Classi numerose e risultati scolastici

Classi numerose e risultati scolastici

di Stefano Stefanel

Con il concetto di “classi pollaio” si intendono contemporaneamente due concetti molto diversi tra loro: – classi con troppi alunni in spazi troppo ristretti e assegnati ad un docente per ora;- classi che a causa della numerosità penalizzano i risultati degli studenti.

Nessuno ritiene che le “classi pollaio” siano un fenomeno positivo, ma l’argomento viene affrontato in maniera non organica e quasi esclusivamente attraverso dichiarazioni, proclami o generici interventi dentro le molte e spesso illeggibili linee guida. Cerco, pertanto, di andare un po’ al fondo della questione, anche perché la pandemia e il distanziamento non hanno portato a nessuna modifica, nemmeno temporanea, del numero di alunni per classe.

TROPPI STUDENTI IN POCO SPAZIO

​25 studenti in 50 metri quadrati stanno troppo stretti. In molti casi i metri quadrati sono 40 e gli studenti 27. Se, dunque, parliamo di vivibilità dentro gli spazi scolastici dovremmo intervenire immediatamente sull’edilizia scolastica, costruendo nuove sedi per trasformare le “classi Pollaio” in classi a misura di studente. Qual è la misura ideale per uno studente? Direi, senza molti dubbi, tre metri quadrati. Quindi per mettere 25 studenti in una classe e farli vivere a loro agio l’attività didattica servirebbero 75 metri quadrati, per 20 studenti ne servirebbero 60. E non bisogna pensare che gli studenti delle scuole primarie abbiano bisogno di spazi più piccoli di quelli delle scuole secondarie, perché non è così: più piccoli sono, gli studenti, più hanno bisogno di spazio. Chi conosce un po’ le scuole sa che aule di 75 metri quadrati in giro ce n’è poche (e di solito, quelle poche,sono occupate da laboratori) e dunque se si vuole ridurre “il pollaio” bisogna demolire le scuole che ci sono e costruirne di nuove con spazi ampi. Sta succedendo questo? Non mi pare: più sono nuove le scuole e più sono piccole e le aule anguste (perché sono state progettate prima della pandemia per risparmiare su luce, riscaldamento, ecc.). 

​Dati preciso, comunque, io non ne ho, ma ho una visione empirica forse non completamente sbagliata. Dirigo un Liceo di 1515 studenti con 60 classi: due hanno a disposizione 70 metri quadrati, le altre 50, 40 o, purtroppo, anche meno. Se però noi diminuiamo gli studenti per classe e li portiamo a 20 arriviamo a contenere negli attuali edifici 1.200 studenti. E gli altri 300 dove dovrebbero andare? Bisognerebbe costruire per loro una scuola vicino alla vecchia o mandarli altrove. Ma poiché già applico la lista d’attesa (cioè faccio tante prime quante quinte escono e quindi non accetto tutte le iscrizioni) quanta gente dovrei mandare via ogni anno? E tutti questi studenti dove andrebbero? Forse ai Licei di fuori città in cui però, pare, non vogliano andare? Ovviamente l’eliminazione delle “classi pollaio” in una situazione come la mia creerebbe solo questioni di ordine pubblico o un Liceo diviso in cinque-sei sedi sparse per la città. In ogni caso un disastro. 

Ho scritto in passato, in vari interventi pubblici, che l’edilizia scolastica è un problema assoluto del sistema scolasticoe che quindi bisognerebbe utilizzare i soldi del PNRR-Next Generation Eu per abbattere e rifare almeno il 70% del patrimonio scolastico nazionale, ma non ho avuto alcun riscontro in merito, né la livello locale, né a livello nazionale anche se i miei interventi sono stati comunque letti. Mi pare di poter dire che l’idea di intervenire massicciamente sul patrimonio edilizio scolastico nazionale sia un’idea (quasi) solo mia.

POCHI STUDENTI E RISULTATI MIGLIORI

​L’altra questione è ancora più controversa: non so se esiste in giro uno studio accurato ed esaustivo che certifichi come nelle classi con pochi alunni si apprenda meglio che in quelle con tanti alunni. Anche in questo caso servirebbero dati e questi non ci sono, ci sono solo dichiarazioni che danno per scontata la cosa (che nelle classi con pochi alunni si apprenda meglio che in quelle con molti alunni). Anche in questo caso riporto qualche osservazione personale.

​Ci sono molte scuole con “classi pollaio” che hanno ottimi risultati e scuole con classi piccole che hanno un’alta dispersione scolastica. Molte scuole con tante classi pollaio hanno ottimi risultati nell’Invalsi, nell’Ocse-Pisa (quando vengono testate), negli esami di stato e anche nel criticato Eduscopio (per le scuole secondarie di secondo grado). Poi ci sono scuole con piccole classi dove la dispersione e alta e i risultati negativi. Situazioni del genere le conosco io, ma sono facilmente conoscibili da chiunque. 

​Se fosse certo che classi con numeri bassi di studenti danno risultati molto positivi e “classi pollaio” creano invece problemi all’apprendimento allora bisognerebbe spingere, immediatamente,per una nuova edilizia scolastica. Però, scusate, faccio una domanda banale e retorica: se in una grossa scuola superiore con più di 1500 studenti ne viene bocciato lo 0,56%, i risultati del criticato Eduscopio la danno da anni il primo posto in provincia e le classi sono “pollaio”, perché dovrebbe esserci la corsa ad un iscriversi ad una piccola scuola di 500 studenti con un tasso di bocciature dell’8% che sta sempre all’ultimo o penultimo posto di Eduscopio, ma che ha 14-15 studenti per classe (ogni riferimento a fatti realmente esistente è puramente casuale o almeno così è meglio dire).

