Dedicato ai figli dei malati di SLA

Dedicato ai figli dei malati di SLA il nuovo video-manifesto

Vita del 17/03/2021

Presentato oggi in diretta social “Per me questo non è un gioco”, lo spot realizzato da quattro studenti dello Ied di Milano e premiato lo scorso novembre al XIX Spot School Award, concorso organizzato dall’Associazione Creativisinasce. Al centro dell’attenzione la vita quotidiana di una bambina che ha dovuto crescere più in fretta, ma che non ha rinunciato ai suoi sogni. Da tre anni Aisla ha attivato il progetto Baobab dedicato proprio ai minori con un genitore affetto da SLA.

di Antonietta Nembri

Una ragazzina, Anna, sta preparando la pasta chiacchiera, pone domande cui risponde una voce. Una scena normale in una cucina, poi l’immagine si allarga e di spalle si vede la sagoma del padre e il piccolo schermo di un computer… Anna si volta, racconta al suo papà che da grande sogna di diventare una chef e aprire un ristorante. Tutta questa sequenza è parte del nuovo video manifesto di AISLA – l’associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica intitolato “Per me questo non è un gioco”. È come una fotografia della vita quotidiana dei figli di un genitore affetto da SLA, bambini che sono cresciuti un po’ più in fretta, confrontandosi con la malattia, ma che non devono rinunciare a inseguire i loro sogni.

Alla presentazione di oggi, sui canali Facebook e YouTube di AISLA – condotta da Davide Briosi, speaker radiofonico più conosciuto come Brio – sono intervenuti Alberto Fontana, segretario nazionale AISLA; Ron nella sua veste di testimonial e consigliere dell’associazione, i quattro studenti dello IED di Milano autori del video realizzato per Spot School Award – Andrea Azzolini, Arianna Formilli, Riccardo Bertoldi Roverotto e Silvia Borri – i rappresentanti della giuria dello Spot School Award 2020 e Paolo Zanini, papà affetto da Sclerosi laterale amiotrofica che – rivelano da AISLA – ha inconsapevolmente ispirato il progetto.

Non è un caso che ci siano i bambini e i loro sogni al centro del nuovo video manifesto di AISLA. Come spiega Ron: «Ogni bambino ha il diritto di sognare, anche quando convive con un genitore affetto da una malattia ingombrante come la SLA. Anche per le nostre famiglie è importante garantire opportunità di crescita ai propri figli, come l’iscrizione a una scuola di calcio o di danza, la partecipazione a una vacanza studio, l’acquisto di materiale scolastico Ecco perché uno degli impegni dell’Associazione è proprio quello di sostenere le necessità dei ragazzi, sia dal punto di vista psicologico sia pratico, per consentire loro di continuare a credere nei sogni» ha concluso il testimonial e consigliere di Aisla che alla fine della diretta ha voluto regalare a tutti i presenti online la canzone “L’uomo delle stelle”.

Dal 2018 AISLA, attraverso gli psicologi del GipSLA (Gruppo psicologi Sla) in collaborazione con la facoltà di Psicologia dell’Università di Padova, sostiene il Progetto “Baobab” (ne abbiamo parlato qui e qui ). Il primo studio al mondo, possibile grazie all’alleanza tra AISLA e Fondazione Mediolanum Onlus, focalizzato sui bambini e i preadolescenti con un genitore colpito dalla SLA, finalizzato a comprendere a fondo in che modo la presenza della malattia possa incidere psicologicamente sulla crescita e lo sviluppo dei ragazzi e a individuare soluzioni per aiutare le famiglie a seguire i figli nel modo migliore in una situazione di così grande difficoltà.

«Emozionato», così si è sentito Alberto Fontana alla visione del video realizzato dai giovani professionisti: «Hanno saputo cogliere l’essenza di ciò che accade nella quotidianità di una famiglia che convive con una disabilità. Con semplicità e delicatezza si racconta il desiderio e il coraggio di continuare a esserci, a vivere pienamente il proprio ruolo nella società, così come all’interno della famiglia. Perché la voce di un genitore rimanga guida, a prescindere dalle proprie abilità e disabilità». Fontana ha poi ricordato che anche questo, come il precedente spot “This is a story”, lanciato nel 2014, è un ulteriore strumento per fare sensibilizzazione e raccogliere fondi per poter sostenere le diverse attività come per esempio: il centro di ascolto che lo scorso anno ha risposto a 10.500 chiamate, il fondo sollievo, il Registro nazionale Sla, la Fondazione ARISLA che si occupa di ricerca scientifica e il Progetto Baobab
Proprio per valorizzare il ruolo genitoriale AISLA ha scelto di lanciare il suo nuovo video manifesto nella settimana in cui si celebra la Festa del Papà, con lo spot che rappresenta anche la crescita che l’associazione ha vissuto negli ultimi anni. Il focus dei progetti, infatti, si è ampliato, abbracciando l’intero contesto di vita delle persone con SLA, andando così a sostenere intere famiglie.

“Per me questo non è un gioco”, come il video manifesto che l’ha preceduto lanciato nel 2014, è frutto del lavoro di giovani talenti. A realizzarlo infatti sono stati Andrea Azzolini, 23 anni; Arianna Formilli, 24 anni; Riccardo Bertoldi Roverotto, 23 anni e Silvia Borri, 29, studenti dello IED Milano.
Lo scorso 20 novembre il progetto è stato premiato con «Argento Sezione TV» in occasione del XIX Spot School Award, il concorso organizzato annualmente dall’Associazione Creativisinasce, riservato esclusivamente a studenti di comunicazione e pubblicità che, dal 2001, focalizza l’attenzione di atenei italiani e stranieri sul mondo dell’advertising. A giudicare i lavori: Gerardo Sicilia, presidente di Spot School Award, Matteo Biasi di Aldo Biasi Communication, Elena Vettorato di Rai Pubblicità, Mauro Miglioranzi di Cooee Italia e Clara Camplani, giornalista e giurata per AISLA.

«Ci siamo incontrati un anno fa», raccontano gli autori del video, «lavorando insieme per questo brief, però, abbiamo avuto l’impressione di essere cresciuti insieme. In questo progetto abbiamo cercato di far emergere la parte migliore di noi: quella attenta, empatica, sensibile, che guardando al futuro intravede un mare di possibilità. Lo spot si basa proprio su questo. Il risultato finale, però, ha richiesto tanta ricerca sulla malattia, ha richiesto di parlare con le persone. Ci siamo posti l’obiettivo di raccontare una storia plausibile. Per questo abbiamo scelto di entrare in punta di piedi per scoprire un mondo che non conoscevamo, fatto di speranza e di cura. Il lato tecnico è stato inevitabilmente condizionato dal lockdown, però anche da distanti, abbiamo cercato di unire le forze, ognuno con le sue competenze».

Terza giornata di DIDACTA ITALIA

Gli eventi da non perdere alla terza giornata di DIDACTA ITALIA: fra i relatori Enrico Letta

Occhi puntati su DIDACTA GREEN nella Giornata mondiale del riciclo

Firenze, 17 marzo 2021 – Prosegue fino a venerdì 19 la quarta edizione di DIDACTA ITALIA, il più importante evento nazionale sul ‘pianeta scuola’, quest’anno tutta sul web.

L’ospite più atteso di questa terza giornata (giovedì 18 marzo) è Enrico Letta,neosegretario del Partito Democratico e presidente dell’Istituto Jacques Delors, il think tank europeo fondato 25 anni fa con sedi fra Parigi e Berlino. Enrico Letta parteciperà al Convegno Educazione alla cittadinanza attiva (Cittadinanza europea – economica – digitale) in programma dalle ore 17,00 alle ore 19,00 insieme a un team di esperti fra i quali Anna Maria Lusardi (docente di Economia presso la George Washington University), Magda Bianco (Capo Dipartimento per la Tutela della clientela e educazione finanziaria della Banca d’Italia) e Andreas Schleicher (Responsabile OCSE di Pisa). Coordina Tonia Mastrobuoni, corrispondente di La Repubblica per la Germania.

Dalla pandemia al post: competenze e risorse psicologiche per una scuola al centro della società è l’evento che apre alle ore 14,00 organizzato dall’Ordine degli Psicologi Italiani con la partecipazione del Presidente dell’Ordine David Lazzari e di esperti del mondo scolastico e scientifico.

