L’eclissi della vita sociale
di Maria Grazia Carnazzola
1. Non è mai troppo presto.
La pandemia sembra aver stravolto e travolto i modi di vita consueti precipitandoci tutti, ma soprattutto i ragazzi, in un mondo di identità- forse non false ma certamente artefatte- che popolano spazi privati in cui si dissolvono gli spazi pubblici, in un mondo senza carne né ossa. Partecipare pubblicamente significa esserci simultaneamente, con la parola e con la presenza affettiva del corpo. Ma proprio gli affetti, e la capacità di gestirli e di viverli, sembrano assenti dal mondo della rete dove si rappresentano in forma anonima, impersonale, seriale per esplodere in forma incontrollata, proprio ora che è vicino il momento del ritorno in classe per tutti e lo spazio ridiventa pubblico. Non possiamo ignorare che circa la metà degli studenti delle superiori dichiarano di preferire le lezioni a distanza e molti di aver paura di uscire. Sembra che questo anno trascorso abbia ribaltato il rapporto tra esterno e interno, tra spirito e corpo, come dice Chul Han; è il corpo che muove lo spirito, non viceversa; sembra che abbiamo dimenticato che le azioni sono motivate psicologicamente, ma che sono le forme di interazione ritualizzate che strutturano il rapporto con l’altro e con il mondo. A cominciare dai rapporti con le persone a noi più vicine. Quando la faccia dell’influencer di turno ci risulta più familiare di quella del nostro vicino di casa, è il segnale che qualcosa è cambiato nella nostra esperienza quotidiana; l’influencer può essere una celebrità, ma ai ragazzi andrebbe spiegato che anche la celebrità- nella sua pervasività e prepotenza, è un prodotto delle tecnologie dell’informazione, delle quali molti di noi sentono la forza dell’azione, ma sulle quali non riusciamo ad esercitare un reale potere.
Se, come testimoniano non pochi genitori attraverso i media, i ragazzi preferiscono rimanere in casa, chiusi nella loro stanza, c’è da chiedersi cosa abbiamo fatto noi adulti per evitare, o almeno contenere, questo fenomeno. L’impotenza che provano non è solo il segno di un fallimento individuale, riflette piuttosto l’inadeguatezza delle nostre istituzioni che sembrano le stesse di sempre ma che stanno diventando qualcosa di diverso, anche se continuiamo a chiamarle famiglia, scuola, lavoro, sanità, cultura…Se le istituzioni sono inadeguate, bisognerà ripensarle perché possano continuare a far fronte ai compiti che vengono loro assegnati. In questo periodo carico di incognite, di cui riusciamo a cogliere a malapena i contorni, bisogna continuare a vivere, non limitarsi ad aspettare di vivere. Al netto di chi non vuole tornare a scuola perché restare a casa è più comodo, il numero dei ragazzi che sono davvero in difficoltà non è irrilevante. Reazioni interpersonali come irritabilità, isolamento e ritiro, accompagnate da ansia e da sentimenti di abbandono non provati in precedenza, possono essere ricondotte alla categoria dei disturbi correlati a eventi stressanti non attribuibili necessariamente a cause mediche. La risposta emotiva agli eventi traumatici o stressanti può essere diversa: per alcuni l’evento insegna ad essere resilienti e ad andare oltre; per altri la reazione è estesa, si percepiscono impropriamente le situazioni come minacciose, l’individuo non riesce a riorganizzarsi e reagisce con un disadattamento e un’ansia che hanno ricadute sulle relazioni interpersonali, intrapersonali e ambientali. Un aiuto può venire in questi casi, anche alla scuola, dalle scienze biologiche, dalla neuropsicologia, dalla psicologia cognitiva, dalla psicologia sociale, nel rispetto delle rispettive mission. Non è mai troppo presto per intervenire ed evitare che le nuove opportunità di comunicazione a distanza si trasformino in fardelli.
