Dirigenti “Sceriffi” e Docenti Sudditi

Dirigenti “Sceriffi” e Docenti Sudditi

 di Mario Maviglia

In altre occasioni[1] abbiamo già avuto modo di analizzare la dinamica che spesso di crea tra alcuni dirigenti scolastici e i docenti (ma il discorso riguarda più in generale il rapporto tra il dirigente e l’insieme del personale). Naturalmente nessuno vuole misconoscere le oggettive difficoltà che spesso i dirigenti si trovano ad affrontare nella gestione quotidiana dell’Istituto loro affidato e i mille e imprevedibili problemi che pressoché ogni giorno sono costretti a risolvere, in un modo o nell’altro. A tutto si aggiunga che nel corso dell’ultimo decennio gli interventi formativi messi in campo dall’Amministrazione scolastica a sostegno della professionalità dei dirigenti si sono focalizzati essenzialmente su questioni di carattere giuridico-amministrativo trascurando del tutto altri ambiti legati agli aspetti comunicativi, relazionali e comportamentali che costituiscono forse la parte più preponderante nella quotidiana fatica dirigenziale.

Se si fa una breve indagine tra i dirigenti scolastici in servizio sulle tematiche che sono state approfondite nelle iniziative formative organizzate dall’Amministrazione e destinate ai dirigenti non dovrebbe destare alcuna sorpresa scoprire che sono state trattate quasi esclusivamente tematiche attinenti la sicurezza sui luoghi di lavoro, la privacy, il codice degli appalti pubblici, i procedimenti disciplinari e altri contenuti di tipo giuridico-amministrativo (per non parlare del particolare periodo di pandemia). Molto meno indagati e approfonditi risulteranno altri temi, come i processi decisionali, la gestione dei gruppi, la comunicazione interpersonale, la gestione del potere e delle relative deleghe (leadership diffusa), le strategie per risolvere i problemi, l’analisi e gestione di casi critici, la funzione di consulenza e di sostegno alla professionalità docente, l’impianto curricolare.

Ovviamente ogni dirigente su questi ultimi aspetti ha costruito nel tempo un proprio “portfolio” professionale, sulla base della propria esperienza e delle conoscenze acquisite, ma sicuramente non vi è stato un progetto istituzionale per incrementare la professionalità dei dirigenti su questi snodi cruciali, ed anzi vi è stata una precisa scelta a caratterizzare la professionalità dirigenziale in senso fortemente burocratico e amministrativo. Eppure il dirigente scolastico deve padroneggiare i domìni elencati sopra per poter dirigere in modo autorevole e competente una scuola con i numerosi problemi, piccoli e grandi, che si presentano quotidianamente e che possono essere affrontati solo se si dispone di un bagaglio di competenze che vada ben oltre il mero contenitore burocratico. Anzi, una visione strettamente burocratica, ancorché ineccepibile sul piano formale, rischia di non cogliere fino in fondo la dimensione sociale della scuola, ossia la fitta trama di relazioni e l’intenso traffico comunicativo che la caratterizzano.

Se ne ha spesso riscontro nei comportamenti di quei dirigenti (soprattutto al primo anno di dirigenza) nel primo periodo di approccio con un nuovo contesto scolastico, quando perseguono l’obiettivo dichiarato di segnare una frattura con la precedente gestione e con le pratiche del passato, quasi una sorta di marcatura del territorio di etologica memoria. Questo approccio si caratterizza per una serie di comportamenti-tipo ricorrenti nei dirigenti che vi fanno ricorso. Innanzi tutto vi è la tendenza a svalutare il passato e la storia dell’Istituto, vuoi per supposte irregolarità sul piano normativo (che possono anche esservi, beninteso), vuoi per presunte carenze o inefficienze sul piano organizzativo. Insomma, il tentativo è quello di segnare un discrimine ben netto tra un prima e un dopo, dove il prima rappresenta ciò che non va e il dopo è invece la situazione “sanificata” e ricondotta nell’alveo dell’efficienza, della funzionalità e della legalità grazie al neofita dirigente.

Ovviamente, in questa dinamica comportamentale il modello che tende ad imporsi e a cristallizzarsi è quello dell’attacco-difesa: alle azioni di denigrazione o demolizione delle vecchie abitudini da parte del neo-dirigente, i docenti si sentono in dovere di giustificare le scelte compiute e, in ultima analisi, ad arroccarsi in difesa. Inutile sottolineare che in tale situazione le decisioni imposte dal dirigente vengono subite più che condivise dai docenti. Peraltro è interessante notare come in questa dinamica il soggetto che in realtà avrebbe più da perdere, almeno per quanto concerne le decisioni in materia di progettualità generale e di organizzazione didattica, è il dirigente, in quanto questo ambito deve essere discusso ed approvato in collegio docenti (dove, come si sa, il voto del dirigente vale uno); ma paradossalmente sono proprio i docenti che non hanno consapevolezza di questo loro “potere”. In effetti, semplificando al massimo ed estremizzando il discorso, i docenti non dovrebbero cadere nella trappola della dinamica attacco-difesa, ma dovrebbero sollecitare il dirigente a presentare al collegio docenti proposte dettagliate e motivate di superamento degli aspetti organizzativi ritenuti insoddisfacenti. A quel punto in collegio si contano i voti… Dopo qualche collegio docenti fallimentare, forse anche il più incallito dirigente sarà costretto a rivedere i propri schemi comportamentali e ad abbandonare a sua volta il modello attacco-difesa.

Tutto ciò presuppone una presa di coscienza da parte dei docenti in ordine alla loro professionalità, che costituisce il loro vero “potere”, ossia l’insieme di conoscenze, competenze e strategie didattiche capaci di conseguire gli obiettivi istituzionali, primo fra tutti il successo formativo degli allievi. Su questo terreno c’è ancora molto lavoro da fare in quanto i docenti italiani non si percepiscono ancora come dei veri professionisti dei processi educativi e della didattica, accettando inconsapevolmente rapporti di subordinazione e soggezione culturale proprio nelle materie in cui dovrebbero esplicare ed esibire tutta la loro “potenza”. Naturalmente, ci sono anche delle ragioni istituzionali e sociali che hanno determinato questo stato di sottostima professionale: la formazione iniziale e in servizio non sembrano in grado di dare corpo a una professionalità robusta e performante; le modalità di reclutamento dei docenti non sempre appaiono idonee a selezionare i candidati più preparati alla professione docenti; fare il docente si è configurato nel tempo come un lavoro di ripiego perdendo quel prestigio di cui godeva una volta, complice anche le condizioni economiche inadeguate a valorizzare dei professionisti; più in generale la considerazione sociale che si ha dei docenti è andata appannandosi nel corso del tempo. 

Di fatto, la mancanza di una coscienza di “classe professionale” da parte dei docenti (o, per utilizzare il lessico contrattuale, la mancanza di una coscienza di “comunità” professionale) può determinare un duplice fenomeno: da una parte una forte dipendenza dal “capo”, dall’altra una scarsa coesione e solidarietà tra colleghi.

Riguardo ai rapporti di dipendenza tra dirigente e docenti, è pacifico che tra questi due soggetti ci sia un’asimmetria funzionale e di ruolo che in talune situazioni si configura come supremazia gerarchica. Il dirigente, infatti, è il rappresenta legale dell’istituzione scolastica (DLgs 165/2001) ed esprime, attraverso i suoi atti, la volontà dell’Amministrazione sia all’interno che, ancor più, all’esterno della scuola. Alcuni dirigenti confondono l’espressione di volontà dell’Amministrazione con la propria, di volontà, piegando in tal modo l’attività amministrativa al proprio volere. Peraltro, è il caso di ricordare che molti atti, prima di poter essere emanati e quindi prima che possano esplicare i loro effetti, abbisognano di una procedura ritualizzata, ossia definita dalle norme (come ad esempio quando è prevista l’acquisizione del parere del collegio dei docenti o la delibera del consiglio di istituto), pena l’illegittimità dell’atto. Insomma, il potere decisionale del dirigente si esplica nell’ambito di procedure definite e nel corso dell’iter di formazione dell’atto finale vi possono essere modifiche, aggiustamenti, integrazioni proprio in relazione al ruolo giocato dagli altri attori della scena scolastica. Se poi si entra nel campo della progettazione complessiva della scuola e dell’organizzazione didattica ci si muove all’interno di campi dove le posizioni e i punti di vista possono essere molto diversi tra loro (e infatti non si tratta di scienze esatte) e dunque il rapporto tra dirigente e docenti si gioca più sul piano della plausibilità, della motivazione e, non ultimo, del buon senso della scelta da adottare che non su quello della dipendenza gerarchica. Anzi, su questo terreno il dirigente è un professionista alla pari di altri professionisti (i docenti) e la bontà delle scelte da effettuare dipende non tanto dal ruolo esercitato, ma dalla pregnanza della proposta, da considerare sempre all’interno del quadro ideale e normativo fissato dai documenti ufficiali, ovviamente. Ma proprio su questo punto si assiste spesso ad un vissuto di subalternità da parte dei docenti, che consentono la marcatura del territorio da parte del dirigente su aspetti che afferiscono alla loro specifica professionalità.