Fra gli eventi della mattina, alle ore 10riflettori puntati sulla Didattica POP di Lorenzo Baglioni. Giovane cantautore, scrittore, ex professore di matematica, nel 2018 approda sul palco di Sanremo con la canzone “Il congiuntivo”. Dal 2015 produce contenuti per il web con più di 80 MLN di visualizzazioni.

Tanti gli appuntamenti di DIDACTA GREEN in programma oggi giovedì) in occasione dellaGiornata mondiale del riciclo, che sarà anche un’occasione per toccare i nodi educativi della cultura circolare. Un modello che vede l’Italia protagonista: con il 79% di rifiuti totali avviati a riciclo il nostro Paese vanta un’incidenza più che doppia rispetto alla media europea, che si ferma al 38%. Dalle 16 alle 17.50 i promotori dell’area green di Didacta incontreranno il mondo della scuola per un confronto 

dal titolo Educare alla circolarità: esperienze di economia circolare al centro di percorsi partecipati sugli obiettivi dell’Agenda 2030. Un appuntamento a cui interverranno insieme alla Presidente di Legambiente

Scuola e Formazione Vanessa Pallucchi e all’autore del manuale Educare all’economia circolare Franco Salcuni, il Vicepresidente Conou Riccardo Piunti, il Direttore Generale di Ecopneus Giovanni Corbetta e la vicepresidente della Commissione Ambiente della Camera Rossella Muroni.

Alle 18 si prosegue con il seminario La rete dei #GreenHeroes che trasformano gli ostacoli in opportunità e danno vita ad economie generative e nuove professioni green” promosso dal Kyoto Club. Sarà l’occasione per raccontare alcuni dei migliori talenti green italiani, come quelli del Museo diffuso dei 5 sensi di Sciacca e della vernice mangia inquinamento. Presenti i protagonisti di queste best practice, la co-ideatrice e coordinatrice della campagna #GreenHeroes Annalisa Corrado e il co-ideatore, firma e volto della campagna Alessandro Gassmann.

L’Unità nazionale

L’Unità nazionale

di Maurizio Tiriticco

Ricorre il 160esimo anniversario della nostra Unità. Propongo un mio scritto di dieci anni fa che non ha affatto perso di attualità.

Nel lontano 10 gennaio 1859, alla vigilia della Seconda guerra di indipendenza, Vittorio Emanuele II, Re del Regno sardo, nel Discorso della Corona pronunciò la celebre frase: “Nel mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tanta parte d’Italia si leva verso di noi. Forti per la concordia, fidenti nel nostro buon diritto, aspettiamo prudenti e decisi i decreti della Divina Provvidenza”. Com’è noto, fu un discorso forte sul quale gli stessi suoi ministri e perfino il Conte di Cavour non erano totalmente d’accordo ed avrebbero suggerito una maggiore prudenza.

Il fatto è che la storia, vista con l’occhio del poi, sembra scorrere come un fiume nel suo alveo certo, ma, vista con l’occhio del prima, è un fiume che irrompe impetuoso e che, passo dopo passo, cerca e costruisce il suo alveo.

Ed ancora. Nel successivo Discorso della Corona del 2 aprile 1860 Vittorio Emanuele II ebbe a dire: “Fondata sullo Statuto l’unità politica, militare e finanziaria e la uniformità delle leggi civili e penali, la progressiva libertà amministrativa della Provincia e del Comune, rinnoverà nei popoli italiani quella splendida e vigorosa vita che in altre forme di civiltà e di assetto europeo era il portato delle autonomie dei Municipi, alle quali oggi ripugna la costituzione degli Stati forti ed il genio della Nazione. Nel dar mano agli ordinamenti nuovi, non cercando nei vecchi partiti che la memoria dei servigi resi alla causa comune, noi invitiamo a nobile gara tutte le sincere opinioni per conseguire il sommo fine del benessere del popolo e della grandezza della Patria. La quale non è più l’Italia dei Romani né quella del medio evo; non deve essere più il campo aperto alle competizioni straniere, ma deve essere bensì l’Italia degli Italiani”.

Sono citazioni severe, austere, determinate, che non riflettono, però, tutti i dubbi, le incertezze, le irrequietudini che animavano la corte e il governo sabaudo, presieduto in quegli anni da Cavour. Non si è giunti a quelle scelte, a quelle dichiarazioni ufficiali con un consenso unanime del gruppo dirigente e con il favore indiscriminato del popolo; in effetti il cammino è stato assai accidentato. Lo stesso Cavour era per soluzioni più prudenti che vedessero un forte Regno sabaudo nel Nord, dal Piemonte alla Dalmazia, a fronte di altri Regni nel Centro e nel Sud d’Italia: con grande disappunto del Papa e dei suoi sostenitori, tra cui gli stessi re delle Due Sicilie, Ferdinando II e Francesco II. I prudenti uomini di governo tessevano tele giorno dopo giorno e non si avventuravano tanto nel sogno di un’Italia unita allora e subito, che era più dei mazziniani, dei garibaldini, degli idealisti delle Giovine Italia e della Giovane Europa.

Era Mazzini che vedeva nella Nazione il fondamento ideale, istituzionale e politico della sovranità popolare e dello Stato democratico. E’ noto quanto pensava: “Per Nazione noi intendiamo l’universalità de’ cittadini parlanti la stessa favella, associati, con eguaglianza di diritti politici, all’intento comune di sviluppare e perfezionare progressivamente le forze sociali e l’attività di quelle forze.” Oggi una simile definizione non ci stupisce più di tanto, ma, pronunciata più di 160 anni fa, sollecitò quella forte coesione tra quei patrioti che, provenendo da tutte le parti d’Italia, combatterono e morirono alla difesa della Repubblica Romana e della sua Costituzione. E non è un caso che all’articolo 4 della Carta leggiamo: “La Repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli, rispetta ogni nazionalità, propugna l’Italiana”.

In quel conflitto ora latente ora palese tra uomini di governo e patrioti pronti a tutto, Vittorio Emanuele II ebbe il merito di saper coniugare le due istanze. In quegli anni sconfisse, anche se di misura, stando alla pace di Zurigo, per certi versi limitativa rispetto alle speranze della vigilia, sia le preoccupazioni politiche dei Francesi che quelle territoriali degli Austriaci, superando gli stessi consigli alla prudenza costantemente reiterati dai suoi ministri.

Così nell’arco di due anni, dal ’59 al ’61, il fiume della storia che ha condotto alla nostra unificazione nazionale ruppe tutte le barriere fino a quel fatidico 17 marzo del 1861.

Il rapido succedersi degli eventi è il seguente.

Il 27 gennaio 1861 in tutti i territori annessi hanno luogo le prime elezioni politiche per la formazione del primo Parlamento italiano. In effetti, dato che si votava per censo e che le donne erano escluse dal voto, gli aventi diritto erano circa solo il 2% della popolazione residente, e di questi solo la metà si recò alle urne, meno di 300.000 persone! Com’è noto, non votarono gli elettori di stretta osservanza cattolica, in forza della parola d’ordine  né eletti né elettori” – in relazione a quel “non possumus” di Pio IX contro le “usurpazioni” piemontesi – preoccupati delle mire unificatrici del nuovo regno, che di lì a qualche anno avrebbero portato anche alla caduta dello stesso Stato pontificio.

Il Parlamento si riunisce a Torino il 18 febbraio 1861. Il 17 marzo viene approvata la legge che conferisce a Vittorio Emanuele II e ai suoi discendenti il titolo di Re d’Italia. Il 23 marzo è costituito il primo governo italiano e Cavour è il primo Presidente del Consiglio.