​Io credo sia necessario avere dei dati per verificare dove sono le “classi pollaio”, per capire se chi frequenta le scuole di una zona (città o paese) è disponibile ad andare altrove per non stare in “classi pollaio” e , infine, se conviene frequentare la scuola in classi piccole, dove possono anche interrogarti tre volte in più che nelle “classi pollaio” e senza avere poi alcun reale vantaggio certificabile.

In conclusione ho molte perplessità sul concetto di eliminazione delle classi pollaio se non legato ad una revisione del patrimonio edilizio scolastico, ma, soprattutto, ad una revisione del patrimonio didattico-pedagogico della scuola italiana. Mi piacerebbe avere dati che confermano che alla diminuzione degli studenti per classe corrisponde un sensibile e verificabile miglioramento degli apprendimenti, non del numero delle verifiche (visto che ci sono meno compiti da correggere e meno studenti da interrogare allora si verifica di più: in questo caso è uno strazio, “meglio il pollaio”).

Protocollo di intesa per l’avvio delle attività scolastiche 2021/2022

Protocollo di intesa per l’avvio delle attività scolastiche 2021/2022: per l’ANP è il tempo delle scelte politiche

L’ANP ha partecipato oggi, in videoconferenza, all’incontro promosso dal Dott. Jacopo Greco, Capo del Dipartimento per le risorse umane, finanziarie e strumentali del Ministero dell’istruzione, per discutere del protocollo di intesa per l’avvio dell’anno scolastico 2021/2022. 

Il Dott. Greco ha affermato, in apertura, che è intenzione del Ministero giungere in tempi brevi alla sottoscrizione del nuovo protocollo alla luce delle indicazioni contenute nel verbale del Comitato Tecnico Scientifico n. 34 del 12 luglio 2021. 

L’ANP, nell’auspicabile prospettiva della didattica in presenza al 100% – necessaria al fine di evitare ulteriori perdite formative dovute alle attività a distanza, come rilevato anche dall’INVALSI – ha innanzitutto ribadito la richiesta di indicazioni certe circa il rapporto tra distanziamento, utilizzo delle mascherine chirurgiche e tutela della riservatezza. Ad esempio, va chiarito se in condizioni di distanziamento sia possibile fare a meno delle mascherine anche per i non vaccinati (di cui peraltro la scuola non conosce e, a legislazione vigente, non può conoscere i nominativi). 

Ma quello che, a nostro avviso, risulta assolutamente imprescindibile è l’assunzione di responsabilità del decisore politico circa la scelta tra didattica in presenza e didattica a distanza. Quest’ultima modalità, infatti, per quanto demonizzata e impopolare, sembra inevitabile se non sarà possibile assicurare il distanziamento per le note carenze di spazi e di personale, oltre che per quelle del trasporto pubblico locale. Il verbale del CTS del 12 luglio, del resto, offre all’Esecutivo ampi margini di azione e quindi, se si intende garantire una didattica in presenza al 100%, si devono compiere delle scelte – quali, ad esempio, quelle inerenti all’obbligo vaccinale – e accettarne le conseguenti responsabilità. 

Il prossimo anno scolastico, in tal modo, potrebbe finalmente registrare un netto miglioramento rispetto ai precedenti due. Diversamente, senza decisioni incisive, servirà a ben poco la sottoscrizione di un protocollo di intesa praticamente identico a quello dello scorso anno con il conseguente ripetersi delle criticità già subìte dalle scuole. 

L’odierno incontro è stato preceduto dalla pubblicazione della nota dipartimentale 22 luglio 2021, prot. n. 1107, di accompagnamento alle indicazioni del CTS. La nota, nel fornire dei richiami sintetici a tali indicazioni, affronta le principali questioni per la ripresa in sicurezza di settembre lasciando, tuttavia, margini di incertezza su alcuni punti nodali quali lo svolgimento delle attività in presenza, il distanziamento e l’uso dei dispositivi di protezione individuale. Peraltro, non si esprime sulle attività extrascolastiche. 

La nota, però, risulta contraddittoria là dove, da un lato, anticipa il varo del protocollo 2021/2022, dall’altro, afferma che le indicazioni del CTS potrebbero subire mutamenti in ragione del differente quadro epidemiologico e, dall’altro ancora, sostiene che i dirigenti scolastici sono in grado già adesso di organizzare l’avvio delle attività didattiche del nuovo anno scolastico senza dover attendere “una sempre nuova circolare, parere tecnico, indicazione guida che definisca, chiarisca, interpreti sempre più e meglio una realtà in divenire e per sua natura cangiante e differenziata”. 

Non condividiamo, inoltre, l’affermazione secondo cui “gli strumenti normativi e le indicazioni tecniche disponibili consentono che in ogni istituzione scolastica continuino ad organizzarsi le modalità concrete di avvio del nuovo anno scolastico” in quanto detti strumenti e dette indicazioni sono relativi all’anno scolastico 2020/2021. In realtà, dal prossimo 1° settembre si dovrebbe operare secondo l’ordinamento vigente come dimostra la vicenda dell’organico, predisposto senza alcun riferimento alle esigenze di distanziamento.   

