Il videogioco che simula l’ipersensibilità dei bambini autistici

Il videogioco che simula l’ipersensibilità dei bambini autistici

Arriva dagli Stati Uniti e mostra cosa vede e sente un bambino con autismo. Il risultato? Suoni gridati, immagini sfocate e stato confusionale. La trovata fa discutere: tra gli utenti, commenti positivi anche se c’è chi lo trova “esagerato” o “fastidioso”

da Redattore Sociale
08 luglio 2014

BOLOGNA – Passare del tempo tra altalene e giochi all’aperto è un buon modo per trascorrere un pomeriggio estivo. Ma cosa prova un bambino autistico in un contesto così rumoroso? A spiegarlo ci prova Auti-sim, un videogioco di simulazione dell’ipersensibilità realizzato negli Stati Uniti e fruibile on line, gratuitamente. Lo scenario è proprio quello di un parco giochi affollato di bambini tra piattaforme girevoli, scivoli e musica. Il risultato, per chi ha in mano il joypad, è fatto di suoni gridati, immagini sfocate e stato confusionale. Ma, anche senza giocare, è sufficiente mettersi le cuffie e guardare il trailer di Auti-sim su Youtube per avere, per un minuto, la percezione di ciò che può vivere ogni giorno una persona con autismo. “La vicinanza ai bambini chiassosi provoca un sovraccarico sensoriale per il giocatore, influenzando le funzioni cognitive – si legge nella descrizione del videogioco – Tale impatto è rappresentato con rumore e sfocatura, nonché distorsioni audio. I partecipanti hanno descritto l’esperienza come viscerale, intuitiva e coinvolgente”. Un modo nuovo, insomma, per sensibilizzare le persone e far loro comprendere certi comportamenti, come quello tipico di molti bambini con autismo: tapparsi le orecchie con le mani.

“È un progetto americano che si avvicina molto a quella che potrebbe essere la realtà di un bambino – spiega Jacopo Giovanni Romani, psicologo ed esperto in nuove tecnologie per l’autismo del Laboratorio di osservazione diagnosi formazione dell’Università di Trento che gestisce anche la piattaforma portale www.autismo.it che ha rilanciato la notizia – : una generalizzazione ovviamente non si può fare, è una dimostrazione sommaria che mischia il processamento di stimoli esterni”. Non è quindi un esempio che si può estendere a tutti gli autistici, considerato il vasto panorama dei sintomi che queste persone possono presentare. Per Carlo Hanau, docente di Programmazione e organizzazione dei servizi sociali e sanitari dell’università di Modena e Reggio Emilia e membro del comitato scientifico dell’Angsa (Associazione nazionale genitori soggetti autistici), invece, c’è qualcosa che non va. “Se non trovo nulla da ridire sui suoni che si sentono, non capisco perché sono state utilizzate immagini sfocate – spiega – Spesso il canale visivo nelle persone con autismo è quello maggiormente abile”.

Sul sito gamejolt.com – dal quale è possibile scaricare il videogioco – però non mancano i commenti positivi. “Come adolescente con autismo posso confermare che è una specie di rappresentazione visiva delle nostre emozioni in una situazione come questa. Ma un po’ esagerata”. “Questo videogioco mi ha fatto aprire gli occhi – scrive un altro – Ho appena fatto un video nel tentativo di ottenere più consapevolezza sul tema. Penso – continua – che potrebbe essere utile anche fare videogiochi con altre fasi di crescita: adolescenti, adulti e anziani”. Ma c’è anche chi scrive di non aver potuto giocare per più di pochi minuti: “I rumori erano davvero fastidiosi, era spaventoso e volevo solo correre lontano”, scrive un utente. “Mi sono spaventato – scrive un altro – e non voglio sentire mai più questi suoni”. (irene leonardi)

TFA II ciclo. Integrazione iscrizione dei candidati con disabilità o con DSA

TFA II ciclo. Integrazione iscrizione dei candidati con disabilità o con disturbi specifici di apprendimento

Si ricorda che, ai sensi del DM 312/14, Art. 5, i candidati diversamente abili o con disturbi specifici di apprendimento devono integrare la domanda di iscrizione, indicando l’eventuale ausilio necessario, allegando la documentazione certificativa rilasciata dalla struttura sanitaria pubblica competente per territorio, ai sensi della normativa vigente.

Gli interessati, a tal fine, dovranno produrre entro il 10 luglio 2014 certificazione sanitaria e richiesta di ausili e/o necessità di tempi aggiuntivi e/o necessità di tutor, valutate e attestate dal servizio di medicina legale ASL, direttamente agli Atenei sede dei test delle prove preselettive, indicati per ogni candidato sul sito CINECA.