Il resto è storia nota. Il processo della unificazione del nuovo regno procede tra mille difficoltà, la rapida industrializzazione al Nord, l’occupazione pressoché militare del Sud, la repressione della resistenza opposta dai cosiddetti briganti ad un corso politico che non considerava più la terra la fonte della ricchezza; ma anche con alcuni successi, una scuola elementare obbligatoria per i primi due anni – il tasso di analfabetismo oscillava intorno all’80% – la leva obbligatoria, l’avvio dell’unificazione linguistica, la presenza italiana sui tavoli internazionali. Una storia, quindi, difficile e complessa. Alcune culture regionali forse vengono conculcate, i dialetti combattuti. Ancora oggi ci si chiede se il prezzo che abbiamo pagato per l’unità nazionale non sia stato troppo alto! Ma che sarebbe successo dei piccoli staterelli della nostra penisola, se questa non avesse ricercato e costruito un’unità più ampia e reale a fronte degli Stati nazionali che ormai sul continente europeo esercitavano una indiscussa egemonia? E’ valsa la pena misurarsi con quelle egemonie nazionali? O avremmo dovuto restare dispersi in una miriade di piccoli Stati, una sorta di specie protetta e condannata ad una dipendenza di fatto da altre ben più poderose nazionalità? Mèta forse di turisti curiosi più che di capitali produttivi! Va detto con forza che l’unità nazionale non avvilisce le autonomie, anzi le esalta perché, lungi dall’isolarle in una possibile e mortificante autoreferenzialità, permette loro di situarsi in un contesto più ampio in cui ciascuna di esse può commisurarsi e crescere.

A questo proposito ci sovviene e ci soccorre il discorso del nostro Presidente, Giorgio Napolitano, quando all’Accademia dei Lincei nel 12 dicembre del 2010 ebbe a dire tra l’altro:

“Con l’avvicinarsi del centocinquantenario si vedono emergere, tra loro strettamente connessi, giudizi sommari e pregiudizi volgari su quel che fu nell’800 il formarsi dell’Italia come Stato unitario, e bilanci approssimativi e tendenziosi, di stampo liquidatorio, del lungo cammino percorso dopo il cruciale 17 marzo 1861. C’è chi afferma con disinvoltura che sempre fragili sono state le basi del comune sentire nazionale, pur alimentato nei secoli da profonde radici di cultura e di lingua; e sempre fragili, comunque, le basi del disegno volto a tradurre elementi riconoscibili di unità culturale in fondamenti di unità politica e statuale. E c’è chi tratteggia il quadro dell’Italia di oggi in termini di così radicale divisione, da ogni punto di vista, da inficiare irrimediabilmente il progetto unitario che trovò il suo compimento nel 1861”.

Napolitano avvertiva il peso e l’importanza che hanno oggi quei movimenti che all’interno dell’Unità ricercano spazi per valorizzare origini lontane che pur fortemente hanno contribuito a promuovere identità locali, particolari, pur sempre forti e interessanti. In un pianeta che oggi sta attraversando profondi cambiamenti, due sono in effetti le linee di tendenza: quella che porta a ricercarci tutti come cittadini del mondo, in un processo che gli economisti chiamano globalizzazione, indotto e prodotto dalle tecnologie della comunicazione, quelle fisiche, i trasporti, e quelle virtuali veicolate dal web, ben più potenti perché incidono direttamente sulle conoscenze, sui saperi, sulle abitudini, sui modi stessi di pensare e di sentire; e quella che porta, in un processo contrario, a ricercare il locale, il particolare, l’origine identitaria di ciascuno di noi. E forse, in questa polarità di processi, il globale e il locale possono essere visti come le due facce della stessa medaglia che più compiutamente alcuni definiscono glocalizzazione.

Se queste considerazioni sono vere, come è, non c’è alcuna contraddizione tra ricordare e celebrare l’unificazione nazionale e nel contempo ricercare e valorizzare tutti i tasselli che costituiscono questa unità e che forse una unificazione troppo accelerata ha portato ad offuscare, se non addirittura in taluni casi a comprimere: la violenta liquidazione di quel movimento di lotta armata che venne bollato come brigantaggio, le bacchettate dei maestri quando un bambino di prima elementare, siciliano o veneto che fosse, persisteva nel linguaggio dei padri e resisteva alla lingua nazionale.

In taluni casi forse si è errato, si è forzata la mano: comunque, era anche necessario correre a costruire ferrovie, strade, ponti, scuole, caserme, ministeri, e tutte le infrastrutture di cui tutti gli Stati europei da decenni erano già largamente forniti. Va anche considerato che poi il regime fascista ha impresso al Paese quella fascistizzazione nazionalistica che grave nocumento ha arrecato a tutte quelle minoranze linguistiche e culturali di confine che dopo la grande guerra erano state annesse al Regno d’Italia. In tale ottica, è comprensibile che oggi la Provincia autonoma di Bolzano dichiari di non potersi associare alle celebrazioni unitarie rivendicando, appunto, una autonomia etnica, culturale e linguistica che ha origini molto lontane nel tempo: di fatto il Sud Tirolo è molto più antico dell’Alto Adige!

E’ anche vero, però, che nello stesso momento in cui celebriamo l’Unità, stiamo marciando verso il federalismo, o meglio verso un assetto politico nuovo in cui le Regioni possano ritrovare le loro origini, rivendicarle anche, pur in un contesto nazionale che non le umilia affatto, anzi le esalta.

Vale forse la pena riandare alla nostra stessa Costituzione. Nell’articolo 5 i nostri Padri costituenti nel 1947 scrissero testualmente: “La Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. E nell’articolo 114 leggiamo: “La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni”. I Costituenti hanno prefigurato fin dagli anni Quaranta, nell’immediato dopoguerra, per un Paese sconfitto e umiliato da venti anni di dittatura, uno Stato fortemente unitario ma nel contempo aperto alle autonomie locali e regionali. E nel processo che oggi stiamo attraversando e costruendo, che prende nome di federalismo, ma che più correttamente potremmo definire di progressivo decentramento dei poteri dal centro alla periferia, dallo Stato alle Regioni, si procede proprio verso quella valorizzazione delle identità regionali che forse per tanti anni non sono state debitamente considerate.

E non è un caso che nella riscrittura che è stata fatta, in sede di revisione del Titolo V della Costituzione nel 2001, quell’articolo 114 è stato così riscritto: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. Si sottolinea un netto passaggio da uno Stato che potremmo definire accentratore e verticale ad uno Stato, invece, orizzontale e fortemente decentrato sulle sue istituzioni periferiche. Si tratta di un deciso passo in avanti verso una più ampia democratizzazione e partecipazione delle istituzioni e dei singoli cittadini.

A questo proposito, ci soccorrono ancora le parole che il Presidente Napolitano ha pronunciato nel già citato discorso. Negli anni del secondo dopoguerra “non poteva comunque mancare, nei padri costituenti, la consapevolezza di come l’unità della nazione e dello Stato italiano fosse stata appena faticosamente messa al riparo da prove durissime che l’avevano come non mai minacciata. Una consapevolezza che dovrebbe oggi essere seriamente recuperata”. Pertanto, la deriva di vecchi e nuovi luoghi comuni, afferma il Presidente, di umori negativi e calcoli di parte, non deve assolutamente sottovalutarsi.

Per tutte questa serie di ragioni, la data del 17 marzo 2021 non può costituire una semplice ricorrenza di routine, ma invece l’occasione perché nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle piazze, nelle famiglie, si rifletta sulla nostra storia, senza alcuna retorica, senza squilli di trombe, considerando invece le luci e le ombre del nostro recente passato. E’ un segno di maturità il fatto che un adulto sappia ripensare gli anni della sua giovinezza per meglio comprendere come e perché è giunto a quel punto e come e perché debba procedere oltre. Se un atteggiamento di questo tipo, critico e riflessivo, vale per il singolo, per la persona, vale anche per le persone che insieme vivono come cittadini della nostra Repubblica democratica fondata sul lavoro, dove appunto lavorano, pensano, progettano.

Perché l’essere umano è anche, o soprattutto, un animale sociale, e la vita e il destino del singolo non sono dissociati dalla vita e dal destino di noi tutti. Riflettere almeno per un giorno sul nostro passato significa conoscere meglio il presente e meglio proporsi per l’avvenire.

E. Cline, Harvey

Emma Cline scrive dell’anima

di Antonio Stanca

   Recentemente è stato pubblicato dalla Einaudi, nella serie Stile Libero Big, Harvey, ultimo breve romanzo della scrittrice americana Emma Cline. La traduzione è di Giovanna Granato. Pure in America l’opera è comparsa quest’anno.