Ma ciò che troviamo del tutto inaccettabile è l’accusa – neanche velata – secondo cui i colleghi sarebbero affetti da “attendismo” e da “timore di sbagliare” al punto da venir meno al dovere di “ponderatamente agire” in ossequio al principio di buon andamento. 

I dirigenti scolastici – sia ben chiaro – non attendono indicazioni di dettaglio e sono consapevoli di quanto previsto dall’ordinamento in materia di dirigenza e autonomia scolastica: ne hanno dato ampia prova dall’inizio della pandemia.  

La categoria chiede però – e di tale richiesta l’ANP è convinta promotrice – che ogni livello decisionale si assuma le responsabilità sue proprie. A partire dall’Amministrazione.  

Quell’Amministrazione che dovrebbe ben sapere che le cautele adoperate dai colleghi sono imposte dal combinato disposto dei principi costituzionali che affermano il diritto allo studio e quello alla salute collettiva. 

Lo ribadiamo: le indicazioni del CTS demandano all’Esecutivo decisioni strategiche di adeguato spessore per impedire che, per il terzo anno scolastico, i nostri alunni subiscano gli effetti negativi dell’emergenza.  

Secondo il Comitato, la scuola in presenza è possibile e auspicabile. 

Spetta adesso al Governo la mossa decisiva. 

Da politica a presidi,pressing su obbligo di vaccino ai prof

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Ripartire a settembre con le lezioni in presenza, ma anche con provvedimenti affinché il virus non circoli tra i banchi. Aumenta il fronte dei favorevoli all’obbligo del vaccino per il persone scolastico: in campo scendono anche i presidi, in attesa di incontrare il ministero dell’Istruzione in vista del ritorno dei ragazzi negli istituti a settembre. E se le Regioni auspicano almeno l’applicazione del green pass nelle scuole in cui dovessero verificarsi eventuali focolai, i dirigenti scolastici ritengono che «bisogna andare oltre», serve vincolare il lavoro degli insegnanti alla loro immunizzazione, altrimenti negare l’insegnamento in presenza. Ovvero la Dad come ultima ratio per far fronte agli irriducibili del vaccino.

La richiesta dell’Anp
«Serve l’obbligo per il personale scolastico», chiarisce senza mezzi termini l’Associazione nazionale presidi. La categoria dei docenti sembra essere l’unica al momento indicata per poter seguire la scia di quanto già imposto ai sanitari. Su questo «il confronto è in atto», spiega la sottosegretaria all’Economia, Cecilia Guerra, ed «è una discussione che si deve fare laicamente, ma – sottolinea – la mia opinione è che si possa arrivare a questo».

Il Ddl in Parlamento
Da un punto di vista legislativo la mobilitazione è già partita. Dopo aver presentato in Parlamento il ddl sull’obbligo ai prof, la promotrice del provvedimento – Licia Ronzulli, presidente della commissione parlamentare per l’Infanzia – ha consegnato il documento direttamente al ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, auspicando una velocizzazione dell’iter così com’è successo per medici e infermieri. Il pressing arriva anche dal presidente della Commissione Istruzione, Riccardo Nencini, il quale ha chiesto l’audizione di Bianchi, prevista per la prossima settimana, e ha annunciato che porrà la questione.

Il tavolo per settembre
Il prossimo 27 luglio il ministro incontrerà i sindacati per discutere della ripartenza e anche in quella circostanza sarà invocato dalle categorie un provvedimento forte. I dirigenti sottolineano comunque la necessità di un «lavoro di pulizia sulle banche dati delle vaccinazioni» dell’intera popolazione, che vanno incrociate con quelle dei dipendenti della pubblica istruzione, perché da un certo momento si è proceduto solo alle somministrazioni per fasce di età (dunque anche di docenti e personale scolastico che non ha dichiarato la qualifica al momento dell’inoculazione): per questo la cifra degli effettivi immunizzati nelle scuole rischia di essere «un po’ aleatoria».

Al lavoro anche il Cts
Proseguono le riunioni al ministero sul protocollo di sicurezza per la riapertura, anche alla luce dell’ultimo parere fornito dal Cts. In quel verbale il Comitato Tecnico Scientifico aveva avanzato «una forte raccomandazione al decisore politico, affinché ogni sforzo sia fatto per raggiungere un’elevata copertura vaccinale», anche «attraverso l’individuazione delle ulteriori misure, anche legislative». Argomenti sul quale il ministro rifletterà insieme agli esperti e alle autorità di Governo.

Più fondi al trasporto scolastico
I primi provvedimenti in vista del prossimo settembre intanto sono già arrivati: sul “trasporto scolastico dedicato”, è stato istituito al ministero delle Infrastrutture un fondo di 150 milioni di euro per il 2021 a favore delle amministrazioni comunali, come ha annunciato il titolare del dicastero, Enrico Giovannini, proprio per potenziare questo aspetto.


Elenchi aggiuntivi Gps I fascia, dentro i docenti che hanno superato il concorso straordinario. In arrivo nota MI

da OrizzonteScuola

Di redazione

Si prevedono novità per quanto riguarda gli elenchi aggiuntivi della prima fascia delle Gps: infatti il Ministero dell’Istruzione ha accolto la richiesta sindacale di concedere l’abilitazione ai docenti che hanno superato il concorso straordinario. Di conseguenza tali insegnanti potranno iscriversi entro il 24 luglio agli elenchi aggiuntivi delle Gps di prima fascia.

