze reclamando il contrario? La frenesia, ormai incontenibile, di chiedere e ottenere chiarimenti riporta la scuola a più venti anni indietro quando il ministero, nel 1997, arrivò ad emanare 941 circolari, con decisioni uguali per tutti “prese dall’alto”. Se è questo che vogliamo siamo sulla strada giusta. Strada peraltro segnata dall’”effetto fisarmonica” al quale siamo stati abituati in questi due decenni di autonomia imperfetta, data e tolta a comando, proprio come il mantice dello strumento.

Il tempo ed il numero, il tempo e lo spazio.

Intanto, grazie alla nozione di tempo spazializzato, scaturito dalla numerazione, che già Aristotele aveva intuito, da metà maggio a metà settembre di questo tormentato anno, le scuole sono state anche ostaggio della geometria convenzionale. Il sistema metrico decimale, precedentemente usato solo per le odiose equivalenze, è stato applicato su mappe e disegni che il dirigente ha dovuto allestire; il calcolo della superficie (mai del volume che invece è quello che conta per la prevenzione), le distanze pluridimensionali tra alunni, docenti e rispettive rime buccali, che dovevano essere  garanzia di salvezza da contagi e moltiplicazioni epidemiche, si sono poi mostrate inefficaci alla prova dei fatti lasciando i dirigenti, geometri per caso e per necessità, con le scuole di nuovo chiuse, mentre ancora avevano in mano metro e nastro adesivo per organizzare le aule.

 Anche in questo caso, tranne qualche fantasioso richiamo a geometrie non convenzionali, formule matematiche arrivate direttamente da Houston, e piantine simili a mappe di guerra, pubblicate a iosa sui social, la comune richiesta delle scuole è stata sempre la stessa: avere indicazioni ministeriali. La quarta “C” è ormai tra di noi.

Il tempo di aspettare le disposizioni del ministero.

Il Ministero dell’Istruzione non si è fatto pregare nel sollecito invio delle disposizioni ambite, esse non sono mancate nemmeno stavolta, a mitigare il caos in atto, a causa dell’italica abitudine a scrivere norme, contratti, disposizioni e decreti che devono essere immediatamente interpretati e tradotti dal burocratese.  I sacerdoti dell’esegesi ministeriale che, a pochi minuti dalla pubblicazione delle indecifrabili scartoffie,  promettono salvifica interpretazione, hanno immediatamente rispolverato l’abito talare liberandoci così da ogni peccato di comprensione.

La sovrabbondante produzione di disposizioni che, fortunatamente, conservano la consolidata gerarchia delle fonti, non esime i Dirigenti scolastici dalla trappola nella quale è stato fin troppo facile cadere. In questa insidiosa situazione che sta di fatto smantellando le basi concettuali dell’Autonomia scolastica, sono complici compiacenti i social media, pronti ad alimentare interpretazioni che per numero, varietà e differenze, possono sfidare l’Universo. Esprimere preoccupazione, per il serio rischio che corre l’ igiene mentale di chi deve applicare una disposizione, diventa un obbligo di saggezza.

Se dovessimo narrare la nostra scuola dovremmo continuare a far leva sulla sua complessità. Essa trapela da ogni atto, da ogni provvedimento, da qualsiasi questione affrontata, ogni giorno, nelle aule e nei corridoi, perfino in quelli diventati virtuali. Accanto agli oceani di complessità, dove navigare è sempre rischioso, si annida  un vulnus inspiegabile che continua ad aleggiare aspettando che ogni novità si spenga e finisca con l’essere divorata dalle citate “tre C” ; queste tre entità: cattedra, classe e campanella, serbano segreti di ogni sorta per riportare tutto alla logica lineare, binaria, comoda e rassicurante, benché notoriamente inefficace.

Più che reclamare la logica della quarta “c” sarebbe opportuno imparare, come dice Cinzia Mion, a coniugare le logiche contrapposte. Nel nostro caso -la salute “e” l’economia- , oppure – la salute “e” la cultura- . Purtroppo, come a suo tempo ha indicato Edgar Morin, questa coniugazione richiede la fatica del pensiero riflessivo. Presumo con buona ragionevolezza che continuerà ad aspettare di essere coniugata da coscienze capaci di emanciparsi.

Problemi nuovi, soluzioni antiche.

La scuola, anziché pensare alla soluzione dei suoi problemi mediante un preoccupante rispolvero delle vecchie abitudini, dovrebbe approfittare di questo momento per superare il vecchio paradigma della linearità che che risponde alla logica binaria : “o” questo “o” quello, o bianco o nero, o giusto o sbagliato.

Continuiamo perfino a meravigliarci se dobbiamo applicare distinti provvedimenti su dissimili territori, svariati orari, diversi ingressi e differenti uscite da scuola rispetto a quelle descritte dal De Amicis nel suo noto racconto dimenticando di essere nel pieno di un evento mondiale di portata epocale, mai sperimentato dalla scuola in questa maniera, paragonabile soltanto alle situazioni di guerra del secolo scorso.

Il tempo è una convenzione ma anche una convinzione.

Anni fa in Turchia, ad Elazig, popolosa città situata sul fiume Eufrate, mi informavo del funzionamento di una scuola. Faticavo molto a capire che le affollatissime aule ospitavano gli scolari in due diversi corsi: l’uno di mattina e l’altro di pomeriggio. “ Doppi turni!”, conclusi nel mio stentato inglese,  ma la mia interlocutrice mi corresse: -“ Ci sono due tempi per la scuola, non due turni. I genitori scelgono e noi ci organizziamo“.