  La Cline è nata nel 1989 nella contea di Sonoma, in California. Ancora adolescente, mentre frequentava la Sonoma Academy, aveva recitato. Diplomatasi, aveva frequentato il Middlebury College e poi la Columbia University. Aveva cominciato a scrivere, erano stati brevi racconti per i quali era stata premiata. Nel 2016 avrebbe scritto Le ragazze, suo romanzo d’esordio, nel quale dice di una donna che ricorda la sua vita da ragazza, quando era entrata a far parte di una setta clandestina, e che dal suo caso è mossa a riflettere sul male esistente nel mondo, sulle sue gravi conseguenze. Nonostante la critica avesse mosso delle obiezioni circa l’ambientazione del romanzo e la sua conclusione, nonostante la Cline fosse stata accusata di plagio, Le ragazze divenne un successo in America e nel mondo, fu molto premiato, rimase tre mesi nella classifica dei migliori romanzi presentata dal “New York Times”, fece rientrare la Cline nell’elenco degli autori della Granta, quello dei migliori giovani scrittori americani, e fu scelto per una riduzione cinematografica. D’allora i racconti della Cline sono comparsi in importanti riviste letterarie.

   Come ne Le ragazze anche in Harvey la scrittrice muove dalla realtà, dalla storia privata e pubblica della sua America e trasforma alcuni eventi clamorosi in narrazioni dove è possibile solo intravederli perché hanno perso ogni riferimento, ogni particolarità e acquisito un significato più esteso.

   In Harvey il motivo ispiratore è stato quello di un celebre caso giudiziario e di chi ne era risultato colpevole. Nel romanzo si chiama Harvey. Vive nel Connecticut e lavora nel mondo dello spettacolo, cinema in particolare. E’ un personaggio noto. Nei suoi riguardi è in corso un processo per ragioni che la scrittrice non chiarisce mai del tutto, che lascia solo intendere. Si sofferma, invece, si dilunga per quasi tutta la narrazione a mostrare Harvey, a far vedere come, dove trascorre i giorni che precedono, soprattutto l’ultimo, la conclusione del processo, la lettura della sentenza. E’ ansioso, inquieto anche se si sforza di stare, di apparire tranquillo, di non preoccuparsi. Si dice, si convince di non aver commesso alcun reato. Si è allontanato dalla città dove ha sede il tribunale, vi farà ritorno il giorno della sentenza. Intanto è stato in continuo contatto telefonico con i suoi avvocati che lo hanno informato circa gli sviluppi del processo. Si è sentito telefonicamente anche con amici, che lo hanno invitato a non pensare troppo a quanto sta succedendo, a sperare bene ma c’è stato pure chi non si è mostrato completamente sicuro di un esito positivo. Tra questi estremi Harvey ha trascorso il tempo prima della sentenza. Si è trasferito in case isolate, si è spostato in continuazione tra queste e locali pubblici. Ha provato a sentirsi con vecchi amici o amiche, a non parlare della sua vicenda, a immaginare come sarà, come vivrà dopo.

   La situazione, però, si va sempre più aggravando, le notizie che giungono non sono delle migliori, Harvey entra in uno stato di agitazione, sta già pensando a chi rivolgersi per cercare una qualunque soluzione. Ma non si arriverà al giorno della sentenza, il romanzo finirà prima, non farà sapere come è andata, farà solo vedere Harvey in uno stato di quasi delirio per quanto si prepara dal momento che completamente diverso dalle sue aspettative si preannuncia. Si conclude la narrazione della Cline dopo essersi rivelata una lunga, interminabile indagine su quanto in quei giorni è avvenuto nella mente, nell’animo del protagonista. Tutto ha detto la scrittrice dei suoi problemi interiori e tanto importanti sono stati da aver fatto diventare marginale, di poco conto la conoscenza della verità ultima.    Come scrittrice dell’anima ha esordito la Cline e come tale ha continuato!

Un «patto» per una scuola più giusta e con più risorse

da Il Sole 24 Ore 

di Eugenio Bruno

Nella scuola, come nella vita, è importante ragionare per obiettivi. Ne è convinto il ministro Patrizio Bianchi, che ha delineato ieri – nel corso di una lunga giornata che lo ha visto prima partecipare a Uno Mattina, poi incontrare i sindacati, quindi essere audito in Parlamento e infine inviare un videomessaggio a Didacta 2021 – la sua road map per l’istruzione. Partendo da un obiettivo a breve («riportare gli studenti in presenza e in sicurezza il primo possibile») e passando per uno a medio termine («cominciare l’anno prossimo tutti il 1° settembre»), il titolare di viale Trastevere delinea anche la scuola che verrà: più giusta e con più risorse. Grazie ai quasi 17 miliardi destinati al comparto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e all’effetto moltiplicativo e accelerativo che genereranno.

Non sono concetti usati a caso quelli del neoministro. Ma che attingono alla sua formazione di economista e al recente passato di assessore dell’Emilia Romagna. Ad esempio al Patto per il lavoro che, mutatis mutandis, ritorna oggi con il “Patto per l’Istruzione e la formazione” proposto alle organizzazioni sindacali. Sotto forma di quattro tavoli tematici da chiudere subito dopo Pasqua: grandi assi del sistema di istruzione; personale (organico, reclutamento, precariato); emergenza in atto, edilizia, spazi; squilibri e disparità fra regioni e territori (Sud e periferie). In attesa dell’atto di indirizzo sul rinnovo del contratto che dovrebbe riconoscere al personale scolastico 90 euro in più lordi (su cui si veda Il Sole 24 Ore di lunedì 15 marzo).

Qualche elemento in più, sul presente e sul futuro, Bianchi lo ha fornito in audizione sul Pnrr davanti alle commissioni Istruzione di Camera e Senato. Nel ringraziare Lucia Azzolina per il lavoro svolto Bianchi ha sostanzialmente confermato l’impostazione che la sua predecessora aveva dato al versante Scuola del Recovery. Riservandosi però aggiustamenti sullo 0-6 anni o rimodulazioni. In ballo ci sono quasi 17 miliardi. Ai 7,2 per l’edilizia scolastica (di cui 6,4 per il risanamento e 0,8 per le nuove costruzioni) vanno aggiunti i 3,5 per l’accesso all’istruzione e riduzione dei divari territoriali, che significano 1 miliardo in più al tempo pieno, 1 alla fascia 3-6 anni e sezioni primavera e 1,5 alla lotta andi-dispersione. Risorse a cui si sommano gli 1,5 miliardi agli Its, che a suo giudizio sono anche pochi visto che si traducono in 300 milioni l’anno e che dobbiamo portare decuplicare almeno gli iscritti attuali fermi a quota 18mila, e i 4,5 miliardi alla maxi-voce Stem e multilinguismo. Che si è meritata a sua volta un paio di distinguo, a cominciare dal fatto che 400 milioni per la formazione degli insegnanti sono pochi se poi si programmano 3 miliardi sulla Scuola 4.0.

In chiusura il pensiero è andato va alla sospensione della didattica in presenza che sta scavando un solco negli appredimenti dei ragazzi. Il ministro ne è consapevole, così come che bisogna avviare un piano di recuperi grazie alle risorse in arrivo con il Dl sostegni. Ma per lui «non sono 20 giorni in più di scuola a giugno» la soluzione. Meglio puntare sui patti di comunità e su attività di sostegno da svolgere insieme al personale di enti locali e terzo settore, sia quest’anno, sia d’estate (chiaramente in via facoltativa), sia a settembre quando la scuola riaprirà. Se possibile essendo pronti già il 1°: «una cosa che non++ accade da 20 anni», ha chiosato.

Cida a Bianchi: intervenire su sicurezza e qualità didattica per pari opportunità e sviluppo

da Il Sole 24 Ore 

di Redazione Scuola

«Misurare per migliorare»: è lo slogan che sintetizza l’impegno di Cida, (Confederazione dei dirigenti pubblici e privati e delle alte professionalità) nei confronti del mondo della scuola. A farsene portavoce è stata ieri Licia Cianfriglia, vicepresidente della Confederazione, in un incontro con il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi. «Riteniamo – ha detto – che vi siano evidenti aree di criticità del nostro sistema d’istruzione nel suo complesso, sulle quali si può intervenire: risorse (finora poche e/o mal distribuite), assenza di incentivi al miglioramento, distanza (anche culturale) tra mondo della scuola e mondo del lavoro e tra scuola e università, presenza di poche università di livello internazionale, qualità della didattica, reclutamento e preparazione del personale. A parere di Cida, occorre un’ampia diffusione di una cultura della valutazione a tutti i livelli del sistema educativo, costruendo processi di accountability che riguardino i contesti organizzativi, le performance del personale, i risultati di apprendimento degli studenti».