Riferimenti e-mail delle Università del Lazio sede dei test delle prove preselettive:
Università di Cassino – tfa@unicas.it
Università della Tuscia – tfa@unitus.it
Università Roma Tre – ufficio.disabili@uniroma3.it
Università Tor Vergata – leonardi@amm.uniroma2.it
Università Unint – giuseppe.refrigeri@unint.eu
Università Lumsa – m.damiani@lumsa.it
Università Europea – ldesantis@unier.it
(fonte: http://www.usrlazio.it/index.php?s=1052&wid=1897)

Scuole a tempo pieno e a spazio aperto: sì, ma…

Scuole a tempo pieno e a spazio aperto: sì, ma… *

di Maurizio Tiriticco

 

Non è affatto un discorso nuovo quello dei tempi e degli spazi delle istituzioni scolastiche. E’ dal tempo dei decreti delegati – primi anni Settanta del secolo scorso – che abbiamo cominciato a porre il problema di una scuola che cessasse di essere chiusa in se stessa, per certi versi autoreferenziale, e che si cominciasse ad avviare un “discorso” tra scuola e società, o, se si vuole, più concretamente, tra scuola e territorio. Occorreva avviare la “partecipazione della gestione della scuola dando ad essa il carattere di una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica” (dpr 416/74, art.1). Di lì nacquero gli organi collegiali, i consigli scolastici provinciali, i distretti scolastici. Furono anni di estremo interesse, anche per quanto riguarda le innovazioni: seguirono, infatti, la riforma della scuola media (i nuovi programmi del ’79) e della scuola elementare (i nuovi programmi dell’85 e la legge 148/90). Per non dire degli Orientamenti del ’91 per la scuola dell’infanzia e di tutte le sperimentazioni che hanno interessato licei e istituti tecnici e professionali. E non è un caso che furono proprio i quadri tecnici usciti dai nostri istituti che contribuirono al grande slancio economico e sociale che caratterizzò il nostro Paese per tutto lo scorcio del secolo. E furono moltissime le scuole che rimanevano aperte fino a sera per l’organizzazione dei corsi delle 150 ore (ex contratto dei metalmeccanici del 1970) per restituire a quanti avevano abbandonato gli studi precocemente quei livelli di conoscenze che li aiutassero non solo per lo sviluppo di carriera, ma anche per il personale sviluppo culturale e civile.

Più tempo scuola, quindi, e spazi aperti al sociale: l’istituto scolastico inteso come “centro formativo e culturale” se si vuole. Un’idea di scuola diversa rispetto a quella ereditata dal passato, chiusa nella sua funzione istruttiva e basta: strumento operativo del Ministero della Pubblica Istruzione, appunto! Poi venne l’autonomia delle istituzioni scolastiche (siamo alla fine del secolo scorso) e l’apertura al territorio viene ricordata e sancita più volte, per l’elaborazione del Pof, per l’orientamento degli studenti, e implicitamente per le attività di alternanza scuola-lavoro. Le intenzioni e gli strumenti normativi non sono mai mancati per quanto riguarda l’apertura delle scuole. Quello che, invece, è venuto a mancare dalla fine del secolo ad oggi è stata la volontà operativa. Quando si cominciano a tagliare risorse, quando non si rinnovano i contratti del personale, quando non si agisce per liquidare il precariato e si inventano inutili e cervellotici concorsi, i “tempi” e gli “spazi” sono tagliati anche questi, e come! E si ripropongono di fatto le scuole di un tempo lontano, dedicate solo all’istruzione degli alunni! Però, sempre debole, se mancano l’alimento del territorio e le prospettive oggi anche transnazionali!

In un simile contesto, assolutamente precario, certe iniziative sulle aperture stagionali e serali degli istituti scolastici e sull’incremento orario dei docenti lasciano molto perplessi! Le scuole aperte a luglio e fino a sera inoltrata? E perché no anche ad agosto? Chi, quando, come e perché le deve aprire? E, soprattutto, per quali progetti? E chi paga le spese del personale e quelle di gestione? In una società sistemica e complessa non c’è attività che non si debba avviare e realizzare all’interno di un’Idea e di un Progetto, con tanto di maiuscole, che debbono anche essere lungimiranti e, soprattutto, condivisi. Si giunse ai Decreti delegati dopo anni di discussione! E lo stesso è accaduto per l’autonomia! Chi ha partorito queste idee “meravigliose”, sa di che cosa parla? Sa in quale situazione di disagio si trovano le scuole e il personale tutto? .Sa che i dirigenti non hanno né tempo né voglia di seguire la didattica per tutti gli adempimenti burocratici di cui devono rispondere? Per non dire dei molti istituti che devono presiedere, anche come reggenti? Sa che le segreterie sono diventate anche dei supporti degli ex Provveditorati? Sa che gli insegnanti almeno da quindici anni, ad ogni apertura d’anno scolastico si trovano di fronte a innovazioni di cui nulla sanno e di cui non sono mai stati partecipi? Sa che gi stipendi sono bloccati da anni, nonostante l’aumento del costo della vita?