Tutto ciò determina quella che Kets De Vries[2] ha definito una “organizzazione drammatica”,  dove tutto sembra ruotare intorno al capo, e non a caso, in queste organizzazioni, i capi “spesso attirano a sé persone dotate di una struttura di personalità dipendente, che finiscono per subordinare i propri bisogni a quelli del capo… i dipendenti si limitano a riferirsi all’ispirato giudizio del capo… I leader drammatici tendono a centralizzare il potere limitando l’iniziativa personale, e il loro atteggiamento passa dall’idealizzazione alla svalutazione”. Ovviamente, in una situazione così fortemente segnata dalla figura del capo, è facile immaginare che il dirigente tenda a contornarsi di volenterosi valletti più che di persone dal pensiero libero e indipendente.

La mancanza di consapevolezza del proprio potere professionale da parte della classe magistrale, non stimola lo sviluppo di rapporti di coesione e solidarietà tra colleghi e questo anche a causa di norme contrattuali che riservano alla dimensione collegiale del lavoro docente un’attenzione alquanto timida e opaca. Infatti, a parte la scuola primaria, dove sono previste due ore settimanali per la progettazione comune, non si comprende in quali momenti canonici i docenti degli altri gradi scolastici possono confrontarsi, coordinarsi e costruire una professionalità condivisa. Nelle asfittiche 40+40 h annue previste dal contratto? Difficile pensare che ciò sia sufficiente. Eppure dovrebbe essere ormai consolidata la convinzione che nei contesti lavorativi che prevedono un contatto diretto con l’”utenza” (gli studenti nel nostro caso, ma non solo), ossia le situazioni di front office, durante le quali viene fornito il servizio scolastico, sia indispensabile destinare quote significative di tempo dietro le quinte, ossia situazioni di back office, durante le quali viene progettato il lavoro d’aula, viene manutenuta la formazione degli operatori, si coordinano periodicamente gli interventi, si provvede alla valutazione dei diversi aspetti. Buona parte di questo lavoro nascosto al pubblico viene svolto da ogni singolo docente a casa propria (preparazione e correzione dei compiti, e non solo), ma non vi è un disegno esplicito e serio di trasformare il back office in una dimensione organizzativa istituzionale per far funzionare meglio l’intera organizzazione (e, in ultima istanza, la didattica). Ne è una riprova il fatto che ancora molte scuole non hanno a disposizione una “sala docenti” accogliente o comunque degna di questo nome e in grado di soddisfare esigenze diverse, anche si tipo fisico. Quante scuole dispongono di un locale arredato in modo confortevole per poter conversare, confrontarsi, prendere un tè? Più spesso di tratta di non-luoghi, per usare l’espressione dell’antropologo Marc Augé[3], inadatti a favorire le relazioni tra le persone, luoghi dove si sta il meno possibile.

Il leitmotiv di questo intervento è che, al di là dei tratti personologici che possono contraddistinguere la specifica figura di un dirigente scolastico, le situazioni caratterizzate da un modello impositivo e pressante messo in atto dal dirigente sono possibili in quanto non vi è da parte dei docenti una correlativa presa di coscienza della loro potenza professionale e del ruolo che dovrebbero giocare in quanto professionisti dei processi di apprendimento e della didattica. Il disconoscimento della loro professionalità da parte degli stessi docenti apre la strada a inevitabili comportamenti di sudditanza verso i dirigenti, anche al di là di quanto ragionevolmente previsto dalle norme, oltre che legittimare le conseguenti invasioni di campo da parte di altri soggetti (es. i genitori degli allievi). Solo una professionalità robusta, matura, freudianamente genitale, può prevenire le disfunzioni che abbiamo evidenziato. Questo vale per i docenti e ovviamente anche per i dirigenti. La scuola si può configurare come una “comunità educante” (art. 24 CCNL Scuola 2016-2018) se le professionalità presenti al suo interno hanno effettivamente la possibilità di esprimersi e di svilupparsi in un contesto relazionale arricchente, stimolante e umanamente intenso, altrimenti la professionalità, per dirla con Galimberti[4], è una espressione “sotto la quale ciò che si nasconde è la radicale riduzione dell’uomo alla sua “funzione”, di cui il “biglietto da visita”, che indica il nostro apparato di appartenenza, ci identifica meglio del nostro nome”.


[1] M. Maviglia (1992), Il dirigente scolastico e la funzione di “filtro”, in “Rivista dell’istruzione”, anno VIII, n.3, maggio-giugno, pp. 413-420; G.Lippi, M.Maviglia, N.Serio (2000), Dirigere scuole dell’infanzia, Edizioni Junior, Bergamo; M.Maviglia, L’organizzazione scolastica e il successo formativo, in P. Crispiani (a cura di) (2010), “Il management nella scuola di qualità”, Edizioni Armando, Roma, pp. 119-148; M.Maviglia (2015), Ruolo e funzione dei dirigenti scolastici, in “La Tecnica della Scuola – on line”, 06/07/2015; M.Maviglia (2017), Dirigenti e insegnanti: quando il conflitto paralizza, in “La vita scolastica – Web Magazine”, Edizioni Giunti, Firenze, 05/06/2017; M.Maviglia (2017), Il profilo del dirigente scolastico: un leader educativo?, in “La vita scolastica – Web Magazine”, Edizioni Giunti, Firenze, 17/10/2017; M.Maviglia (2019), Decalogo per i nuovi dirigenti scolastici?, in “La vita scolastica – Web Magazine”, Edizioni Giunti, Firenze, 06/09/2019; M.Maviglia (2020), Sopravvivere a scuola. Manuale di Istruzione, Edizioni Conoscenza, Roma

[2] M.F.R Kets De Vries (2001), L’organizzazione irrazionale, Raffaello Cortina Editore, Milano, pp. 42-43

[3] M. Augè (2018), Nonluoghi, Elèuthera, Milano

[4] Umberto Galimberti, I miti del nostro tempo, Feltrinelli, Milano, 2009

Il federalismo alla prova

Il federalismo alla prova

di Gian Carlo Sacchi

Tra governo e regioni era iniziato un percorso che avrebbe potuto portare a quel “regionalismo differenziato” richiesto nell’ambito dell’art. 116 della Costituzione. Una maggiore autonomia dei poteri periferici era ormai matura ed i cittadini avevano dimostrato di gradire proprio dai sondaggi realizzati in occasione delle recenti elezioni regionali. Questa possibile intesa avrebbe altresì potuto celebrare degnamente i 50 anni dalla istituzione delle regioni stesse, ricorrenza di cui si era iniziato a parlare nelle più alte sedi istituzionali confermando il loro protagonismo nello sviluppo dell’intero Paese e nel processo di integrazione europea.

Si stava cercando di risolvere gli immancabili conflitti di natura economica che avevano fin qui bloccata l’attuazione della riforma costituzionale, si discuteva sulle materie da decentrare dalle competenze statali e si poneva l’attenzione, questa volta in maniera operativa, su quei “livelli essenziali delle prestazioni” che dovevano essere garantiti a tutti i cittadini italiani, che poi le singole regioni avrebbero potuto sostenere maggiormente con politiche virtuose.

La pandemia ha fatto precipitare detto itinerario, che agli occhi dell’emergenza è sembrato un po’ troppo accademico, costringendo lo stato centrale e le autonomie regionali ad intervenire velocemente sul servizio sanitario e sulla governance territoriale con un quadro legislativo ancora incompleto, il che ha creato non pochi conflitti tra poteri e responsabilità. Bisogna contenere il virus, ma nello stesso tempo non deprimere i territori e quindi da un lato, quello della salute, le regioni avevano già le necessarie competenze ed hanno operato in maniera autonoma, mentre dall’altro gli ormai famosi DPCM sono intervenuti imponendo a tutti le medesime condizioni, facendo storcere il naso a molti per la limitazione delle libertà. Un tentativo di mediazione abbastanza riuscito è stato il funzionamento delle conferenze stato-regioni che hanno creato un cuscinetto tra gli interventi statali e quelli regionali.