«Siamo convinti – ha sottolineato la vicepresidente – che il governo dei processi di miglioramento è responsabilità del dirigente di ciascuna scuola, che dovrà pertanto essere dotato di strumenti, tuttora assenti, di valutazione e gestione del personale adeguati all’obiettivo. È indispensabile un sistema di valutazione del personale e la costruzione una carriera docente ad esso connessa, che realizzi un middle management irrinunciabile per la gestione della complessità attuale di ciascuna scuola».

«All’interno di tale sistema – ha chiarito ancora Cianfriglia – il direttore dei servizi generali e amministrativi e lo staff dei docenti che coadiuvano il dirigente, devono trovare specifica e autonoma collocazione, per superare gli squilibri del sistema organizzativo che tendono a concentrare sul dirigente scolastico un eccessivo numero di incombenze gestionali, in contrasto con quanto avviene in tutto il mondo del lavoro pubblico e privato. Sempre in tema di personale, l’annosa questione del precariato a scuola, causa di discontinuità educativa e del complicato avvio di ogni anno scolastico, non può trovare altra efficace soluzione, a nostro avviso, che attribuendo potere di assunzione alle singole scuole, senza negare il ruolo determinante del concorso, che va velocizzato per tutti i profili».

«Se, in termini generali – ha ricordato la vicepresidente – l’obiettivo di Cida è quello di ridare dignità alla scuola, offrendo a tutti le stesse opportunità di partenza, configurando la scuola pubblica quale ascensore sociale e facendo sì che la professione docente torni a essere ambita, sia dal punto di vista retributivo che come meccanismo di carriera, non ci sfugge l’urgenza di interventi immediati e concreti. Il primo, in ordine di priorità è quello della messa in sicurezza degli edifici, per garantire l’incolumità delle persone che li vivono. Per questo va coordinato un Piano efficace di interventi a partire dell’istituzione di un’anagrafe dei solai mediante una banca dati gestita dal ministero, in veste di cabina di regia nei confronti degli enti locali».

«Seguono poi – ha aggiunto Cianfriglia – una serie di azioni non più procrastinabili e così sintetizzabili: eliminare le interferenze tra competenze dirigenziali e competenze collegiali, la cui disciplina risale a quasi 50 anni fa, intervenendo sul testo unico; riaprire subito la stagione contrattuale anche per superare l’inaccettabile iniquità tra le retribuzioni dei dirigenti della scuola e degli altri dirigenti dell’area».

«Restando nell’attualità – ha proseguito – per quanto riguarda la proposta di prolungare l’anno scolastico nel tentativo di colmare le lacune educative provocate dalla pandemia, pensiamo che sia preferibile affidarne la soluzione alle singole scuole autonome dotate di finanziamenti adeguati e invece a livello generale concentrarsi sulla qualità dell’insegnamento. Cida constata l’incapacità del sistema attuale di fornire risposte adeguate agli studenti a causa della prassi didattica generalmente anacronistica, eccessivamente basata sulla lezione frontale e fonte di disinteresse e dispersione da parte degli alunni. Ne deriva l’urgenza di attuare un piano di aggiornamento capillare e massivo per i docenti in modo da fornire loro le competenze per realizzare una didattica attiva, partecipativa, motivante e arricchita dalle tecnologie emergenti. Va introdotto un modello di formazione continua, per effettuare scelte consapevoli e indirizzarsi verso le professioni (e quindi i percorsi di studio) più richiesti dal mercato».

«Per questo – ha spiegato ancora la vicepresidente – è importante l’esperienza dell’alternanza scuola-lavoro (oggi Pcto). Da questo punto di vista, andrebbe di nuovo potenziato il canale della formazione in contesto lavorativo, anche tornando a chiamarla col nome che le è proprio. Su questo tema è necessario fuggire dagli ideologismi e ragionare a partire dai risultati concreti e dai dati di fatto».

«Le associazioni di dirigenti – ha concluso Cianfriglia – si sono spese fortemente per qualificare i percorsi di Alternanza Scuola-Lavoro, ma il depotenziamento di questa in sede politica ha fatto quasi ovunque mettere in stand by un buon numero di esperienze su cui si erano registrate disponibilità da parte di dirigenti di diverse associazioni e federazioni, con un impegno a favore dei giovani. In quest’ultimo ambito di impegno, Cida conferma la propria disponibilità a spendersi con docenze e varie forme di counseling o mentoring, perché anche questa è una dimensione cruciale per rilanciare in senso qualitativo il mondo dell’istruzione nel nostro Paese».

Recovery Plan: un piano o un programma di governo?

da Il Sole 24 Ore 

di Giorgio Allulli

Ci sono molte buone intenzioni nella bozza di Piano per l’istruzione presentata dal Governo per accedere ai finanziamenti del Next generation Eu. Nella Missione 4 del Piano, ma anche all’interno di altre Missioni, ritroviamo il proposito di affrontare tutti, o quasi tutti, i principali problemi della nostro sistema formativo: si va dalla diffusione degli asili nido, delle scuole dell’infanzia e del tempo pieno alla lotta agli squilibri territoriali, alla dispersione ed al deficit di competenze, specialmente Stem; dalla rivisitazione della carriera e della formazione di docenti e presidi alla riforma ed al potenziamento dell’istruzione e della formazione tecnica e professionale, dell’Its, dell’apprendistato e dell’orientamento; ed infine all’edilizia scolastica ed all’educazione degli adulti.

I numeri
Lo stanziamento per tutti questi interventi è molto ingente, si tratta di circa 27 miliardi (esclusa l’Università), da spendere in 5 anni, entro il 2026. La Commissione europea, dopo l’approvazione del Piano, anticiperà al nostro Paese il 13% del fondo, mentre le successive tranches di finanziamento verranno erogate successivamente, dietro presentazione di report semestrali che dimostrino l’effettivo progresso delle azioni previste del Piano. Il 70% dei fondi dovranno essere impegnati entro la fine del 2022, il 100% entro la fine del 2023, il 100% dei pagamenti effettuati entro la fine del 2026.Si tratterà dunque di una massa ingente di miliardi che andrà a sostenere le esangui casse della nostra scuola. Ma arriveranno davvero o faranno la fine degli stanziamenti del Fondo Sociale Europeo, che ci vedono sempre in grandissima difficoltà quanto a capacità di utilizzo, con la realizzazione di risultati molto scarsi?

Gli interrogativi
Leggendo il Piano sorgono due grossi interrogativi, non tanto sui contenuti, che sono in gran parte condivisibili, ma sul metodo. 1) Questo non è un vero Piano, e certamente non risponde alle aspettative della Commissione europea. La Commissione richiede che il Piano sia un documento operativo, che indichi con chiarezza obiettivi generali e specifici, target quantitativi da raggiungere, procedure di attuazione, fasi, indicatori e tempi di avanzamento, numero di soggetti coinvolti per ogni fase, relativi stanziamenti, modalità di monitoraggio, ecc.. Nel Piano italiano è tutto, o quasi, molto vago, esattamente il contrario di quello che chiede la Commissione. Sarà un problema per la successiva attuazione (ammesso che venga approvato). Nel Piano sono riportati (non sempre) solo gli stanziamenti finali previsti per le diverse azioni, e qualche volta l’utenza finale da raggiungere, ma non vengono mai indicati i passaggi intermedi, né in termini qualitativi né quantitativi, che pure sono fondamentali per accedere ai successivi finanziamenti, quando si dovranno dimostrare, dati alla mano, i risultati ottenuti. 2) Il secondo interrogativo è di tipo politico. Questo Piano sembra redatto da un extraterrestre, qualcuno catapultato da un altro pianeta, che avendo buone antenne ha compreso in gran parte quali sono i punti deboli della nostra scuola, e dunque presenta condivisibili proposte di soluzione. Purtroppo al nostro marziano nessuno ha spiegato qual è il contesto del sistema scolastico e formativo nazionale, ha raccontato le eterne dispute politiche sulla scuola, i veti delle organizzazioni sindacali, i contrasti tra competenze statali e regionali, le incapacità di spesa degli Enti Locali, la mancanza di dati attendibili, e tutti i precedenti fallimenti dei migliori propositi di riforma, che hanno portato alle cadute rovinose di Ministri e Governi.