2. Essere genitori, essere figli.
In questo momento, mi piacerebbe si potesse ripetere la ricerca che Eugenia Scabini aveva condotto, alla metà degli anni ’90, su un campione di più di 300 nuclei familiari composti da padre, madre e un figlio di età compresa tra i 12 e i 20 anni. L’indagine mirava a conoscere non tanto le paure e le speranze di genitori e figli per un generico futuro, ma per un futuro riferito a sé e ai propri legami più significativi rispetto a undici categorie: scuola, lavoro, famiglia, tempo libero, ricchezza, amici, salute, affettività, successo, autonomia, mondo. Per ogni categoria veniva poi chiesto in quali tempi il soggetto pensasse di doverla affrontare e di valutare se la propria realizzazione dipendesse da fattori esterni o interni. Tra il gruppo dei genitori e quello dei figli, come era prevedibile, si sono rilevate delle differenze, ma anche un sostanziale accordo sulla successione delle tappe del ciclo di vita individuale: 1) realizzare gli obiettivi relativi alla scuola; 2) trovare una collocazione lavorativa; 3) costituire una propria famiglia. Il timing degli adolescenti risultava parallelo a quello degli adulti, salvo che per la tempistica: per i genitori più lenta, per i giovani più accelerata, ma per entrambi la scelta era orientata dalle capacità individuali e questo aggancia il compito evolutivo della costruzione dell’identità individuale e sociale che si fondano anche su autonomia cognitiva, di giudizio e di ragionamento logico e a un’accresciuta capacità di scelta e di responsabilità per orientarsi al futuro, il cui nodo centrale è la distinzione tra tempo ciclico e tempo progettuale. Tempo naturale e tempo sociale sono oggi difficilmente sovrapponibili nelle società occidentali, seguono logiche autonome per cui la transizione alla condizione adulta è sempre più dilazionato e staccata dalla maturazione biologica (prima adolescenza), sempre più sfuggente e meno ritualizzata. Si pensava che le civiltà occidentali snobbassero il passato e si proiettassero nel futuro confidando nelle grandi potenzialità tecnologiche. Le cose evidentemente non stanno proprio così. Per pensare al domani bisogna vivere il presente, con consapevolezza e coraggio, sapendo che le difficoltà ci sono in ogni tempo: ci sono state nel passato, ci saranno in futuro e ci sono nel presente, vanno affrontate con coraggio guardando le cose per quello che sono. “Sapere aude”. Allora il “tempo amico” non può essere che il presente, da guardare attraverso il pensiero scientifico e il pensiero umanistico, per leggere il passato e pensare al futuro.
Spetta agli adulti fare in modo che la realtà, sociale e naturale, che i giovani incontreranno sia adatta ad accogliere i loro sogni e le loro speranze e che siano attrezzati per viverli appieno, nel bene e nel male, in un mondo globalizzato che non coincide con il mondo occidentale. Per questo, ancora di più in questo particolare momento, bisognerebbe porre la massima attenzione alla costruzione del senso di efficacia- personale e sociale- a fornire gli strumenti- materiali, cognitivi, affettivi- che li aiuti a “costruirsi” per camminare da soli. Così come a camminare non si impara all’improvviso, ma si impara gradualmente, in situazioni di crescenti autonomia e responsabilità, anche la responsabilità e il senso del dovere si imparano.
3. La difficoltà di crescere senza modelli.
Abbiamo imparato che la costruzione di sé e del proprio sistema di valori è un percorso complesso che si snoda tra cognitivo e affettivo; ha origine dalle esperienze affettive nel contesto sociale e relazionale in cui si cresce, a cominciare dalla famiglia, nella possibilità di imitare e identificarsi in chi si ama e di essere riconosciuto e amato in tutte le situazioni e per tutti i compiti cognitivi. In questo momento chi dovrebbe fornire modelli e stimoli fatica ad essere di aiuto perché è disorientato a sua volta: i genitori sembrano vivere con difficoltà e spesso con angoscia il proprio ruolo che pensano di interpretare efficacemente garantendo ai figli “i successi” e “le uguaglianze” che viaggiano in rete. Sono cambiati i modi di essere figlio ed è difficile trasformare il disagio esistenziale in una ricerca di nuovi modi di essere padre e madre.
Anche la scuola vive una profonda crisi di significati, testimoniata dagli insoddisfacenti risultati sia sul piano dell’istruzione sia su quello dell’educazione. Non è un caso che si continui a parlare di finanziamenti e di progetti per “innovare” e promuovere valori socialmente condivisi: inclusione, uguaglianza, legalità, ambiente, democrazia, cittadinanza… Quasi mai si verifica la capacità della scuola di offrire ai giovani gli strumenti per costruire identità sicure e strutturati sistemi valoriali attraverso solidi sguardi disciplinari. La
questione dei vaccini ad esempio, potrebbe essere un ottimo focus di riflessione sia per ragionare sul loro funzionamento, sia per chiedersi perché vengano testati solo su soggetti di sesso maschile; le risposte possono essere trovate solo attraverso i saperi disciplinari e rimandano alla differenza tra concetti scientifici (il concetto di sesso ad esempio) e concetti umanistici. Se pensiamo così ci rendiamo conto del torto che stanno subendo i giovani.