Il mancato completamento legislativo del processo indicato dal nuovo titolo quinto della Costituzione ha determinato una sovrapposizione di competenze, che questa volta ha fatto sentire le disfunzioni in modo drammatico, ma che è in atto da tempo e sul quale è intervenuta più volte anche al Corte Costituzionale. Lo scenario che abbiamo di fronte è da un lato il decentramento che ha messo in evidenza le differenze degli interventi delle diverse regioni, rispetto quindi ai servizi che garantiscono lo stesso diritto alla salute a tutti i cittadini, e dall’altro ai provvedimenti dello stato centrale al quale si imputa la mancata conoscenza delle peculiarità dei diversi territori e quindi a sua volta trattare in maniera uguale realtà differenti. Non vogliamo pensare che le differenze di colore politico tra livelli di governo abbiano creato conflitti più o meno espliciti sulla pelle della salute dei cittadini, ma è solo la diversità delle competenze che può evitare i soliti giochetti propagandistici e l’unitarietà degli obiettivi finali che può determinare la riuscita complessiva dell’operazione su tutto il territorio nazionale e su quelli locali definiti dalle politiche regionali.

 Se non sono chiare le attribuzioni i poteri vengono contesi dai diversi organismi, nazionali e regionali, mentre le responsabilità si scaricano più facilmente sugli altri, soprattutto se si ritrovano a fare le stesse cose modalità di governo di diversa coloritura politica; quello che sta accadendo nell’attuale clima di emergenza è dovuto alla mancanza di  chiarezza istituzionale e  tutto questo genera  confusione tra DPCM e ordinanze dei presidenti di regione, mettendo in difficoltà i cittadini un po’ su tutti i fronti, sia sul piano del comportamento sociale che su quello  dell’esercizio di attività economiche. Ciò dimostra la necessità di superare l’affermazione di “competenze concorrenti” tra stato e regioni, contenuta nel nuovo titolo quinto della Costituzione, intendendo un concorso/conflitto sugli stessi temi, mentre andrebbero separate le funzioni più che i contenuti, lasciando allo stato centrale le “norme generali”, come già indicato dalla predetta riforma costituzionale, che si era iniziato ad elaborare in vista delle predette intese sul progressivo decentramento statale.

Un quadro normativo più chiaro avrebbe reso l’azione amministrativa più efficace anche sotto la pressione della pandemia, cosa che invece mette a rischio l’autonomia stessa dei territori: c’è già chi sostiene che passata l’emergenza andranno ridimensionate le regioni, mentre il centralismo nazionale nella gestione continua a rivelarsi inefficiente e lontano dai bisogni reali del territorio. Nel settore della sanità il principio di “leale collaborazione” tra organi dello stato tiene, si mettono in atto collaborazioni tra regioni per la soluzione di problemi analoghi; ognuna di esse a sua volta interagisce con gli enti locali del proprio territorio e insieme si coordinano con i ministeri, e se nell’organizzazione del servizio si evidenziano disparità nell’organizzazione dei servizi non si tratta di annullarle ma di sostenerle, secondo l’ottica della sussidiarietà, in modo che migliorino la propria azione. Il corona virus ha messo in luce disfunzioni trasversali a tutto il Paese e non attribuibili soltanto ad alcune regioni, al nord piuttosto che al sud, e questo da un lato dovrebbe far intervenire lo stato centrale, e dall’altro stimolare le regioni stesse a migliorare le prestazioni, in vista degli obiettivi che il governo nazionale si è dato d’intesa con i governi regionali, nell’ambito delle predette “conferenze”, in attesa che una nuova riforma costituzionale istituisca la Camera delle autonomie locali. La mancanza di intese in altri settori, come il commercio, il trasporto pubblico, il turismo, ecc. hanno evidenziato  tutto il disagio degli operatori che pur dovendo perseguire obiettivi di salute, indicati a livello nazionale, possono organizzare le loro attività in base alle esigenze del territorio.

Il servizio sanitario è già una competenza regionale, il problema semmai è quello del coordinamento a livello nazionale e la differente efficienza delle prestazioni; le conferenze stato-regioni possono garantire costantemente tale rapporto, mentre le difficoltà in cui vengono a trovarsi i territori di fronte alla pandemia rappresentano le diverse esigenze che devono dialogare tra di loro, la tipicità dei territori con le relative sensibilità e l’impegno dei governi locali. Nonostante le difficoltà in cui sembra che diverse realtà vengono a trovarsi, che non sono divise, come di solito si dice, tra nord e sud del Paese, nessuna regione sembra voglia rinunciare alle proprie prerogative, ma forse si tratta di agire maggiormente sulle responsabilità sociali e politiche; c’è chi magari era abituato ad amministrare con leggerezza ed oggi cerca di raccogliere ciò che magari non ha seminato, ma questo non giustifica una rinazionalizzazione delle competenze che ha già dimostrato, ed anche il commissario covit ne è una prova, come il governo centrale non riesca ad assicurare un trattamento equo ed efficiente su tutto il territorio nazionale. Ci sono ricerche che attestano che è proprio il centralismo a creare disuguaglianze e disservizi: se gli ospedali non funzionano forse non accade solo in questo momento, quindi occorre darsi da fare per una maggiore qualità sul territorio, magari senza infiltrazioni di interessi particolari e corruzione politica.

Al contrario la scuola è una competenza statale, anche se il predetto titolo quinto l’avrebbe posta tra quelle concorrenti, fatte salve le norme generali dal lato dell’ordinamento  e i livelli essenziali delle prestazioni per quanto riguarda la garanzia dei diritti sociali dei cittadini. Com’è noto la normativa costituzionale non è mai stata applicata in questo settore ed oggi la difficile situazione aumenta il conflitto tra i diversi soggetti, creando disorientamento tra gli utenti. Sulla base della normativa vigente le indicazioni date dal governo nazionale (decreti, ordinanze, circolari) dovrebbero valere per tutto il Paese, ma nelle regioni si registrano dati diversi in relazione ai contagi ed ai conseguenti comportamenti ordinati dalle autorità sanitarie regionali e dai sindaci.

A parte il dibattito sui dati circa i focolai virali nati all’interno delle scuole, ciò che stiamo vedendo sono conflitti tra  livelli di governo a colpi di tribunali amministrativi anziché “leale collaborazione” tra istituzioni, motivati da esigenze dei territori stessi nei rapporti con il sistema sanitario, dei trasporti, ecc. Le normative scolastiche sono rigide e poi vengono disattese e lo stato che dovrebbe provvedere a tutte le scuole d’Italia è sempre in ritardo nelle nomine, nelle forniture, ecc. e nonostante questa volta fossero aumentati i finanziamenti le procedure rimangono lente e faragginose, ed è proprio per questo ritardo cronico della burocrazia che quelle regioni che hanno richiesto un supplemento di autonomia hanno incluso l’istruzione tra le materie da togliere in tutto o in parte dalle competenze statali.

Mentre nella sanità, come si è detto, ci potrebbe essere un problema di coordinamento a livello nazionale, nella scuola, che è l’altra faccia della medaglia dei servizi alla persona, c’è l’esigenza opposta, cioè quella di procedere ad un maggior decentramento e se si fosse applicato l’ormai famoso titolo quinto avremmo avuto un ordinamento scolastico statale uguale per tutti ed una gestione del servizio regionale e locale, come in parte già avviene per la rete delle scuole, alla quale si dovrebbe aggiungere la gestione del personale, di cui in passato si era occupata in modo favorevole la Corte Costituzionale. I recenti provvedimenti non hanno nemmeno valorizzato l’intensa attività degli istituti che durante l’estate hanno messo in sicurezza edifici, spazi, ingressi, aule: in tante zone sindaci e dirigenti scolastici avevano collaborato fattivamente per preparare la riapertura del nuovo anno, inserendo la didattica a distanza tra le innovazioni e non solo tra le emergenze.

Non si vuole entrare nel merito delle azioni messe in atto dai diversi soggetti istituzionali per il contrasto al virus, ma rimanendo al discorso della governance si può constatare la maggiore efficacia di un sistema decentrato che veda il livello nazionale impegnato su un disegno complessivo circa gli obiettivi da raggiungere e quelli territoriali nella gestione dei servizi e nell’interazione costante con i cittadini. Anche se il momento non sembra dei migliori bisogna portare a termine il progetto sul regionalismo differenziato perché sia in grado di irrobustire le gambe degli enti territoriali, in modo che si assumano le loro responsabilità e possano agire secondo il predetto principio di leale collaborazione. Rimane per tutti un problema di etica politica che si era cercato di risolvere nel decreto applicativo della legge sul federalismo fiscale, circa la ricandidabilità di personaggi che avevano agito in modo scorretto o assecondando interessi di parte, il che sarà favorito, come si è detto, se i diversi ambiti legislativi e amministrativi avranno competenze ben definite e non sovrapposte, come si vede infatti anche ora nel dibattito tra regioni con maggioranze politiche diverse che emanano provvedimenti concordati, sanno interagire con i rispettivi enti locali e insieme sanno essere interlocutori del governo nazionale.