La sfida
Più che un Piano che deve essere realizzato in tempi rapidi e valutato in tempi certi, per ricevere i finanziamenti previsti, questo potrebbe essere il Programma di un Governo che duri almeno un paio di legislature.Qualche esempio?•Il Piano intende costruire una carriera docente dando l’opportunità ai docenti più dinamici e capaci di assumere responsabilità all’interno della scuola, accompagnata alla possibilità di crescere in ruolo. Potranno avere funzioni di coordinamento, progettazione o formazione dei loro colleghi, ricevendo per le loro mansioni aggiuntive e per la qualifica raggiunta una retribuzione mensile maggiore. Giustissimo, ma sono almeno 40 anni che se ne parla. E perché fino ad ora non si è riusciti a realizzarlo? Quanti Ministri si sono immolati contro i sindacati della scuola nel vano tentativo di attuare questo obiettivo?•Il Piano intende potenziare gli Istituti Tecnici Superiori (Its) con l’obiettivo di decuplicarne in 5 anni gli studenti e creando una maggiore osmosi fra Its e percorsi universitari. Perfetto, è sacrosanto. Ma per realizzare questo obiettivo è necessario rivedere i rapporti tra Stato e Regioni, depositarie di questa competenza, i sistemi di finanziamento, oggi del tutto episodici, le modalità costitutive degli Its (la Fondazione di partecipazione, attualmente prevista per creare un Its, è complessa da realizzare). Vengono spesso citati i Tecnici superiori della Francia, che sono 10 volte tanto i nostri Its, ma lì questi Istituti sono costole dei Licei, e dunque hanno tutt’altra facilità di costituzione e sviluppo. Anche le Fachhochschulen tedesche hanno un ordinamento che le rende più riconoscibili ed appetibili, al pari delle Università.

Si potrebbe continuare a lungo su questa disamina ma questi esempi dovrebbero essere sufficienti per capire che il Piano per la scuola va profondamente rivisto, puntando su pochi progetti, immediatamente “cantierabili”, ben sviluppati nel loro percorso attuativo. Il resto è meglio lasciarlo al programma di Governo. Con tanti auguri.

Bianchi: “La Dad non è quella dell’anno scorso. Maturità esame vero”

da La Tecnica della Scuola

Il ministro Patrizio Bianchi, ospite di ‘Uno Mattina’, ribadisce la presenza e l’impegno del mondo della scuola in questo momento particolare di chiusure in quasi tutto il Paese.

“Le scuole non hanno mai chiuso, quelle del primo ciclo le abbiamo tenute aperte fino allo stremo, con i bambini in presenza fino a che è stato chiaro che questo virus poteva colpire anche loro. Non è stata una decisione a cuor leggero, chiudere è stato un atto di responsabilità del governo. Stiamo lavorando per riportarli in presenza e in sicurezza il prima possibile”.

Ancora il ministro sulla pandemia: “Il virus è mutato, è una storia nuova, le varianti colpiscono anche i bambini che inizialmente erano stati risparmiati. Sono a rischio i nostri figli e nipoti. C’è un pericolo e lo affronteremo tutti insieme”.

“La Dad non è quella dell’anno scorso – afferma Bianchi – ci sono molte esperienze e dimostreremo che i nostri insegnanti hanno sempre tenuto aperta la porta coi loro ragazzi. Non si sono mai fermati i nostri insegnanti, hanno lavorato moltissimo, la scuola non è mai stata ferma, bisogna aver fiducia nella scuola e negli insegnanti. Stiamo lavorando per aiutare le famiglie, facendo un ponte tra questo e l’anno prossimo, ampliando l’offerta didattica”.

Infine sulla maturità, il ministro dell’istruzione specifica: “sarà un esame di maturità vero e pieno, non all’acqua di rose o di emergenza. Gli studenti potranno testimoniare come sono cresciuti in questo ciclo di studi”.

Incontro Ministro – Sindacati, forse ci sarà un “Patto per la scuola”

da La Tecnica della Scuola

Quello di oggi fra i sindacati e il ministro Bianchi è stato un incontro puramente ricognitivo; di fatto il Ministro si è limitato ad ascoltare i diversi leader sindacali che – a loro volta – hanno espresso le proprie richieste.
Nel concreto il confronto è stato poco più che formale.

Tutti i sindacati presenti hanno sottolineato l’importanza di affrontare al più presto il problema del rinnovo contrattuale.
Rino Di Meglio (Gilda) ha evidenziato la necessità che nella stesura dell’atto di indirizzo si tenga conto della specificità del comparto scolastico perché, se si dovessero prevedere aumenti proporzionali agli stipendi in corso, la scuola ne uscirebbe ancora una volta penalizzata.
Bombardieri (Uil) e Turi (Uil-Scuola) hanno proposto di definire un documento di carattere generale che identifichi gli obiettivi di medio e lungo periodo (infrastrutture, investimenti e politica sanitaria).

Icotea

Per la Cgil è intervenuto Maurizio Landini che ha ricordato che oggi c’è da affrontare una “vera e propria emergenza educativa: dispersione scolastica, abbandoni, spopolamento delle aree interne, tanti giovani che non studiano e non sono in formazione (NEET), bassi livelli di istruzione tra gli adulti”.

Per Luigi Sbarra (Cisl) e Maddalena Gissi (Cisl Scuola) si è trattato di “un incontro importante per dare continuità e profondità a un percorso concertato di riforme che veda nella Scuola e nelle filiere della conoscenza dimensioni fondamentali per il futuro della comunità nazionale”.
“Da subito e con urgenza – aggiungono – vanno definite insieme le azioni per una conclusione sostenibile dell’anno scolastico e su una riapertura al 1° settembre in condizioni di massima efficacia e sicurezza”.

Un patto per l’istruzione

“Abbiamo di fronte un obbligo – ha detto il Ministro – fare in modo che la scuola torni ad essere il centro del Paese, un centro dinamico, un motore di sviluppo per uscire dalla pandemia, ma anche dalla stagnazione. Abbiamo di fronte un anno costituente, un anno in cui dobbiamo essere capaci di valorizzare al massimo la nostra scuola”. 

Nei prossimi giorni si dovrebbero aprire tavoli tematici di reale confronto per arrivare prima di Pasqua alla firma di un vero e proprio “Patto per l’istruzione”.

“Il Patto – spiega Bianchi – avrà un ampio respiro, guardando sia a temi di stretta attualità, primo fra tutti, l’avvio ordinato ed efficiente del prossimo anno scolastico, ma anche ad una visione di scuola che va costruita con l’aiuto di tutti”.

Monitoraggio dati, tutto da rifare

da ItaliaOggi

Alessandra Ricciardi

Tutto da rifare. Ad oggi , a un anno dallo scoppio dell’epidemia, un monitoraggio su contagi e focolai nelle scuole non esiste. I dati esistenti sono risultati, alle verifiche fatte in queste prime settimane di interlocuzione tra Agostino Miozzo, all’epoca coordinatore del Cts, e il ministro dell’istruzione, Patrizio Bianchi, praticamente inutilizzabili. Da ieri Miozzo, che si è dimesso dalla guida del Cts, è il nuovo consulente di Bianchi proprio per il monitoraggio della situazione scolastica. Obiettivo: creare un sistema più affidabile di informazioni sulla pandemia negli istituti. E dunque, per esempio, predisporre un reale tracciamento dei casi per capire se i contagi sono intrascolastici oppure exstrascolastici.

Il report fatto dall’Istituto superiore di sanità infatti non dice tutto, essendo organizzato esclusivamente per fasce di età, e le comunicazioni sul contagio scolastico da parte delle Asl tra l’altro sono scarne e tardive. Altro punto cruciale, le diverse politiche adottate dai Dipartimenti di prevenzione e contenimento in caso di sospetto contagio Covid a scuola, con misure a volte tardive o eccessive sulle quarantene.

Miozzo è stato tra quanti in questi mesi ha sostenuto l’importanza, anche sotto il profilo medico, della scuola in presenza per i ragazzi, così come della necessità di avere presidi sanitari scolastici. Ora dovrà proporre soluzioni per coniugare, proprio alla luce dei dati, la futura riapertura delle scuole e la messa in sicurezza di personale e alunni. Soluzioni che, per camminare, dovranno essere portate avanti dall’Istruzione insieme al ministero della Salute -al quale lo stesso Miozzo nei mesi scorso aveva, inutilmente, chiesto di uniformare le pratiche di contenimento e intervento dei Dipartimenti di prevenzione-, i Trasporti, e le Regioni.