Intanto, come segnala la Cisl Scuola, si stanno predisponendo le necessarie modifiche alla procedura informatizzata di istanze on line, per consentire la richiesta di inserimento negli elenchi aggiuntivi con l’indicazione della causale che gli interessati (inseriti nelle G.M.2020 e titolari di un contratto nell’a.s.2020/2021) dovranno prendere in considerazione per procedere all’invio di una nuova domanda di inserimento negli elenchi suddetti.

La pubblicazione della nota del Ministero è prevista nelle prossime ore, probabilmente già domani giovedì 22 luglio.

L’affondo di Giannelli contro i docenti no vax: “Chi si rifiuta non insegni”. Sasso: “Ddl Ronzulli è illiberale”

da OrizzonteScuola

Di redazione

“Qualora non si riuscisse a ottenere la vaccinazione, si potrebbe valutare una forma di obbligo, che deve valere per tutti coloro che sono a contatto con l’utenza. Dunque per i non vaccinati non si avrebbe l’accesso a un determinato tipo di attività”.

Così Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, a Rainews 24. Per Giannelli bisogna dunque valutare una forma di obbligo per riaprire le scuole in sicurezza, nel caso anche negare l’insegnamento in presenza.

“È chiaro che per riprendere in totale sicurezza, per fare a meno del distanziamento, mi rifaccio al parere del Cts, servirebbe o la totalità dei vaccinati o la quasi totalità secondo percentuali che lo stesso Cts dovrebbe precisare. Quindi, qualora non si riuscisse in tempi molto rapidi ad ottenere questa vaccinazione è chiaro che si dovrebbe valutare l’introduzione di una forma di obbligo, che dovrebbe valere per tutti coloro che sono a contatto con l’utenza. Si tratta di una misura di tutela di salute collettiva e non di tutela salute privata”.

“Credo che sia possibile che il numero di 200mila non vaccinati nel personale scolastico sia sovrastimato. Ricordiamo che da un certo momento in poi le vaccinazioni nei confronti del personale scolastico sono state fermate e si è proceduto solo per fasce di età, quindi è possibile che ci siano tra questi 200mila molti docenti o comunque personale scolastico che si è vaccinato senza dichiarare la sua qualifica perché non veniva più richiesta dato che si procedeva soltanto per fasce di età – ha aggiunto Giannelli – Per fare una stima precisa servirebbe un lavoro di pulizia sulle banche dati sulle anagrafi vaccinali regionali che dovrebbero essere incrociate con
 quella dei dipendenti del ministero dell’Istruzione. Se non si fa questa operazione credo stiamo parlando di una cifra un po’ aleatoria”.

“E poi non registro sinceramente da parte del personale scolastico una particolare ritrosia alla vaccinazione e quindi credo che il fatto che vi sia ancora chi si deve vaccinare dipenda da altre cause, per esempio la pubblicità negativa che vi è stata su AstraZeneca potrebbe aver rallentato le operazioni“, ha aggiunto Giannelli.

Duro, invece, il sottosegretario all’Istruzione, Rossano Sasso, sul disegno di legge Ronzulli che prevede il pugno duro contro i docenti no vax: “Agli insegnanti ed al personale educativo ed Ata dovremmo solo dire grazie per quello che hanno fatto negli ultimi 18 mesi, anche andando aldilà degli obblighi previsti dal proprio CCNL. Trovo il ddl Ronzulli assolutamente 1) Inutile ed inopportuno, poiché a Settembre il 90% dei lavoratori della scuola sarà vaccinato. 2) Illiberale, perché non si può imporre un trattamento sanitario obbligatorio per lo più sperimentale 3) Discriminatorio, perché in riferimento ai lavoratori viola l’art.3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Bisogna sensibilizzare, informare, accompagnare ai vaccini”.

Chiedono un’opera di sensibilizzazione le deputati di Fratelli d’Italia, Paola Frassinetti, vicepresidente della commissione Cultura della Camera e responsabile dipartimento istruzione, ed Ella Bucalo, responsabile Scuola: “Occorre una campagna divulgativa seria al di là di ogni ideologia e senza imposizioni. Se l’85% del personale scolastico è vaccinato significa che stiamo parlando di persone che hanno il senso delle istituzioni e che non meritano attacchi scomposti invocando metodi che non sono contemplati dalla Costituzione. Vanno evitate campagne divulgative atte a creare solo inutili allarmismi e soluzioni inattuabili. Per garantire un regolare avvio del prossimo anno scolastico e per scongiurare la DAD, che come è noto mina la preparazione dei nostri studenti, vanno garantiti interventi strutturali che assicurerebbero una scuola in presenza e in sicurezza degna di questo nome. Incentivare la riduzione del numero di alunni per classe, individuare nuovi spazi, fornire mascherine omologate, installare impianti di areazione, migliorare il sistema dei trasporti pubblici: queste sono le cose da mettere in atto con urgenza per non ripetere gli errori dello scorso che hanno causato disagi a studenti, famiglie e docenti.” 

Anche il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, a Tgcom 24, è per un’azione di convincimento. “Serve una forma di obbligo per i docenti che non si sono ancora vaccinati contro Covid? In realtà, sono 215mila gli insegnanti non vaccinati contro Covid. In numero assoluto sembra altissimo, mentre invece è una percentuale bassa rispetto al totale del corpo docente e localizzata in alcune regioni. Credo che una moral suasion sia necessaria in quelle regioni che altrimenti avrebbero seri problemi nella didattica. Ma il 15% di non vaccinati non sarà molto diverso dalla popolazione generale, dove credo che il 15%” delle persone vaccinabili “non si vaccinerà. Dobbiamo fare un’azione di convincimento che può essere fatta anche con piccole cose”. 