IMMISSIONE IN RUOLO DEI RICORRENTI ABILITATI ALL’INSEGNAMENTO IN ROMANIA

IL TAR CALABRIA SOSPENDE IL DECRETO DELLA AT DI REGGIO CALABRIA E DISPONE L’IMMISSIONE IN RUOLO DEI RICORRENTI ABILITATI ALL’INSEGNAMENTO IN ROMANIA SUI POSTI ILLEGITTIMAMENTE ACCANTONATI DEL CONCORSO RISERVATO DI CUI AL  DDG 85/2018

Di particolare importanza la ordinanza del TAR Calabria n°253/2020 di poco fa, con cui il Collegio ha  accolto il ricorso patrocinato dall’Avv. Maurizio Danza del Foro di Roma, a favore di  abilitati all’insegnamento in Romania. In particolare il ricorso era stato presentato per l’annullamento previa sospensiva dell’art. 3 del decreto n° 6799 del 27 agosto 2020, dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria-AT di Reggio Calabria, nella parte in cui dispone con allegato elenco, l’accantonamento dei posti dei ricorrenti; e per la declaratoria, in via cautelare del diritto dei ricorrenti ad ottenere l’immissione in ruolo in luogo dell’accantonamento disposto dal decreto n°6799 della AT di Reggio Calabria.

Il collegio del TAR Calabria sottolineando che “ Rilevato che i ricorrenti: – nelle more del riconoscimento del titolo abilitante conseguito all’estero, sono stati ammessi con riserva alla procedura concorsuale indetta con d.d.g. n. 85/2018 ed hanno partecipato alla stessa con esito positivo; – sono stati, altresì, inseriti, sempre con riserva, nelle rispettive graduatorie in esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali con i quali sono stati annullati (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 4825/2020) o sospesi (Tar Lazio, Roma, sez. III bis, ord. caut. n. 3887/2020, Consiglio di Stato, sez. IV, ord. caut. n. 5262/2020) i provvedimenti di diniego del riconoscimento del suddetto titolo abilitante; – sono stati, inoltre, destinatari della proposta di assunzione a seguito della quale hanno espresso la loro preferenza per la scelta della sede di destinazione; – con il provvedimento oggetto di gravame, tuttavia, sono stati inseriti in una apposita graduatoria dei posti accantonati in attesa del giudicato”, ha concluso accogliendo la tesi dell’Avv. Maurizio Danza motivando nell’ordinanza che “Ritenuto che le censure sollevate avverso il suddetto provvedimento, nella parte in cui dispone l’accantonamento dei posti in luogo della immissione in ruolo con riserva dei ricorrenti, appaiono prima facie fondati, dovendo condividersi l’orientamento secondo il quale l’ammissione con riserva ad una procedura concorsuale debba perdurare e riverberarsi anche nel segmento procedimentale successivo all’espletamento della procedura concorsuale costituito dalla immissione in ruolo, ed altresì nella conseguente fase negoziale della stipula del contratto di lavoro, dovendo la riserva accompagnare la “carriera” del suo titolare fino al momento in cui non venga definitivamente sciolta della decisione di inserire i ricorrenti in una apposita graduatoria(TAR Lazio, Roma, sez. III bis, sentenza n. 10839/2020 che richiama in motivazione TAR Lazio, Roma sez. III bis, sentenza n. 3400/2019);

Ritenuto, pertanto, che la domanda cautelare debba essere accolta e che, per l’effetto, debba disporsi la sospensione del provvedimento impugnato e la conseguente immissione in ruolo con riserva dei ricorrenti fatta salva per l’amministrazione la necessità di stipulare sotto condizione risolutiva il contratto di lavoro dei docenti, per il caso in cui la ripetuta riserva dovesse essere sciolta negativamente; Ritenuto che ai suddetti adempimenti il Ministero resistente dovrà provvedere entro il termine di giorni 20 dalla comunicazione della presente ordinanza.

Scuola, nella Legge di bilancio 3,7 miliardi

da la Repubblica

Corrado Zunino

Per la scuola, dice il ministero dell’Istruzione, ci saranno 3,7 miliardi in Legge di bilancio. Due miliardi e 200 milioni andranno per la spesa corrente, un miliardo e mezzo per gli investimenti. Il finanziamento è stato definitivamente approvato dal Governo e ora passa al vaglio del Parlamento.

Con i fondi stanziati si prevede un piano pluriennale per l’assunzione di 25 mila docenti di sostegno in organico di diritto, stabilizzazione “che si accompagnerà allo stanziamento di appositi fondi per la formazione del personale docente sulle tematiche dell’inclusione degli alunni con disabilità e per l’acquisto di ausili didattici”. Si attendono, quindi, mille docenti in più per il potenziamento dell’offerta formativa nella scuola dell’infanzia. E 60 milioni aggiuntivi l’anno per la fascia 0-6 anni.

Oltre 1,5 miliardi vanno all’edilizia scolastica. Il provvedimento proroga, poi, di un altro anno, i poteri commissariali ai sindaci di Comuni e Città metropolitane “per una rapida realizzazione” degli interventi negli istituti.

Aumenta il Fondo per ridurre le diseguaglianze: 117,8 milioni in più per il 2021, 106,9 milioni per il 2023, 7,3 milioni per ciascuno degli anni 2024 e 2025, 3,4 milioni in più per l’anno 2026.

Sulla digitalizzazione è previsto un nuovo investimento di 40 milioni di euro: entreranno a scuola gli animatori digitali (previsti, per altro, dall’autunno 2015). Vengono confermate le équipe formative di docenti che si occupano dell’attuazione del Piano nazionale scuola digitale “per accelerare i processi di digitalizzazione dentro gli istituti scolastici”.

Confermati fino al 30 giugno, ancora, mille assistenti tecnici nelle scuole del primo ciclo, figure da sempre presenti nel secondo ciclo, introdotte nel primo periodo dell’emergenza e ora stabilizzate per aiutare i docenti nell’uso di laboratori e tecnologie. Vengono trasformati in lavoratori a tempo pieno 4.500 collaboratori scolastici ex Lsu e coperti 2.288 posti vacanti Ata (amministrativi).

“Si tratta di un risultato importante per la scuola, c’è un cambio di passo culturale evidente”, dice, convinta, la ministra Lucia Azzolina. “Il mondo dell’istruzione è tornato al centro degli investimenti”.

Va notato che per il 2020, anno in cui si è dovuta affrontare la pandemia da coronavirus, il Governo Conte due ha finanziato l’istruzione con 2,9 miliardi di euro (esclusi i declamati fondi europei, che sono altra cosa dai finanziamenti di governo, inclusi i fondi per l’edilizia scolastica). Il passo che porta da 2,9 miliardi a 3,7 miliardi non somiglia proprio “a un cambio culturale evidente” tenuto conto degli 81 miliardi destinati all’Italia dal Recovery Fund europeo, del fatto che per l’università e la ricerca, realtà con costi fissi molto inferiori, il ministro Gaetano Manfredi ha ottenuto 12-15 miliardi di euro in cinque anni e paragonando la cifra per il 2021 (3,7 miliardi in un anno ancora con spese extra per la pandenia) con i 3 miliardi delle Buona scuola renziana del 2015 (cifra al netto dell’edilizia scolastica) e con i 2 miliardi nelle tasche dell’ex ministro Fioramonti lo scorso dicembre, ministro che poi si dimise ritenendoli insufficienti. In un tentativo di rendere i rapporti meno conflittuali, questa mattina il ministero, attraverso un suo dirigente, ha presentato ai sindacati i finanziamenti in legge. La risposta è stata di insoddisfazione. La Gilda degli insegnanti attraverso il segretario Rino Di Meglio ha detto: “In tema di retribuzioni, i docenti vengono sempre trattati come figli di un dio minore. La previsione di un incremento di 400 milioni per il rinnovo dei contratti  è del tutto insufficiente. Siamo ben lontani dalle promesse del Governo Conte uno e dell’ex ministro Fioramonti, che prefiguravano aumenti a due cifre per un contratto scaduto da due anni”. La Cisl scuola con la segretaria Maddalena Gissi: “In assenza di un impegno a incrementare di almeno 600 milioni le risorse per i rinnovi contrattuali, sarà inevitabile il ricorso alla mobilitazione della categoria. Anche le assunzioni sul sostegno sono insufficienti rispetto ai bisogni”.Gabriele Toccafondi, ex sottosegretario all’istruzione, Italia Viva, dice: “Investimenti per 1,5 miliardi in cinque anni sono pochi. E’ molto preoccupante che non ci sia previsione alcuna per l’organico del prossimo anno: 130 mila insegnanti da trovare e senza un concorso”.