Altro tasto dolente, i trasporti: quel parametro del 50% di capienza massima sui mezzi pubblici, fissato dallo stesso Comitato tecnico scientifico, quasi mai è stato rispettato, nelle ore di punta dell’affluenza scolastica i mezzi sono stati inevitabilmente presi d’assalto.

Intanto Lega e M5s continuano a stare, pur da alleati di governo, su due fronti opposti in merito alla sicurezza della scuola. All’Istruzione si replica insomma la contrapposizione che era maturata tra i due partiti durante il governo Conte2. Rossano Sasso, sottosegretario leghista, continua a sostenere che la scuola «non è sicura», è veicolo di contagio, e chiede al ministro Bianchi di fare «un’operazione verità» fornendo tutti i dati. Dall’altra parte, la sottosegretaria 5 stelle, Barbara Floridia, replica, come stanno facendo tutti i M5s (tra questi la stessa ex ministra Lucia Azzolina), che le scuole possono e devono essere riaperte.

A iniziare da quelle dei più piccoli. «Cominciamo a rivedere le regole: i nidi, le scuole materne e quelle elementari dovrebbero restare aperte anche in zona rossa, con chiusure circoscritte e limitate a casi in cui vi siano focolai riconosciuti o particolari situazioni di pericolo. Non c’è sicurezza assoluta, ma garanzie sì. Le scuole sono luoghi in cui le regole vengono rispettate e in cui mascherine, igienizzanti e distanziamento sociale sono ormai la norma».

Aumenti di merito e assunzioni, oggi il round tra Bianchi e sindacati

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

Il taglio del cuneo fiscale sarà trasformato in un incremento dell’importo della retribuzione fondamentale, ma buona parte dei fondi per il rinnovo del contratto sarà destinata alla retribuzione dello straordinario (fondo d’istituto). Sono queste alcune delle novità più importanti contenute nel patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale siglato il 10 marzo scorso dal premier Mario Draghi e i segretari di Cgil, Cisl e Uil, rispettivamente Maurizio Landini, Luigi Sbarra, Pierpaolo Bombardieri. L’accordo definisce le linee generali, lungo le quali dovrà essere costruito il nuovo impianto contrattuale che dovrà regolare il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, scuola compresa.

Oggi il round si sposterà a viale Trastevere, con l’incontro con i segretari delle confederazioni e i generali della scuola. Al centro anche le modifiche sull’aspetto normativo, gli incrementi di merito e il piano assunzionale.

Le trattative per il rinnovo del contratto saranno avviate non appena il governo emanerà gli atti di indirizzo. E comprenderanno una prima fase, all’esito della quale sarà sottoscritto il nuovo contratto nazionale quadro sui comparti e sulle aree di contrattazione della pubblica amministrazione. La seconda fase sarà incentrata, invece, sulle trattative per il rinnovo dei contratti di comparto. Per la scuola il comparto di riferimento è Istruzione e Ricerca. Che comprende la scuola, l’università (con l’eccezione dei docenti e dei ricercatori, perché sono in regime di diritto pubblico), la ricerca e l’Afam (accademie e conservatori).

I fondi disponibili per il rinnovo dei contratti sono pari mediamente a 1.187 euro lordi a testa. Che dovrebbero consentire aumenti medi netti di circa 48 euro mensili. Ma il condizionale è d’obbligo, perché i 48 euro comprendono anche lo straordinario. E cioè la dotazione finanziaria del fondo di istituto. Il patto del 10 marzo, peraltro, esplicita che tra i vincoli che il governo intende porre al tavolo negoziale vi è proprio quello di indirizzare una parte consistente delle risorse disponibili verso il lavoro aggiuntivo. Valutazione del merito e premialità, che nella scuola vengono tradotte a loro volta in progetti didattici e in incarichi di collaborazione con il dirigente scolastico. Vale a dire, in attività lavorative diverse dall’insegnamento in senso stretto.

Tanto si evince anche dalle linee programmatiche della funzione pubblica rese note dal nuovo titolare di palazzo Vidoni, Renato Brunetta, durante l’audizione resa davanti alle commissioni riunite I e XI della camera e del senato il 9 marzo scorso: « I meccanismi di valutazione delle performance assumeranno un ruolo cruciale… e andranno innovati profondamente per diventare una leva premiale». Dunque, una parte rilevante delle risorse sarà erogata secondo criteri discrezionali nella disponibilità del dirigente scolastico. A questo proposito, il patto del 10 marzo chiama in causa anche il middle management, già anticipato dall’ex ministra dell’istruzione, Lucia Azzolina, con l’atto di indirizzo del 4 gennaio (si veda Italia Oggi del 26 gennaio scorso, pag.35). L’accordo, infatti, prevede la rivisitazione degli ordinamenti professionali tramite l’introduzione di nuove figure non dirigenziali «dotate di competenze e conoscenze specialistiche, nonché in grado di assumere specifiche responsabilità organizzative e professionali».

Il testo negoziale prevede, peraltro, il rafforzamento nel tempo di queste figure tramite l’individuazione di ulteriori risorse finanziarie da stanziare nella legge di bilancio del 2022. Uno spazio importante per realizzare queste innovazioni sarà quello della formazione permanente del personale, anche in vista di una maggiore digitalizzazione di tutti i servizi della pubblica amministrazione. Il tempo necessario alla formazione, però, sarà considerato a ogni effetto come attività lavorativa. È ragionevole ritenere, dunque, che il nuovo contratto specificherà in modo chiaro che la formazione rientra nel monte delle 40 ore destinato alle attività destinate alle riunioni del collegio dei docenti.

La contrattazione collettiva dovrà, inoltre, occuparsi di regolare il lavoro agile. Il patto del 10 marzo si pone come obiettivo quello di introdurre una nuova disciplina contrattuale che garantisca condizioni di lavoro trasparenti, atte a migliorare la qualità della prestazione conciliando le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori con le esigenze organizzative delle pubbliche amministrazioni. Nell’ambito del contratto collettivo nazionale di lavoro del triennio 2019-21, saranno quindi disciplinati, in relazione al lavoro svolto a distanza (lavoro agile), aspetti di tutela dei diritti sindacali, delle relazioni sindacali e del rapporto di lavoro. Quali, per esempio, il diritto alla disconnessione, le fasce di contattabilità, il diritto alla formazione specifica, il diritto alla protezione dei dati personali, il regime dei permessi e delle assenze ed ogni altro istituto del rapporto di lavoro e previsione contrattuale.

«Il mio impegno è riaprire le scuole e far immunizzare i professori»

da Corriere della sera

Fiorenza Sarzanini

«Interventi mirati per riaprire le scuole al più presto con scelte che siano uguali in tutta Italia»: Agostino Miozzo, l’ex coordinatore del Cts diventato consulente del ministro per l’Istruzione Patrizio Bianchi, ribadisce il suo obiettivo.

Le scuole sono chiuse. Ancora crede di riuscirci?

«Il ministro Bianchi è deciso a fare tutto il possibile. Ovviamente dovrà confrontarsi con tutti gli imprevisti dettati dall’evoluzione della pandemia con le sue varianti virali, oltre che dalla campagna vaccinale».

Con i problemi di AstraZeneca molti professori non vogliono più vaccinarsi.

«Aspettiamo il verdetto dell’Ema. Se confermerà, come mi auguro, che il vaccino può essere distribuito vi saranno indubitabilmente resistenze da parte di molti che avranno timori e preoccupazioni ad utilizzare AstraZeneca. Ma allora dovrà essere fatta una seria campagna di informazione e sensibilizzazione in proposito. Dobbiamo poi sperare che gli altri vaccini arrivino nei tempi e nelle quantità previste. Da tecnico delle emergenze posso solo dire che sono incidenti di percorso che in situazioni così complesse accadono sempre».

Quali sono le altre misure per far ripartire la scuola?

«Oltre a vaccinare il personale bisogna organizzare un sistema di monitoraggio sanitario efficace ed efficiente e soprattutto di pronto intervento. E poi far sì che le decisioni sulle aperture e sulle chiusure siano sempre di più concertate e omogenee sul territorio nazionale».

Si riferisce alle Regioni?