“Il consiglio che do ai docenti è di vaccinarsi – ha aggiunto – Il punto più importante è che devono farlo per loro stessi. Soprattutto gli insegnanti andranno nelle scuole dove sotto i 12 anni il vaccino non esiste ancora e quindi la circolazione virale in quelle classi e il rischio potrà essere più alto. E il docente di 50 anni che si prende il virus” e non è protetto dal vaccino “rischia” maggiormente “di andare in terapia intensiva. Il mio consiglio dunque è: vaccinatevi per voi stessi, prima ancora che per gli altri”.

A favore dell’obbligo vaccinale anche Silvio Garattini, dell’istituto Mario Negri:  “Un nodo molto importante è quello della scuola: bisogna fare in modo che studenti, professori e personale scolastico siano vaccinati” contro Covid. “Perché non vogliamo che la scuola subisca ancora dei ritardi. Sarebbe molto grave. Non è un obbligo. Vedrei bene una legge che dica che per entrare a scuola bisogna essere vaccinati. Un po’ come è stato fatto per le vaccinazioni di base qualche anno fa. Questo per tutti, studenti e personale“.

Siamo ancora indietro, tutto sommato – spiega – Se vogliamo arrivare ad andare a scuola ai primi di settembre, dobbiamo vaccinare entro agosto oppure finirà che già cominciamo a perdere il primo mese praticamente. E abbiamo già perso tanto, troppo tempo con la scuola“.

Ecco perché Garattini chiama in causa uno strumento legislativo sul modello della legge Lorenzin, che ha legato l’accesso di bambini e ragazzi ad asili e scuole all’essere in regola con le vaccinazioni di routine. Che lo si chiami obbligo o meno, all’atto pratico l’effetto sarebbe vincolante. Con la legge Lorenzin “si è detto: se vuoi andare a scuola devi essere vaccinato perché non ci sei soltanto tu e la tua libertà finisce quando ledi quella degli altri. Se non ti vaccini rischi di contagiare gli altri, soprattutto quelli che per ragioni mediche non si possono vaccinare“.

Covid, casi triplicati: per entrare a scuola servirà il green pass “pesante”, l’obbligo vaccinale passa da lì

da La Tecnica della Scuola

All’interno del governo continua il confronto sul green pass: se ne discuterà fino all’avvio del Consiglio dei ministri, che nelle prossime ore si svolgerà proprio per approvare il nuovo decreto con cui fare fronte all’impennata di contagi dovuta all’effetto varianti. L’impressione è che si arriverà all’introduzione di una nuova “stretta”, con l’abbandono del green pass light per fare spazio ad un certificato verde decisamente più “pesante”. E un suo utilizzo più incisivo. Tanto che Confindustria ha chiesto l’utilizzo del green pass anche nelle fabbriche (con i sindacati subito a dire no).

Di nuovo casi in aumento

Del resto, in Italia i casi di Covid in sole ventiquattr’ore sono tornati a crescere: si è passati da 1.534 a 4.259.

Anche quanto sta accadendo in Francia, con 21 mila nuovi casi in un solo giorno, è un campanello di allarme che va necessariamente preso in seria considerazione. Ancora più preoccupanti i numeri che arrivano poi dalla Gran Bretagna.

I governatori hanno chiesto di utilizzare il certificato verde solo “per permettere in sicurezza la ripresa di attività fino ad oggi non consentite o limitate”: eventi sportivi, concerti, discoteche, fiere e congressi. Ma non per entrare nei ristoranti, cinema, teatri, palestre, piscine.

Posizione che Matteo Salvini appoggia: è una “proposta assolutamente equilibrata – dice il leader della Lega – se applicassimo il green pass da domani mattina come vuole qualche ultra significherebbe impedire il lavoro, il diritto alla salute, il diritto allo studio, allo spostamento e alla vita ad almeno la metà della popolazione italiana”.

Le tappe di avvicinamento

Ma al governo, e soprattutto al dicastero della Salute, c’è il ministro Roberto Speranza che, assieme ad altri nella maggioranza, spinge per un uso ‘estensivo’ dei certificati.

L’ipotesi che si sta facendo strada è dunque quella di partire da subito con l’obbligo del green pass “pesante” per tutta una serie di attività non essenziali e da settembre estenderlo a quelle essenziali. Come appunto l’Istruzione.

Già dalla settimana prossima o al più tardi all’inizio d’agosto per sedersi nei bar e nei ristoranti al chiuso potrebbe essere necessario avere il pass, ottenibile in questa prima fase con una sola dose (o con il certificato di guarigione o il tampone negativo), mentre nessun obbligo ci sarà per prendere il caffè al bancone.

Le due dosi diventeranno invece necessarie per entrare in discoteca o per prendere treni, aerei e navi a lunga percorrenza.

Perché il Governo sta valutando la possibilità di effettuare una dose di vaccino per andare al ristorante e una doppia dose per i luoghi più affollati. E qui potrebbe rientrare la scuola.

Proroga dell’emergenza

Anche sulla revisione dei parametri, al momento l’accordo non c’è: i presidenti propongono una soglia del 20% per le terapie intensive e del 30% per i reparti ordinari, oltre la quale si andrebbe in zona gialla. Percentuali ben più alte di quelle suggerite da tecnici ed esperti. La trattativa è ancora in corso.