DDI: quante ore di servizio svolge il docente, quali attività sono sincrone e quali asincrone

da OrizzonteScuola

Di redazione

Didattica digitale integrata: dopo la firma dell’ipotesi di contratto da parte dei sindacati Cisl, FLC CGIL e Anief, il Ministero ha elaborato una serie di FAQ che riprendono, oltre al testo, le note che ne hanno accompagnato la diffusione nelle scuole.

La didattica Digitale integrata, nel momento in cui è svolta come modalità unica (come disposto dal DPCM del 3 novembre per le scuole secondarie di II grado), si compone di attività sincrone e asincrone.

Attività sincrona

E’ caratterizzata da interazione in tempo reale tra insegnanti e studenti.

Le linee guide del Ministero hanno indicato i quantitativi orari minimi previsti per singolo grado di istruzione:

  • non meno di 20 ore per le scuole secondarie di secondo grado
  • non meno di 15 per le scuole secondarie di primo grado e le primarie (non meno di 10 per le prime classi della primaria)

L’insegnante può operare con l’intero gruppo classe o interagendo con gruppi di alunni.

Alcuni alunni potrebbero essere in presenza, altri online.

Attività asincrona

E’ caratterizzata dall’assenza di interazione in tempo reale fra docente e alunni.

Le attività asincrone sono le più varie, alcuni esempi: registrazioni di brevi video, documenti ed approfondimenti legati ai video erogati, materiali multimediali (dispense in PDF, immagini, link a siti di interesse, programmi, presentazioni), esercitazioni e verifiche formative predisposte dal docente con richiesta di produzione di materiale da parte degli studenti, registrazioni di clip audio (podcast), dialoghi su forum di discussione, ecc.

Orario di servizio dell’insegnante

Tra attività asincrona e sincrona il docente deve rispettare l’orario di servizio settimanale stabilito per ogni grado di scuola

  • 18 ore nella scuola secondaria di primo e secondo grado
  • 22 ore nella primaria – fermo restando le due ore di programmazione,
  • 25 nell’infanzia

L’adattamento dell’orario è stabilito dal Piano di DDI approvato dal singolo Collegio docenti.

Ad es. è possibile che in base al Piano scolastico di DDI adottato dalla specifica scuola, l’orario settimanale di servizio dei singoli docenti sia stato rimodulato e pertanto preveda un numero di ore in modalità sincrona inferiore all’orario settimanale di insegnamento ordinariamente previsto. In questo caso le ore di attività in modalità asincrona potranno ammontare al massimo alla differenza tra l’orario settimanale ordinario e quello rimodulato in base al Piano scolastico di DDI. Ad esempio, se un docente di scuola superiore (con 18 ore settimanali) in base al Piano scolastico di DDI è chiamato ad effettuare 12 ore settimanali di attività di insegnamento in modalità sincrona, il numero massimo di ore che potrà svolgere in modalità sincrona o asincrona sarà pari a 6 ore settimanali.

Orario di servizio dell’insegnante di sostegno

L’orario dell’insegnante di sostegno può essere rimodulato in base all’orario di frequenza dello studente, fermo restando l’orario previsto dal contratto.

Le pause

Nel contratto stipulato tra l’Amministrazione e i sindacati CISL, ANIEF E FLC CGIL si legge inoltre

“Il docente ha facoltà di introdurre, come peraltro possibile nell’attività didattica svolta in presenza, gli opportuni momenti di pausa nel corso della lezione in DDI, anche in funzione della valorizzazione della capacità di attenzione degli alunni. Tale possibilità è prevista anche nel caso siano state adottate unità orarie inferiori a 60 minuti.”

Le attività vanno registrate nel Registro elettronico

Come per le attività in presenza, il Registro elettronico è lo strumento per indicare sia attività sincrona che asincrona.

Le FAQ del Ministero

Covid scuola e finestre aperte: non è necessario farlo per tutta la durata delle lezioni

da OrizzonteScuola

Di redazione

Le temperature sono in calo, diventa così un problema tenere le finestre aperte in classe. Ciò che era possibile fare quando c’era un tempo più gradevole, adesso viene più complicato. Una costante areazione dei locali, però, è necessaria per limitare il rischio di contagio da Covid-19. Cosa fare, dunque?

Necessario lasciare le finestre aperte durante le lezioni? No, il Ministero dell’Istruzione, tramite apposita FAQ, specifica che il Comitato Tecnico Scientifico si è limitato a evidenziare la necessità di assicurare l’aerazione dei locali in cui si svolgono le lezioni, avendo cura di garantire periodici e frequenti ricambi d’aria, cui si provvederà contemperando l’esigenza di costante aerazione dell’ambiente didattico con il diritto degli allievi a svolgere le attività didattiche in condizioni ambientali confortevoli.

Sulle finestre aperte, lo scorso ottobre, era stata pubblicata sulla rivista Physics of Fluids, una ricerca realizzata dai fisici dell’Università americana del Nuovo Messico.

Lo studio del trasporto di aerosol e goccioline di saliva all’interno degli ambienti chiusi può aiutare a stabilire misure efficaci per contrastarne la diffusione del virus Sars-CoV-2. Uno degli ambienti più importanti per acquisire una rapida comprensione della diffusione delle particelle del virus, rilevano gli autori, è l’aula scolastica.

I ricercatori hanno utilizzato un modello sulla dinamica delle particelle fluide per esplorare il trasporto di aerosol all’interno di una classe con aria condizionata. Dunque è emerso che, la distribuzione dell’aerosol all’interno della stanza non è uniforme, a causa dell’aria condizionata e della posizione della sorgente e che, ha detto uno degli autori, Khaled Talaat, “le particelle possono essere trasmesse da uno studente ai banchi o ai vestiti di altri studenti, anche se tenuti separati da una distanza di 2,4 metri”.

Secondo Talaat, “la posizione dello studente all’interno dell’aula influisce sulla probabilità di trasmettere particelle ad altri e di riceverle”. Tuttavia, è emerso che “quasi il 70% delle particelle esce dal sistema quando le finestre sono aperte”.

Lo studio mostra, inoltre, che anche gli schermi protettivi posti davanti ai banchi, riducono significativamente la trasmissione di particelle da uno studente all’altro, perché ha spiegato Talaat “influenzano la circolazione del flusso d’aria vicino alla sorgente, facendo cambiare le traiettorie delle particelle”.

Programma Itaca: borse di studio per soggiorni scolastici all’estero

da La Tecnica della Scuola

Anche quest’anno l’INPS ha emanato il bando Programma Itaca. Si tratta di un bando di concorso per l’erogazione di borse di studio per soggiorni scolastici all’estero, destinati a figli o orfani di dipendenti o pensionati della pubblica amministrazione, scuola compresa.

Il bando offre a studenti della scuola secondaria di secondo grado un percorso di mobilità internazionale, attraverso la frequenza di un intero anno scolastico, o parte di esso, presso scuole straniere, localizzate all’estero.

L’Inps, in particolare, eroga in favore dell’avente diritto una borsa di studio a totale o parziale copertura del costo di un soggiorno scolastico all’estero, organizzato e fornito da un unico soggetto terzo che garantisca il supporto per l’acquisizione, presso la scuola straniera e quella italiana, della documentazione necessaria per il riconoscimento del periodo di studi trascorso all’estero.

Possono partecipare al concorso i giovani che siano in possesso dei seguenti requisiti:

  • avere conseguito la promozione nell’anno scolastico 2019/2020;
  • essere iscritti, all’atto di presentazione della domanda, al secondo o terzo anno di una scuola secondaria di secondo grado;
  • non essere in ritardo nella carriera scolastica per più di un anno.

La domanda deve essere trasmessa a decorrere dalle ore 12,00 del giorno 10 dicembre 2020 e non oltre le ore 12,00 del giorno 11 gennaio 2021.

SCARICA IL BANDO

Organi collegiali e Curricolo di istituto nella scuola del Covid

da La Tecnica della Scuola

 

Nella scuola del Covid gli Organi Collegiali fin dall’inizio e per tutta la durata dell’anno scolastico sono chiamati a organizzare e a gestire un curricolo di istituto flessibile, dinamico, aperto ai cambiamenti, anche repentini e improvvisi che potrebbero determinarsi.

Quest’anno scolastico 2020-2021 iniziato a settembre con la didattica in presenza, tra molte incertezze e qualche polemica, sta proseguendo, purtroppo, a causa del protrarsi della pandemia, con la didattica a distanza, almeno in tutto il secondo ciclo e costringe i collegi dei docenti, i dipartimenti e i consigli di classe a rivedere, ancora una volta le programmazioni, anche in funzione della revisione del Piano Triennale dell’Offerta Formativa che dovrà essere effettuata entro la data di inizio delle iscrizioni per il prossimo anno scolastico 2021-2022.