La risposta mi fece riflettere sulle mie convinzioni sull’uso del tempo e su quanto fossero derivate dalle convenzioni, dai rituali, dalle abitudini forti e consolidate, in quasi cinquanta anni di vita occidentale.

D’altronde, nell’Islam, diffuso assai in Oriente, il tempo assume una propria specificità, data dal radicale monoteismo che comporta la necessità di  una concezione non lineare e personalistica.[3]

E tuttavia, al canto del Muezzin, cinque volte al giorno, fa eco la scuola che continua a funzionare lungo l’intero arco della giornata, stando ben attenta a non far percepire alcuna differenza, nel servizio offerto, data dal tempo o dall’ora di erogazione.

  Liberarsi dagli schemi

La scuola in tempo di pandemia è una delle più impegnative sfide di ogni tempo alle quali è stato chiamato il nostro sistema educativo di istruzione e formazione. Il paragone che viene in mente, per descrivere quello che le è capitato nell’ultimo anno, a partire dal 5 marzo scorso,  è l’immagine di un antico esercito romano,  organizzato secondo sistemi adatti al combattimento “feet on the ground”, chiamato all’allerta in piena notte  e munito, improvvisamente,  di caschi spaziali, razzi, laser e astronavi per sfidare un nemico arrivato dallo spazio.

Il docente medio italiano, infatti, in termini di competenze di didattica digitale, aveva, fino all’emergenza del lock down, utilizzato, nella migliore delle ipotesi, la LIM per proiettare contenuti multimediali non interattivi, prelevati dalla porzione di libro di testo, collocata on line per ordine del ministero.

 Le esperienze di flipped education, fortemente avversate nel primo ciclo e nell’istruzione liceale per questioni di natura culturale, avevano trovato, però, una qualche accoglienza nell’istruzione tecnica e professionale sia pure con i limiti dati dalla carenza di strutture e di strumentazioni.

Doversi inventare, nel giro di pochi giorni, una didattica, prima a distanza e, successivamente, digitale integrata per sopperire alla carenza delle lezioni in presenza, è stata una missione impossibile che la scuola ha comunque affrontato in maniera dignitosa benché fortemente coerente con le situazioni di partenza. Le pochissime scuole che avevano già praticato l’innovazione della DDI, in forma di ambidestrismo organizzativo[4], hanno potuto allestire modelli di didattica digitale integrata supportati da utilizzo corretto delle tecnologie e gestione del tempo in maniera adeguata al nuovo archetipo, dettato dalla distanza e dalla digitalizzazione. Il resto, un disastro, nonostante il doveroso plauso alla caparbia dei docenti che hanno risposto come potevano alle nuove e drammatiche responsabilità professionali.

Questo è il momento di cambiare.

Abbiamo tutti, invece, un’occasione mai vista per cambiare paradigma: ci sono risorse per farlo, possiamo sfruttare questa chance che ha richiesto impegno, abnegazione e qualche frustrazione, per rivedere e migliorare alla radice il nostro modello di scuola.

Vanno di moda le soluzioni “smart” per ogni sistema complesso da rinnovare e la smart school fa già capolino. Ci troviamo, credibilmente, di fronte a scelte che non richiedono soltanto l’intelligenza ma attengono, in maggior misura, alla coscienza. Quella coscienza evocata da Bergson come prodotto del tempo inteso come “ durata” , quel tempo che non si conta con l’orologio o non si misura solo con esso. Il momento nel quale si riaccendono relazioni educative, non amministrate con i quadri orario in mano ma con la gestione originale dei percorsi di apprendimento e di relazione, proprio in ragione della drastica riduzione di questi ultimi. Migliorare la qualità dei processi è la prossima sfida; renderli efficaci, produttivi e, soprattutto, umani è il prossimo orizzonte verso il quale incamminarsi.

“Si potrebbe sostenere che il tempo non esiste, dato che è composto di passato e di futuro, di cui l’uno non esiste più quando l’altro non esiste ancora “, affermava Aristotele. Questa logica che si fonda sul dubbio e sulla dialettica, posta alla base del pensiero moderno, dovrebbe farci riflettere definitivamente sull’opportunità del cambiamento che non può fare a meno di rivedere radicalmente le categorie sulle quali poggiano, nella scuola del nostro tempo, i modelli pedagogici e culturali.

Si potrebbe sostenere che abbiamo ancora una possibilità per rinnovare dal profondo la scuola; siccome il passato non esiste più ed il futuro non esiste ancora, ci troviamo al cospetto di una ineludibile necessità.


 [1] Aristotele, FISICA, IV, 10, 218 a

[2]  H. Bergson – “Saggio sui dati immediati della coscienza” (1889) e “Durata e simultaneità” (1922); in quest’ultimo critica apertamente il concetto di tempo della teoria della relatività einsteniana.

[3] Gianfranco Bria – Tempo e ritualità nell’Islam – RIVISTA SUL MEDITERRANEO ISLAMICO (N.2/2018)

[4] L’organizzazione “ambidestra” è in grado contemporaneamente di sfruttare le capacità esistenti (exploitation) e di esplorare opportunità nuove (exploration). Quindi esprime una gamma di risorse e capacità adatta sia a gestire il successo attuale sia a porre le premesse per il successo futuro. Riesce a governare durevolmente efficienza e innovazione.