Nel decreto, infine, entrerà la proroga dello stato d’emergenza (molto probabilmente fino alla fine dell’anno) ma non tutto il discorso relativo al trasporto locale, dunque bus e metropolitane: se ne riparlerà più avanti quando si affronterà anche il discorso della scuola, entrambi servizi essenziali.

Come si ottiene il green pass

Ricordiamo che il green pass italiano garantisce la partecipazione a grandi eventi pubblici, l’accesso alle Rsa e gli spostamenti in Italia.

Approvato con il decreto anti-Covid del 22 aprile 2021, poi modificato dal decreto del 18 maggio, e a cui il 17 giugno il presidente del Consiglio Mario Draghi ha dato il consenso, il certificato verde è un documento che serve a dimostrare l’avvenuta vaccinazione anti-Covid-19, la guarigione dal virurs, l’esito negativo a un tampone antigenico o molecolare effettuato nelle 48 ore precedenti.

Il green pass viene rilasciato in formato cartaceo e digitale dalla struttura sanitaria o dal Servizio Sanitario Regionale: per i vaccinati è valido dopo il 15esimo giorno dalla somministrazione della prima dose, mentre dopo il completamento del ciclo vaccinale la certificazione ha una durata di 270 giorni quindi 9 mesi.

La certificazione verde di avvenuta guarigione invece viene rilasciata il giorno della fine dell’isolamento, dalla struttura ospedaliera presso cui si è effettuato il ricovero, dalla Azienda sanitaria competente e dai medici di medicina generale o dai pediatri: è valido sei mesi dalla data di fine isolamento.

Il green pass si ottiene anche sottoponendosi ad un test antigenico o molecolare con esito negativo: lo rilasciano le strutture sanitarie pubbliche e private, le farmacie o i medici responsabili dell’esame svolto. La validità della certificazione post-tampone è però di appena 48 ore dal prelievo del materiale biologico.

“Il green pass non è solo vaccinazione”

Ad oggi, “il green pass non è condizionato alla vaccinazione ma si può anche ottenere attraverso il tampone negativo”, ha sottolineato a Radio Cusano Campus l’europarlamentare Luisa Regimenti, componente della commissione Sanità al Parlamento europeo membro del dipartimento Sanità di Forza Italia.

“Sarebbe un errore – ha aggiunto – mettere in stretta correlazione vaccinazione e green pass, perché molte persone hanno visto questo come una sorta di imposizione. È uno strumento che va usato nei luoghi di maggior assembramento, laddove la libertà individuale s’incontra con quella collettiva”. Presto, però, le condizioni potrebbero cambiare di molto.

Sul disegno di legge di Forza Italia sui vaccini obbligatori per il personale della scuola, presentato dalla senatrice Licia Ronzulli, Regimenti ricorda che “si è già vaccinato spontaneamente fino all’85%. Ora il disegno di legge può essere un incentivo. Ma credo che tutte le persone che hanno a che fare con le comunità, medici, personale sanitario addetto alle Rsa, abbiamo già una loro coscienza civica che fa comprendere loro che la vaccinazione non solo è una protezione per se stessi, ma per gli altri”.

Vaccini e green pass, presidi fanno fretta, Figliuolo richiama le Regioni

da La Tecnica della Scuola

Sono i giorni decisivi per le nuove misure anti-Covid da adottare, dal green pass, ai parametri per i colori delle Regioni, fino alle vaccinazioni e al paventato obbligo per il personale scolastico. La variante Delta preoccupa e non poco, i contagi aumentano, specie tra i giovani, e si guarda al resto dell’estate (ma soprattutto all’autunno) con timore.

Il commissario per l’emergenza Covid Francesco Figliuolo continua a fare appelli a chi ancora non si è vaccinato, ma ammette che al momento chi si vaccina è soprattutto per le seconde dosi, e poco per le prime. In un’intervista ad ‘Avvenire’, il generale spiega come nella scuola circa l’85% del personale ha ricevuto la prima dose ma che ci sono delle disomogeneità poiché alcune Regioni rimangono sotto l’80%. Per questo le Regioni vengono spinte a creare delle corsie preferenziali per gli insegnanti negli hub vaccinali, venendo incontro il più possibile alla categoria.

Giannelli (Anp): “Si faccia presto o dad inevitabile”

Diverse sono poi le posizioni sulle vaccinazioni a scuola. L’Associazione Nazionale Presidi sostiene l’obbligo del vaccino per il personale scolastico, unica soluzione per riaprire gli istituti in presenza e in sicurezza. Sempre l’Anp avrà domani un incontro al ministero in vista del nuovo anno scolastico.

Il presidente dell’Associazione Antonello Giannelli, intervenuto a Radio Cusano Campus ha dichiarato: “Il dato dei 200mila non vaccinati non è aggiornato perchè riferito a quando c’era una corsia preferenziale per la scuola, poi si è proceduti per fascia d’età. L’obbligo servirebbe perchè chi è a contatto con un’utenza è potenzialmente un diffusore del contagio. La dad – spiega Giannelli – sarà inevitabile se dovremo rispettare il distanziamento, perchè i mezzi pubblici non ce la farebbero a trasportare tutti gli studenti alla stessa ora e in molte scuole non si riescono a mantenere gli alunni distanziati”. Sulla vaccinazione agli studenti over 12, il presidente Anp è chiaro: “I pediatri dicono che sarebbe opportuno, ma se non si fa presto è chiaro che per settembre non si fa in tempo”.