Sfide didattiche

Il contributo “Dal curricolo nazionale al curricolo di istituto: la nuova organizzazione degli Organi collegiali”, pubblicato all’interno della iniziativa di formazione gratuita della Casa editrice La Tecnica della Scuola, Progettare una scuola nuova, mette a fuoco alcuni aspetti organizzativi necessari per continuare a garantire una scuola di qualità, ma anche le sfide didattiche emergenti legate alla pandemia, le azioni e gli strumenti da adottare nel passaggio dalla didattica in presenza a quella mista, a quella totalmente a distanza, sottolineando le specificità di ciascuna modalità e come valorizzarle.

 

Il corso

Il corso illustra come partire dal curricolo nazionale per arrivare al curricolo di istituto e la nuova organizzazione degli Organi collegiali. Un’attenzione particolare è anche riservata alla realtà formativa aumentata e alla valutazione formativa nella scuola del Covid.

CLICCA QUI PER ANDARE AL CORSO GRATUITO

A conclusione del percorso formativo, verrà rilasciato all’utente un attestato valido anche ai fini dell’aggiornamento professionale obbligatorio del corpo insegnante.

Un’occasione da non perdere!

Azzolina celebra la Giornata mondiale per i diritti dell’infanzia

da La Tecnica della Scuola

Il 20 novembre è la Giornata mondiale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Un appuntamento che la ministra Lucia Azzolina ha voluto ricordare con un messaggio sui canali social:

“Oggi celebriamo la Giornata mondiale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, per ricordarci sempre che proteggere e tutelare i più piccoli è un dovere, oltre che una responsabilità collettiva. La scuola è il luogo per eccellenza dove trovano le risposte ai loro perché.

La scuola è il posto dove bambini e ragazzi possono sentirsi al sicuro, accolti, compresi e stimolati, grazie al lavoro incessante dei docenti, dei Dirigenti e di tutto il personale ATA a cui va il mio sentito grazie.

Nonostante le distanze e anche un po’ di preoccupazione, i nostri piccoli e i nostri adolescenti non si sono arresi, la loro infinita curiosità e la loro voglia di imparare non si sono arrestate neanche davanti alla pandemia. Come sempre, resilienti e genuini sono riusciti ad insegnarci molto di più di quanto potremmo fare noi.

Per loro, per la scuola che tanto amiamo e per tutto il nostro Paese, continuiamo a lavorare affinché si chiuda presto questa parentesi delicata che ci ha messo alla prova. Bambini e adolescenti hanno diritto di vivere, scoprire e crescere insieme, divertendosi, e devono tornare a farlo presto. Facciamo in modo che la loro luce splenda sempre. Per noi è un dono. Per loro un diritto”.

Educazione Civica: perché è importante studiarla

da Tuttoscuola

Di Teresa Madeo*

Nel sistema scuola italiano, dove la storia dell’arte è ormai stata abbandonata, dove la storia non è più tema d’esame di Stato e dove la geografia si affronta sempre meno, quando è stato proposto di riportare l’educazione civica come materia scolastica nelle scuole di ogni ordine e grado, si è tirato un vero e proprio sospiro di sollievo. Da settembre essa è tornata a essere una materia obbligatoria, dalla scuola dell’infanzia sino alla scuola secondaria di secondo grado.

L’educazione civica è fondamentale, per conoscere diritti e doveri di ogni cittadino, quindi studiarla è importante, per smettere di credere a tutte quelle fake news che spesso leggiamo sui social.

Sì, la sovranità appartiene al popolo che la esprime attraverso le elezioni e i referendum. Ma noi, noi non eleggiamo il governo, così come non abbiamo voce in capitolo per nominare presidente del consiglio e presidente della camera: noi eleggiamo solo parlamentari e senatori, potendo, tra l’altro, optare per una ristretta cerchia di nomi scelta a monte dai partiti politici. Non sapere cosa dice la carta costituzionale, che tutti dovremmo conoscere a memoria, ci rende ignoranti e analfabetiE in quest’ottica il ritorno dell’educazione civica a scuola rappresenta una grande opportunità per tutti, per rendere ogni cittadino componente attiva nella gestione del sistema paese ed evitare di trovare sempre capri espiatori, prendendoci responsabilità e pretendendo che i diritti di tutti vengano rispettati. Perché torna l’educazione civica a scuola? In realtà c’è già da tempo e si chiama cittadinanza e costituzione.

Introdotta nel piano dell’offerta formativa degli istituti di ogni ordine e grado nel 2008, l’insegnamento in oggetto ha preso il posto della vecchia educazione civica, fondamentale momento di riflessioni sulle varie tematiche di attualità.

Benché bistrattata da decenni, la nostra scuola è ancora uno dei pochi elementi di eccellenza di questo Paese e per questo deve essere sempre più supportata nel suo compito fondamentale di formare individui capaci, responsabili tali da esser chiamati cittadini. In questa prospettiva formativa la cultura non è solo nozionismo o l’acquisizione di regole astratte: imparare significa anche sapere chi si è, qual è il nostro posto nel mondo e quale quello degli altri. Imparare significa riconoscere in un volto un essere umano, innanzitutto, e semmai giudicarlo per ciò che fa, non per ciò che è.

L’obiettivo di tale insegnamento sarà quello di fornire loro gli strumenti per conoscere i propri diritti e doveri, di formare cittadini responsabili e attivi che partecipino pienamente e con consapevolezza alla vita civica, culturale e sociale  della loro comunità, fornendo gli strumenti per utilizzare consapevolmente e responsabilmente i nuovi mezzi di comunicazione e gli strumenti digitali, in un’ottica di sviluppo del pensiero critico, sensibilizzazione rispetto ai possibili rischi connessi all’uso dei social media e alla navigazione in Rete, contrasto del linguaggio dell’odio. L’introduzione dell’Educazione civica è un’iniziativa di grande sensibilizzazione per bambini e ragazzi che, non solo possono approfondire la conoscenza sulle Istituzioni e le leggi dello Stato, ma anche il concetto della legalità come valore dell’individuo: tutto questo risulta importante per lo sviluppo della conoscenza e della comprensione dei profili sociali, economici, giuridici, civici e ambientali della società.

Sono tre gli assi attorno a cui ruoterà l’Educazione civica: lo studio della Costituzione, lo sviluppo sostenibile e l’educazione ambientale, la cittadinanza digitale. L’obiettivo è fare in modo che le ragazze e i ragazzi possano imparare principi come il rispetto dell’altro e dell’ambiente che li circonda, utilizzino linguaggi e comportamenti appropriati quando sono sui social media o navigano in rete”.  Oltre a educazione civica, alunne e alunni saranno formati su educazione ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio, tenendo conto degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU. Rientreranno in questo asse anche l’educazione alla salute, la tutela dei beni comuni, principi di protezione civile. La sostenibilità è entrata, così, negli obiettivi di apprendimento.

Quali sono i principali problemi da affrontare? Il nuovo insegnamento muove da un’idea certamente articolata e innovativa dell’Educazione civica, superandone la tradizionale marginalità e sottolineandone il ruolo centrale nella formazione di base. Importante appare anche la scelta di non farne una “disciplina” a sé, che risulterebbe inevitabilmente secondaria, ma una prospettiva di attraversamento e integrazione delle diverse discipline. Questo è un progetto ambizioso ma anche impegnativo, tanto che il Ministero ritiene di dover effettuare un monitoraggio pluriennale prima di arrivare a definire obiettivi e traguardi specifici. Come faranno i docenti a parlare in sole 33 ore annuali di Costituzione, istituzioni dell’UE, Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibileeducazione alla cittadinanza digitaleeducazione ambientaleeducazione alla legalitàeducazione al rispetto del patrimonio culturaleprotezione civile, educazione stradale, educazione alla salute, volontariato? Tutti questi sono argomenti sacrosanti, che ognuno di noi dovrebbe conoscere ed approfondire, ma che così si rischia di buttare in un calderone in cui si disperderanno nozioni, competenze, energie.

Le sfide più importanti per i docenti sembrano riguardare:

  • la programmazione (principio della trasversalità),
  • la gestione collegiale attraverso i coordinatori (principio della contitolarità),
  • i criteri e le modalità di valutazione.

Queste tre tematiche sono strettamente connesse. Infatti, non sarà possibile alcuna reale contitolarità se non sulla base di una programmazione condivisa (a cominciare dal banale ma per nulla irrilevante problema del “chi ci mette le ore”, dato che l’orario non si può aumentare). D’altra parte, solo una condivisione di obiettivi e traguardi trasversali può consentire una valutazione che dovrà essere evidentemente impostata per competenze e dovrà anche essere capace di valutare la dimensione del comportamento.