Infine, è evidente la crisi culturale e morale che stiamo attraversando e che mina la credibilità delle istituzioni e della classe politica che dovrebbero rappresentare punti di riferimento valoriali. Non si possono sottacere le pesanti ripercussioni per l’intera società, ma ancora di più sulle aspettative dei giovani, per la mancanza di esempi positivi con cui identificarsi, sulla fiducia nella possibilità di costruire un comune tessuto di principi per scopi di impegno collettivo. Assistiamo a episodi dozzinali, violenti, i cui protagonisti sono senza vergogna. Lo abbiamo rivisto in questi ultimi giorni. Capita che l’esternazione contenuta in un video, che può passare come dolore e sgomento di un padre, possa essere letta anche come l’esibizione di un potere mediatico e una manifestazione di familismo amorale: il giudizio morale si ferma quando si toccano i familiari. Nessuno si chiede se ci sia una differenza tra i genitori e i figli nella percezione dei fatti narrati dai media e se quei fatti raccontino di ingiustizie sociali mascherate. Ma se non si dà modo ai giovani di dire, attraversando con loro con solidi sguardi disciplinari i problemi che la contemporaneità pone, che senso ha parlare di giustizia sociale, di democrazia, di educazione, di ambiente, di globalizzazione, di uguaglianza, di diritti, di sostenibilità? Sappiamo che la sostenibilità appartiene più alla categoria dei concetti umanistici che a quella dei concetti scientifici. È sostenibile questa scuola? Le risposte sono vincolate ai contesti locali che non possono chiudersi a sguardi globali: ci sono ragazzi che faticano a tornare a scuola, ce ne sono altri, nel mondo, che a scuola non ci vanno, perché la scuola non ce l’hanno.
4. Conclusioni.
La sostenibilità dello sviluppo passa attraverso la comprensione dei fenomeni naturali, sociali e culturali; è evidente l’importanza che rivestono i percorsi di istruzione e di formazione in tutto questo e quanto incidano le politiche che devono mirare a servizi scolastici in grado di coniugare efficienza ed efficacia con equità ed eccellenza, garantendo a ciascuno al termine dell’obbligo una base comune di conoscenze e di competenza. Ma tutto questo va verificato e valutato, parole che in questo periodo pare non debbano essere pronunciate. Come si fa ad aiutare ed a orientare qualcuno se non si analizza con lui il suo problema? I docenti sono professionisti e come tali hanno il compito etico della manutenzione del proprio profilo professionale, attraverso un continuo aggiornamento/formazione, ma non si può chiedere loro di trasformarsi in terapeuti o in DJ delle conoscenze. L’insegnamento ha bisogno di tempi di programmazione e di predisposizione di contesti che non si possono improvvisare; i sistemi simbolici di una cultura, i valori e i disvalori che rappresentano il “clima educativo” di una scuola, condizionano il modo in cui le capacità della mente vengono sviluppate e utilizzate. In particolare conta moltissimo come gli studenti vivono la scuola in cui studiano e la posizione che essa assume nella loro cultura, sosteneva J. Bruner. Un valore è senza dubbio la costruzione dell’identità che, per non diventare vuota autoreferenzialità, deve svolgersi su uno sfondo di relazioni e di significati sociali.
BIBLIOGRAFIA.
Scabini E., Psicologia sociale della famiglia. Sviluppo dei legami e trasformazioni sociali, Bollati Boringhieri, Torino 1995;
S.D. Dziegielewski, DSM-5 in Action, Giunti O.S. Psychometrics S.r.l., Firenze 2017;
Bruner J., La cultura dell’educazione: nuovi orizzonti per la scuola, Feltrinelli, Milano 1997;
Bottani N., Requiem per la scuola?, Il Mulino, Bologna 2013;
Caprara G.V.,Steca P.,Capanna C., Le determinanti personali dell’ecoresiliency negli adolescenti, Giunti, Età Evolutiva n77/2004;
Sini C., Il sapere dei segni, Jaca Book, Milano 2012;
Chul-Han B., La scomparsa dei riti- una topologia del presente, Nottetempo Edizioni, Milano 2021.
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