Andis e DirigentiScuola: ok al green pass

Ad affermare la propria posizione anche l’Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici che esprime preoccupazione per la ripartenza con il 15% del personale scolastico non vaccinato. Per questo l’Andis chiede al governo di far superare la diffidenza nei confronti del vaccino e di determinare l’obbligo del green pass per il personale della scuola.

Anche DirigentiScuola si esprime a favore di vaccini e green pass. “Lo avevamo detto in tempi non sospetti, quando tutti intorno a noi erano scettici – spiega Attilio Fratta, presidente del sindacato dei presidi – siamo stati convocati il prossimo 27 luglio per discutere della ripartenza”.

Esami di maturità e prove Invalsi, i risultati dicono la qualità dei percorsi

da La Tecnica della Scuola

È da giorni che la scuola si trova sulle prime pagine dei giornali.

Prima per i voti troppo alti alla maturità, poi per le carenze emerse dai dati Invalsi. Dati addirittura equiparati, soprattutto al Sud per i ragazzi grandi, alla preparazione della terza media, cioè fortemente negativi, nonostante i voti alti. In mezzo l’imputata principale, la didattica a distanza (DaD).

Anche noi, ampiamente, abbiamo richiamato alcuni limiti di questa didattica. Ma, allo stesso tempo, ci siamo anche ripetuti come tanti e tanti presidi e docenti abbiano fatto i salti mortali pur di garantire, nonostante il vuoto normativo, un nuovo modo di fare scuola, con l’ausilio della tecnologia.

Purtroppo non sempre, nei vari commenti di questi giorni, si è considerata la grave situazione che la scuola ha dovuto affrontare.

Ora, giudicare i risultati di quest’anno scolastico come se niente, o quasi, fosse avvenuto mi è parso una leggerezza non perdonabile.

Non solo: non ci si può occupare della scuola solo attraverso le notizie negative o problematiche.

Basta una sola domanda: cosa sarebbe successo senza la didattica a distanza, cioè con i bambini e i ragazzi lasciati a casa senza alcun contatto con la scuola?

Sappiamo le criticità che sono emerse in questo anno e mezzo, ma proviamo, per un attimo, ad immaginare cosa sarebbe successo senza questa nuova didattica, e senza lo smart working, per il mondo del lavoro.

Ovvio, e qui veniamo agli esami di maturità, come si sono svolti lo scorso anno e quest’anno, cioè con soli docenti interni in un’unica prova orale, non possono diventare il modello per i prossimi anni.

Ovvio, perché un vero esame deve e dovrebbe comunque prevedere esaminatori in maggioranza esterni, per ragioni comprensibili, e con più prove scritte. Perchè diverse sono le abilità e competenze richieste negli scritti e negli orali.

Sempre che li vogliamo tenere, questi esami, per via del vecchio mito del valore legale del titolo, oppure per i soli aspetti psicosociali, cioè l’esame finale come cruna dell’ago tra adolescenza e giovinezza.

Ma qui il discorso prende aspetti più generali che riguardano il sistema scuola nel suo complesso, con le criticità più volte denunciate, legate ad una gestione burocratizzata che oramai guarda sempre meno il vero significato di servizio pubblico, cioè un servizio scolastico capace di riconoscere che il cuore della scuola è l’apprendimento degli studenti, non un ammortizzatore sociale per alcune lauree senza mercato del lavoro.

Qui è il sistema scuola che deve interrogarsi. E bene ha fatto il ministro Bianchi a prevedere, a fine anno, una conferenza nazionale sulla scuola, per tentare di alzare la testa e di rispondere a questa e ad altre domande.

Ma la decisione di Bianchi arriverà tardi, come troppe volte è successo, perché il governo Draghi non sappiamo se sopravviverà all’elezione del nuovo presidente della repubblica. Sarà il solito convegno delle tante belle intenzioni, che passerà come notizia secondaria nei nostri mass media.

La scuola, se ancora come Paese vogliamo credere ed avere un futuro, deve diventare invece la notizia principale, la più importante preoccupazione, perché riguarda, appunto, il nostro futuro.

Perché i giovani, i quali sono migliori di come di solito vengono dipinti, sono la nostra speranza di futuro possibile.

La scuola oggi, rispetto al passato, è l’unico momento universale di questi nostri ragazzi. Con la crisi delle famiglie e delle tradizionali agenzie educative, la scuola oggi non adotta più il metodo autoritario della trasmissione delle sole conoscenze, ma ogni giorno si impegna a prendersi cura dei propri allievi, cercando non solo la mera ripetizione, ma la comprensione. Per cui anche i test nozionistici, alla fine, non hanno più senso, se non supportati da forme diverse di una valutazione che si faccia capace di diventare autovalutazione critica per i nostri studenti.

Dunque, se i dati Invalsi e i risultati degli esami di maturità hanno portato in primo piano valutazioni negative, le prime, ed esagerate, le seconde, questo ci deve portare a ripensare l’intero percorso culturale, a considerare che i risultati, come sempre, dicono la qualità dei percorsi, senza nascondersi dietro il nozionismo che tanto piace a chi invoca il tempo passato.