L’Educazione civica non è una disciplina in senso tradizionale, ma – secondo le Linee guida – una “matrice valoriale” che orienta e raccorda verso la formazione civile i contenuti delle diverse discipline. Essa è dunque trasversale alle discipline stesse. In coerenza con questa impostazione, tutto il collegio docenti e i consigli di classe sono contitolari tale insegnamento. La responsabilità è dunque collegiale, anche se fra i docenti vengono individuati dei coordinatori che hanno il compito di gestire lo svolgimento delle attività e di formulare una proposta di valutazione, acquisite le necessarie informazioni da parte dei colleghi del consiglio di classe.

Due appaiono i criteri ispiratori di questi allegati:

  • la gradualità: si suggerisce di costruire un curricolo di educazione civica che muove dal sé e dall’ambiente immediato del bambino per giungere a più alti livelli di astrazione;
  • l’operatività: non si tratta di accumulare conoscenze, ma di utilizzare contenuti, metodi ed epistemologie delle diverse discipline per sviluppare competenze di carattere cognitivo, affettivo e sociale, avendo come orizzonte di riferimento una partecipazione sempre più attiva e consapevole alla vita pubblica.

Essere cittadini attivi con il senso dell’Unione Europea vuol dire non solo conoscere le tappe e le linee fondamentali della normativa europea, ma anche le problematiche politiche ed economiche, e i programmi di azione deliberati e finanziati dalle istituzioni europee. Gli allievi devono conoscere la costellazione dei diritti e delle opportunità che consentono di sentirsi insieme cittadini italiani e cittadini europei. Un testo fondamentale è la cosiddetta Carta di Nizza (2000), che dedica 54 articoli ai valori che caratterizzano i paesi aderenti all’UE (dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia). Questa Carta è stata inserita nel Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, che ha il rango di Costituzione dell’Unione europea. La partecipazione ai programmi europei costituisce una valida occasione per definire e realizzare con scuole di altri Paesi strategie didattiche finalizzate favorire tra i giovani il dialogo interculturale, con particolare riferimento alle problematiche civiche e sociali e alle norme che caratterizzano i diversi paesi, dalle rispettive costituzioni ai diversi statuti dei diritti e doveri degli studenti. Ci sono diversi modi per raggiungere una convivenza civile che non sia solo una coesistenza: sono processi a volte lunghi e complessi, ma non impossibili e si fondano sull’educazione alla cittadinanza comune. E il senso di appartenenza a una comunità condivisa si costruisce a partire dall’infanzia, nella famiglia e nella scuola.

Per questo, oggi più che mai, in una realtà sempre più articolata e sfaccettata, c’è bisogno di creare fondamenta comuni che costituiscano la base per una nuova società, che comprenda le differenze, trasformandole in ricchezza e non in motivo di scontro. La conoscenza dell’altro è l’unica strada da percorrere, se si vogliono abbattere i pregiudizi e la condivisione di regole e principi comuni: il terreno migliore su cui realizzarla è senza dubbio la scuola.

“Trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere”.
(Piero Calamandrei).

*Professoressa IIS Cellini Fi, Docente Utilizzata su Progetti Nazionale presso URS Toscana

La Scuola che Sogniamo è… Digitale. Emergere

da Tuttoscuola

Il Dossier “La Scuola che sogniamo” di questo mese di novembre è dedicato al tema della didattica digitale, esplorato però all’interno della particolare e difficile congiuntura che, ormai da molti mesi, stiamo vivendo. Il rapido diffondersi del COVID-19 ha portato alla lunga chiusura delle scuole, e alla conclusione particolarmente faticosa di un anno scolastico anomalo. Durante il lockdown è stato inevitabile far ricorso alla didattica a distanza. Lo si è fatto come si è potuto, per lo più improvvisando, con molta generosità, e nei modi più disparati, anche perchè il ministero non è stato in grado di fornire un supporto significativo. La didattica a distanza è stata, quindi, in troppo casi, una didattica di emergenza, faticosa, lacunosa, improvvisata. Poi c’è stata la pausa estiva, che non è stata utilizzata per preparare meglio la riapertura dell’anno scolastico, mentre dal Ministero si ripetevano i mantra del “La scuola riapre il 14 settembre“, “nessuno deve restare indietro” … E abbiamo visto come è andata. Ora molti insegnanti hanno un problema doppio, con alunni che seguono le lezioni in presenza, altri da casa, e, molto probabilmente, altri da nessun luogo. La didattica a distanza, troppo ingiustamente demonizzata, e che molti speravano di accantonare velocemente, sembra una triste medicina che bisogna ancora sorbire. Ma è proprio così? Ha veramente senso contrapporre le modalità della didattica in presenza con quelle a distanza? Le migliori esperienze ci insegnano che le cose non stanno in questo modo. Di questo abbiamo parlato nell’inserto de La Scuola che Sogniamo di novembre dedicato, appunto, alla scuola digitale.

Scopri il programma de La Scuola che Sogniamo 2020/21

Chi era preparato a gestire una didattica innovativa in presenza ha saputo farlo anche a distanza. In molti casi perché già utilizzava una molteplicità di linguaggi e di approcci metodologici, e il digitale non era la chance della disperazione, ma una risorsa importante. In altri casi mancava la competenza tecnologica specifica, ma non la passione educativa, la capacità di investire sul protagonismo degli studenti, di motivarli, di incoraggiarli a pensare criticamente e di spingerli a scoprire. Questi insegnanti non si sono arresi, non hanno permesso che il distanziamento fisico diventasse una barriera alla relazione, e allora hanno guardato con favore e disponibilità alle diverse modalità di interazione che la didattica digitale poteva offrire.

Una insegnante mi ha detto: “avevo parecchia difficoltà, ben poca esperienza, ma sono stati i miei studenti che mi hanno aiutato, ed è stato molto bello. Credo di essere diventata un’insegnante migliore.” Emergenza significa che qualcosa che era nascosto sta venendo alla luce.

Come il Dossier documenta, sta venendo alla luce una grande opportunità: servirsi del digitale non per sostituire (o per supplire) la didattica in presenza, ma per allargarne le possibilità, e renderla più efficace. Si fa strada l’idea di una didattica integrata, di un uso del digitale anche in presenza, e di un lavoro a distanza che batta sentieri innovativi. Di questo abbiamo parlato all’interno dell’inserto dedicato a La Scuola che Sogniamo pubblicato all’interno del numero di novembre di Tuttoscuola.

Stati Generali della Scuola Digitale: 5° edizione al via venerdì, 27 novembre

da Tuttoscuola

L’evento, giunto alla sua 5° edizione, ha acquisito negli anni notorietà e autorevolezza, diventando un’occasione di dibattito e di riflessione riconosciuta da un pubblico sempre più ampio in termini di numerosità e professionalità, grazie al coinvolgimento di esperti di alto calibro, non solo nell’ambito della comunità scolastica ma anche della politica, della psicologia, dell’economia. In meno di una settimana ha raccolto oltre 2.000 iscrizioni, che continuano ad arrivare ad un ritmo incessante. Il ruolo degli Stati Generali della Scuola Digitale quest’anno assume ancora maggiore responsabilità, in quanto collocato al termine di un periodo drammatico che ha investito trasversalmente tutti i settori.

“La scuola e l’intero sistema istruzione attraversano un periodo che non è mai stato così delicato e importante: le imminenti e necessarie decisioni da prendere condizioneranno in modo indelebile il futuro delle generazioni a venire e, di conseguenza, del nostro Paese. È il momento dell’attenzione, della riflessione e della responsabilità. Abbiamo non solo l’opportunità, ma anche il dovere di fare la cosa giusta. L’Educazione, nella sua accezione più ampia, è strettamente collegata allo sviluppo: è il momento del vero cambiamento, il momento in cui dobbiamo analizzare positività e criticità dell’intero sistema, è il momento di decidere, è il momento del coraggio. – afferma Dianora Bardi, Presidente di Impara Digitale, da sempre impegnata nello sviluppo di una didattica innovativa coerente con le trasformazioni della società.

L’evento che si svolgerà online il prossimo 27 novembre è articolato in due sessioni principali: una prima sessione dedicata al CONVEGNO, suddiviso in 3 panel principali, ed una seconda sessione dedicata ad un WEBINAR e a 9 TAVOLI VIRTUALI di approfondimento sulle tematiche del convegno.

SESSIONE 1 – CONVEGNO (9:00 – 16:00, con pausa dalle 13:00 alle 14:30)

Il convegno sarà aperto dalla Ministra all’Istruzione Lucia Azzolina e verterà su tre panel principali: l’utilizzo dei fondi della NextGenerationEU, il ruolo della didattica nel processo formativo dei giovani durante e post crisi, lo stato attuale e le trasformazioni necessarie nelle strutture e infrastrutture per la scuola.