«Ci deve essere un lavoro di collaborazione tra tutte le componenti del sistema: il generale Figliuolo con tutto l’apparato militare che garantirà, nei tempi compatibili dalla disponibilità dei vaccini, la copertura per tutto il personale della scuola, la Protezione civile che dovrà garantire il supporto di ogni esigenza emergenziale che potrà emergere sul territorio, il ministero della Salute con le sue strutture regionali, e ovviamente le Regioni che dovranno garantire la riapertura in sicurezza per tutti. In buona sostanza tentare di far suonare a tutte queste componenti del sistema uno spartito armonico, coordinato».

Non ci si poteva pensare prima?

Perché ho lasciato il Cts? Ero in una squadra di persone eccezionali

Il ciclo si è esaurito, ho ritenuto di essere più utile altrove

«Abbiamo patito il risultato di tutte le lacune di cui il mondo della scuola ha sofferto nei decenni passati, arrivando ad affrontare la più grande emergenza della nostra storia con una struttura poco efficiente, che si è salvata, e si salva ancora oggi, solo grazie al sacrificio ed allo spirito di servizio di centinaia di migliaia di professori, insegnanti, personale di supporto che in questi mesi hanno fatto miracoli pur operando con strumenti didattici spesso da dimenticare».

Perché ha lasciato il Cts?

«Non ci sono retroscena. Il ciclo si è esaurito, ho ritenuto di essere più utile altrove».

Qual è stata la sua soddisfazione in questo anno?

«Aver lavorato in una grande squadra di persone eccezionali che ha prodotto una montagna di indicazioni, suggerimenti, analisi, nonostante contestazioni, critiche, minacce. Ma soprattutto vedere il tema scuola salire al livello di priorità politica, sentire il presidente del Consiglio considerare il mondo della scuola e i giovani una delle maggiori priorità del governo».

E la delusione?

«Proprio quella di non essere riusciti a tenere le scuole aperte nel periodo in cui la didattica in presenza era ancora possibile. Non essere riusciti ad incidere sulle politiche regionali e locali per cui venti regioni hanno avuto indirizzi e hanno spesso fatto scelte decisamente localistiche senza alcun riferimento con il sistema nazionale».

Prenda un impegno.

«Avremo studenti delle superiori che andranno alla maturità rischiando di aver fatto 4 o 5 mesi di scuola in presenza negli ultimi due anni, così come gli universitari. Una condizione devastante per la salute mentale e la preparazione dei nostri ragazzi che una volta superata la pandemia si confronteranno con il mercato del lavoro con il peso enorme di un periodo di costruzione della loro formazione culturale mutilato in modo decisamente critico. Farò l’impossibile per recuperare ciò che abbiamo perduto».

Sull’istruzione serve un lavoro di collaborazione tra tutte le componenti del sistema: dal generale Figliuolo alle Regioni

Restano tutte le classi pollaio

da ItaliaOggi

Carlo Forte

Organici invariati per i posti comuni. Dunque, classi pollaio anche per il prossimo anno. Ma 1.000 posti in più di potenziamento nella scuola dell’infanzia e 5 mila posti di sostegno in più in organico di diritto. Tagli nei professionali: 486 cattedre e 164 posti di insegnante tecnico-pratico in meno. Questo il quadro che emerge dalle tabelle predisposte dal ministero dell’istruzione, allegate alla bozza del nuovo decreto sugli organici, di cui si sta discutendo oggi a viale Trastevere tra i rappresentanti dell’amministrazione e delle organizzazioni sindacali. Dunque, la riduzione del numero di alunni per classe, più volte auspicata per migliorare la qualità del processo didattico-apprenditivo e ridurre il rischio dei contagi da Covid-19, non ci sarà. Salvo una lieve riduzione del rapporto tra il numero degli alunni e il numero delle classi derivante dal calo demografico.

Nel corrente anno scolastico, peraltro, vi sono 69.256 alunni in meno rispetto allo scorso anno. Il trend è costante ormai da alcuni anni e non accenna a diminuire. Quest’anno, però, vi sarà comunque un lieve aumento del numero dei docenti di circa 5.400 unità. Che deriva da un incremento di 5 mila posti di sostegno e dalla costituzione di 1.000 posti di potenziamento nella scuola dell’infanzia, a fronte della diminuzione del numero di docenti laureati (-486) e Itp (-164) negli istituti professionali. Resta il fatto, però, che si tratta di scostamenti irrilevanti rispetto alla media del numero degli alunni per classe, che resta comunque elevata. Oltretutto va fatto rilevare che la media non è un dato utile a tastare il polso alla situazione. Perché i dati sul territorio sono disomogenei.

Molto spesso, infatti, per evitare di chiudere plessi e sezioni staccate nei piccoli paesi, vengono autorizzate classi con pochissimi alunni. E ciò viene compensato sovraffollando le classi ubicate nelle sedi centrali delle istituzioni scolastiche. Pertanto, non sono rari i casi in cui la stessa istituzione scolastica comprenda classi al di sotto dei parametri minimi e classi sovraffollate. Quanto ai numeri in senso stretto, il ministero dell’istruzione prevede che il prossimo anno i posti comuni in organico di diritto rimarranno sostanzialmente invariati.

Sono previsti 620.623 cattedre su posto comune. Salvo i tagli da apportare comunque nei professionali (-486 docenti laureati e -164 Itp). I posti di sostegno saranno complessivamente 106.170, compreso l’incremento di 5 mila unità disposto dalla legge di bilancio (legge 178/2020). Infine, i posti comuni di potenziamento saranno pari a 50.202 unità. Dato che comprende anche i 1.000 posti in più previsti dalla legge di bilancio, che dispone l’introduzione di queste figure anche nelle scuole dell’infanzia. L’organico di diritto previsto per il prossimo anno scolastico, dunque, assommerà a circa 770 mila docenti. A questi bisognerà aggiungere, dal 1° settembre prossimo, 14.412 posti in più, in massima parte docenti di sostegno. Che andranno a costituire la dotazione aggiuntiva che sarà attribuita in organico di fatto. Vale a dire, il contingente in più che viene assegnato a livello territoriale per fare fronte alla copertura dei posti di sostegno effettivamente necessari e a garantire, in via meramente residuale, i docenti necessari quando si verifica qualche sdoppiamento di classi all’ultimo momento. La novità di quest’anno, dunque, è data dall’incremento dei posti di sostegno (+5 mila) e dall’introduzione dei posti di potenziamento (1.000) nella scuola dell’infanzia.

La distribuzione di questi ultimi avverrà in modo direttamente proporzionale al numero degli alunni frequentanti. Il criterio individuato dal ministero, infatti, è il rapporto tra gli alunni di scuola dell’infanzia della regione e il numero degli alunni su base nazionale. Più complesso, invece, il criterio adottato per la distribuzione tra regioni del contingente dei 5 mila docenti di sostegno in più. Il principio che il ministero dell’istruzione intende applicare, infatti, prescinde dalla gravità dei casi (la gravità dell’handicap di cui gli alunni sono portatori). E prevede l’assegnazione dei posti in più nelle regioni dove il rapporto alunni disabili-docenti di sostegno è più alto. Per esempio, nella sola Lombardia è prevista l’assegnazione del 20,28% dei 5 mila docenti aggiuntivi. Ciò perché in Lombardia il rapporto alunni-sostegno è pari a 3,56.

La regione governata da Attilio Fontana, dunque, assorbirà ben 1.049 dei 5 mila docenti di sostegno in più previsti a livello nazionale, a fronte di 48.589 alunni disabili. Al Sud, invece, alla Campania, con un rapporto pari a 2,23, e alla Sicilia, che ha un rapporto di 2,36, a fronte, complessivamente, di 57.882 alunni disabili, andrà il 19,4% del contingente, pari a 970 docenti: 495 in Campania (9,9%) e 475 (9,5%) in Sicilia. In buona sostanza, dunque, il criterio previsto dal ministero non tiene presente che agli alunni più gravi viene assegnato un docente (rapporto 1:1) e a quelli meno gravi un docente ogni due alunni (rapporto 1:2) o un docente ogni 4 alunni (1:4).

Nota 17 marzo 2021, AOODGCASIS 920

Ministero dell’Istruzione
Dipartimento per le risorse umane, finanziarie e strumentali Direzione Generale per i sistemi informativi e la statistica
Ufficio Comunicazione e gestione relazione con l’utenza

Ai Dirigenti scolastici degli istituti secondari di II grado
LORO SEDI

OGGETTO: Consultazione pubblica sulla parità di genere – CNEL