Ci vorrebbe un cambio di marcia nel sistema scuola, per riconoscere ai tanti docenti italiani, imbrigliati dal finto egualitarismo anche stipendiale, il loro valore. Perché tanti e tanti di loro sono davvero dei maestri e delle guide positive per i nostri studenti, a parte situazioni critiche da tutti conosciute ma, sino ad oggi, non risolvibili sul piano sindacale.

Che cosa manca in Italia? Manca un sistema di valutazione dei docenti, dei presidi, del personale, delle singole scuole. E non è più possibile un sistema di reclutamento del personale centralizzato, mentre le scuole tutte devono diventare scuole delle comunità locali.

Sono essenziali, dunque, il ripensamento della scuola come sistema, dunque, ed una più adeguata considerazione del valore di un apprendimento che oggi più che mai richiede approcci valutativi multipli, che tenga conto del nesso imprescindibile tra processo e risultato. Sapendo che oggi conta, prima del possesso di una informazione, la capacità di ricostruirne lo spirito di ricerca.

Per capirci, basterebbe questa piccola verifica. Quanti presidi e docenti, durante l’esame di maturità di quest’anno, si sono concentrati su domande e considerazioni culturali a tutto tondo, senza rifugiarsi nelle domande quiz? Quanti sono consapevoli oggi che le informazioni sono necessarie ma non sufficienti? Quanti hanno compreso che anche le stesse tecnologie, capaci di gestire in modo algoritmico tutte le informazioni possibili, se non mediate dall’arte del domandare ragione, atrofizzano proprio lo sfondo culturale della comprensione, confondendo, al dunque, mezzi e fini, cioè costringendo i giovani, nati digitali, a sacrificare proprio lo spirito critico, che è l’energia vitale della vita come ricerca, come amava ripetere il vecchio Socrate?

Perché insistiamo su questi aspetti?

Per le implicazioni dei percorsi scolastici, al di là dei vari indirizzi di studio, le quali porteranno i nostri giovani a cercarsi una propria strada oltre questi stessi percorsi di studio, una strada magari diversa, nella quale le attitudini ed i talenti, se ben allenati alla multivocità del nostro mondo, potranno trovare reali e differenti opportunità di vita e di crescita culturale. In altre parole, è finito il tempo del cordone ombelicale univoco tra scuola e mondo del lavoro.

In più, se l’innovazione continua, assieme allo studio lungo tutta la vita impastato con l’umiltà di imparare da tutti lavorando in gruppo, è e sarà il passe-partout del loro e nostro futuro, al di là dei titoli di studio, non possiamo non chiudere queste righe augurando a questi nostri ragazzi di incontrare nella vita le opportunità che si meritano. Perché i treni si presenteranno a tutti. È solo restando vigili e disponibili alla messa in discussione dei paradigmi dominanti che potranno riconoscerli questi treni nella propria vita personale e sociale.

Rapporto INVALSI 2021/1: duro attacco della Flc-Cgil al sistema di valutazione

da Tuttoscuola

Il sindacato della Flc-Cgil ha sempre avuto un atteggiamento critico nei confronti delle prove Invalsi e delle modalità valutative che l’Istituto adotta da anni per rilevare le competenze e i livelli di apprendimento della popolazione scolastica.

Ma questa volta, di fronte alle generali reazioni improntate al catastrofismo degli organi di informazione a commento del Rapporto INVALSI di quest’anno, il sindacato di Sinopoli ha sciolto le briglie criticando pesantemente metodo, impianto e risultanze del Rapporto, come attacco contro le scuole pubbliche e contro chi ci lavora.

Il sindacato se la prende innanzitutto con gli organi di informazione, ritenuti forse acritici e supini di fronte al Rapporto, ma, in particolare, attacca frontalmente “la disciplina dei test Invalsi mentre quasi in tutta Europa e negli Stati Uniti le valutazioni via test sono messe a dura prova e ormai non vengono più adottate”.

Il giudizio sull’INVALSI nella sua radicalità sembra proprio essere senza appello, ma anche nella contestualizzazione dell’anno di pandemia, oggetto del Rapporto, il sindacato non fa sconti, ritenendo fuori luogo una valutazione non adeguatamente attenta alla situazione delle scuole chiuse.

“Insomma, nonostante le enormi difficoltà di questi mesi di pandemia la scuola pubblica ha retto, proprio grazie alla tenacia professionale di centinaia di migliaia di docenti, di decine di migliaia di tecnici, amministrativi collaboratori scolastici, dsga, delle famiglie e naturalmente degli studenti. E invece ecco che i risultati dell’Invalsi hanno dato fiato alle trombe di chi pregiudizialmente intende stabilire un nesso causale tra perdite di competenze degli studenti (nozioni), peggioramento della qualità della didattica (quella “frontale”, ovvio, ma senza indicazioni sulle eventuali alternative) e, ineludibilmente, inadeguatezza di un corpo docente irresponsabile, tecnologicamente impreparato e concentrato solo sulla difesa dei propri diritti (o privilegi) corporativi”.

Decreto Dipartimentale 22 luglio 2021, AOODPPR 61

Ministero dell’Istruzione
Dipartimento per le risorse umane, finanziarie e strumentali
Direzione generale per le risorse umane e finanziarie

Concorso pubblico, per esami, per il reclutamento di complessive n. 304 unità di personale non dirigenziale, a tempo indeterminato, da inquadrare nell’Area funzionale III, posizione economica F1, nei vari profili professionali dei ruoli del personale del Ministero dell’Istruzione (G.U. – IV Serie speciale «Concorsi ed esami» n. 59 del 27 luglio 2021)