A coordinare i panel saranno: Loredana Poli (Assessore all’Istruzione Comune di Bergamo), Francesco Sacco (Università Bocconi), Valentina Santarpia (Corriere della Sera), Pierangelo Soldavini (Il Sole 24 Ore).

Interverranno al convegno: Giorgio Gori, Patrizia Graziani, Dianora Bardi, Marco Bentivogli, Tito Boeri, Pietro Guindani, Matteo Lancini, Stefano Quintarelli, Roberto e Gualtiero Carraro, Marilù Chiofalo, Roberto Maragliano, Rossella Gianfagna, Patrizio Bianchi, Stefano Ghidini, Cristina Pez, Loredana Poli, Francesco Sacco, Concetta Cimmino, Rosalba Rotondo.

SESSIONE 2 – WEBINAR (16:30-18:30) e TAVOLI VIRTUALI (16:30-17:30)

All Webinar interverranno: Anna Ascani (Viceministra al MI), Patrizio Bianchi, Marco Campione, Mauro Guerra, Loredana Poli.

I 9 Tavoli Virtuali di approfondimento saranno a cura di: Roberto Maragliano, Dianora Bardi e Alessandra Rucci, Lucia Russo, Andrea Benassi, Marilù Chiofalo, Riccardo Tavola e Marina Lodigiani, Roberto Carraro, Iolanda Restano, Simonetta Falchi.

ISCRIZIONE E CERTIFICAZIONE

L’evento è a partecipazione gratuita e si rivolge all’intera comunità scolastica e a chiunque sia interessato ai temi. È richiesta l’iscrizione on-line. La partecipazione (previa iscrizione on-line) è certificata e riconosciuta ai fini dell’aggiornamento degli insegnanti.

Clicca qui per leggere il programma completo e per iscriverti all’evento

#IOLEGGOPERCHÉ

TORNA #IOLEGGOPERCHÉ, ECCEZIONALMENTE A NOVEMBRE E A PROVA DI COVID-19

Al via a partire da oggi la quinta edizione della grande iniziativa sociale che ha portato sino ad ora oltre 1milione di libri nuovi nelle biblioteche scolastiche di tutta Italia

L’appuntamento per donare un libro è dal 21 al 29 novembre 2020

AIE, Mibact e Cepell, in collaborazione con Ministero dell’Istruzione, per la prima volta insieme per realizzarlo

Iscrizioni aperte per le scuole e le librerie sul sito www.ioleggoperche.it dal 21 settembre

Torna, eccezionalmente a novembre,#ioleggoperché, la grande iniziativa sociale che punta a formare nuovi lettori, rafforzando nella quotidianità dei ragazzi l’abitudine alla lettura grazie alla creazione e al potenziamento delle biblioteche scolastiche.

“Un progetto che in soli quattro anni ha portato oltre un milione di libri nelle scuole italiane – ricorda il presidente dell’Associazione Italiana Editori (AIE), Ricardo Franco Levi – e che in un momento così difficile non poteva non esserci, come atto di responsabilità sociale e come segno concreto di risposta ai bisogni degli studenti e degli insegnanti. L’edizione 2020 è quindi eccezionale non solo per la data, ma soprattutto perché realizzata da AIE, per la prima volta insieme a Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo – Direzione Generale Biblioteche e Diritto d’Autore e a Centro per il libro e la lettura, in collaborazione con il Ministero Istruzione– Direzione Generale per lo Studente, l’Inclusione e l’Orientamento Scolastico. Le Istituzioni lavoreranno insieme a noi per realizzarla, con ritmi serratissimi e a prova di Covid-19”.

L’edizione 2020 – che conferma la collaborazione con l’Associazione Librai Italiani (ALI) e il Sindacato Italiano Librai e Cartolibrai (SIL), con l’Associazione Italiana Biblioteche(AIB), il supporto di SIAE – Società Italiana degli Autori ed Editori, il contributo di Pirelli e il sostegno di Mediafriends – parte oggi e culminerà nel periodo 21 – 29 novembre.

“#ioleggoperché riparte con forza ed entusiasmo per avvicinare i ragazzi alla lettura, far loro comprendere il fascino di immergersi nel mondo della fantasia e della immaginazione -sottolinea il Ministro per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, Dario Franceschini”. Grazie alla collaborazione tra scuola, editori e istituzioni, anche quest’anno sarà possibile portare tanti bambini e ragazzi a essere nuovi lettori, studenti di oggi e cittadini di domani”.

Si rafforzano così le azioni comuni di promozione della lettura, a partire dalla sinergia con Libriamoci. Giornate di lettura nelle scuole. La settima edizione, in programma dal 16 al 21 novembre, anticipa e annuncia le giornate clou di #ioleggoperché in un ideale passaggio di testimone che vede nella fine di una campagna l’inizio dell’altra:

“La rinnovata e intensificata alleanza tra #ioleggoperché e Libriamoci. Giornate di lettura nelle scuole – commenta in proposito Diego Marani, Presidente del Centro per il libro e la lettura – è la risposta concreta alla necessità di un impegno costante nella diffusione della cultura del libro tra i più giovani, soprattutto in un momento come questo. La continuità temporale tra le due campagne, ognuna arricchita dalla profonda sinergia con l’altra, sottolinea proprio questo aspetto: un lavoro sempre in divenire fatto di obiettivi condivisi e reciproco sostegno”.

Un grande lavoro di squadra che, a partire dagli editori e dalle Istituzioni, coinvolge ancora una volta librerie, biblioteche, media, tutte le tv (Rai, Sky, La7, Mediaset TgCom24) e privati cittadini per formare i lettori di domani. Tutti insieme per arricchire il patrimonio di libri delle scuole italiane.

“Nell’anno scolastico che sta iniziando, la scuola italiana sarà chiamata a sostenere un ruolo ancor più fondamentale del solito – dichiara la Ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina -. In un momento tanto delicato, accompagneremo studentesse e studenti – e quindi l’intero Paese – verso una nuova normalità. Un’iniziativa come #ioleggoperché aiuta questo percorso e riassume tutti i valori più importanti cui ci ispiriamo: amore per la cultura, impegno nel garantire la qualità della formazione delle ragazze e dei ragazzi, solidarietà. Per questo il Ministero dell’Istruzione tiene molto a una campagna che si inserisce perfettamente nel solco delle decisioni che abbiamo adottato in questi mesi, con provvedimenti come lo stanziamento di 236 milioni di euro per la fornitura gratuita di libri di testo e dispositivi digitali agli studenti meno abbienti o ancora di ulteriori 3 milioni per i corredi scolastici. La lettura è uno degli elementi chiave nella crescita culturale e personale e tutte le iniziative che la favoriscono potranno sempre contare sul nostro concreto sostegno”.

Dal 21 settembre le scuole italiane(primarie, secondarie di primo e secondo grado e scuole d’infanzia) e le librerie potranno iscriversi sulla piattaforma www.ioleggoperche.itche, successivamente, dal 28 settembre, permetterà loro di gemellarsi con le librerie aderenti.

#ioleggoperché 2020 sarà “a prova di Covid-19”: per agevolare le donazioni e garantire la meccanica dell’iniziativa in questo anno particolare, sulla piattaforma www.ioleggoperche.itverranno infatti segnalate le librerie che dispongono anche di modalità di acquisto a distanza, così da evitare situazioni di assembramento nei punti vendita dal 21 al 29 novembre, quando tutti gli italiani potranno acquistare un libro da donare a una scuola.

È prevista intanto, sempre nelle prossime settimane, la consegna alle librerie dei pacchi del contributo-editori 2019, destinati alle scuole che ne avevano fatto richiesta durante la scorsa edizione, bloccati fino ad ora a causa dell’emergenza.

#ioleggoperché è una iniziativa di AIE –Associazione Italiana Editori, sostenuta dal Ministero per i Beni e le attività culturali per il Turismo – Direzione generale Biblioteche e Diritto d’Autore, dal Centro per il libro e la lettura, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione – Direzione Generale per lo Studente, l’Inclusione e l’Orientamento, con l’Associazione Italiana Biblioteche (AIB), l’Associazione Librai Italiani (ALI), il Sindacato Italiano Librai e Cartolibrai (SIL), con il supporto di SIAE – Società Italiana Autori ed Editori, con il contributo di Pirelli e con il sostegno di Mediafriends.

Mediapartner: Corriere della Sera, Gruppo Mondadori, Repubblica, La7, Rai, SKY, Mediaset TGcom24.

Technical Partner: Messaggerie Libri e Comieco 

Per saperne di piùwww.ioleggoperche.it

Social

Facebook: @ioleggoperche – https://www.facebook.com/ioleggoperche/

Twitter: @ioleggoperche – https://twitter.com/ioleggoperche

Instagram: @ioleggoperche – https://instagram.com/ioleggoperche

YouTube: https://www.youtube.com/ioleggoperchévideo