Le 36 ore proposte – pare che saranno volontarie – potrebbero provocare corse e contenziosi a non finire! Tutto per l’offa di una ricompensa! Magra o grassa che sia! Diritto, stato giuridico, contrattazione… tutto saltato! La questione oraria di qualsiasi lavoratore è in primo luogo strettamente legata agli obiettivi che bisogna perseguire, ai processi lavorativi, agli orari e a tutte le variabili che condizionalo uno status lavorativo. In primo luogo, secondo una logica di ampio respiro e progettuale, occorrerebbe mettere in discussione l’attuale nostra organizzazione scolastica (rigide classi di concorso, cattedre, classi di età, orari settimanali, nonostante la beffa della proposta annuale che viene avanzata dal Miur), che rende di fatto impossibile progettare e realizzare percorsi pluridisciplinari e la stessa didattica laboratoriale! Per non dire della certificazione delle competenze, un qualcosa che oscilla sempre tra il sogno e la beffa!. Sarebbe interessante conoscere in quante “istituzioni scolastiche autonome” – formalmente si chiamano così – l’articolo 4 del dpr 275/99 è stato compiutamente realizzato!!! E sarebbe interessante conoscere in quanti degli ultimi esami di Stato gli esami orali sono stati condotti come un colloquio e non come una somma di interrogazioni!

Da quante parti sono indicati quotidianamente i mali della nostra scuola? Su un corpo malato – le eccezioni ci sono, lo so, e tutte dovute alla buona volontà di tanti dirigenti e insegnanti – non si interviene con proposte apparentemente salvifiche! Come proporre i cento metri a uno sciancato! Intervenire sulla nostra scuola è estremamente necessario! Ma non abbiamo bisogno di fughe in avanti, di carote a cui poi seguiranno ineluttabilmente colpi di frusta! Abbiamo bisogno di discutere di “queste cose”, e con soggetti e tempi anche definiti, ovviamente! I fuochi di artificio durano solo la festa del patrono!

Queste riflessioni sono “a caldo” e nascono da quanto ho letto sulla stampa di questi giorni! Sono sempre pronto a ricredermi quando si uscirà dagli annunci pirotecnici e avremo proposte più chiare e circostanziate!

 

* pubblicato da ItaliaOggi l’8 luglio 2014

ASSENZA/PRESENZA. ESSERE/FARE

ASSENZA/PRESENZA. ESSERE/FARE

Dinanzi alle dichiarazioni del sottosegretario all’istruzione si può soltanto sedersi un attimo, trasecolare e infine pensare al perché di un accanimento che non ha eguali nel mondo. Poi la mente va alla storia degli ultimi trent’anni vissuti a tamponare le falle dei tagli, di una valutazione a base di quiz, di ritorni a epoche preistoriche (vedi maestro unico, per citarne uno che ha fatto rabbrividire pure le foreste ), ma non voglio di nuovo elencare le assurdità che hanno messo in ginocchio le conquiste fatte a prezzo di studi e grandi sacrifici personali e professionali di tante insegnanti che hanno portato ad esempio la scuola elementare a diventare un ordine di scuola studiato da tanti Paesi grazie ai risultati conseguiti. Voglio invece dire chiaro e tondo che l’insegnamento ai figli e alle figlie di tutti compresi i nostri non è un lavoro come un altro. Sembra, a me che insegno, tanto normale affermarlo ancora una volta, ma pare che perfino un ingegnere (vedi dott. Reggi) non riesca a capirlo. Allora lo riaffermo, non si sa mai che qualcuno ascolti. Passi per tanta parte dell’opinione pubblica e di chi preferisce denigrare e offendere una categoria come la mia, ma una persona, a cui è stato dato un incarico tanto delicato, dovrebbe fare atto di modestia e riflettere prima di fare annunci di stravolgimenti epocali per poi nel giro di poche ore attutirli, smorzarli… Comunque ognuno si assumerà le proprie responsabilità. Come maestra mi assumo la mia e qui dirò ciò che penso.

La prima considerazione è rivolta, come mi pare d’obbligo, ai bambini e alle bambine: essi hanno assoluto bisogno di staccare la spina dall’ambiente scolastico, di vivere muovendosi il più possibile insieme ai propri cari e amici. So che mi attirerò qualche strale, ma non mi interessa: io sono adulta e vaccinata, quindi affermo pure la validità dei compiti delle vacanze adeguati all’età e alla maturità: l’eseguirli a casa propria o in un centro estivo li fa pensare per qualche minuto, li fa rielaborare vissuti scolastici positivi e negativi, li tiene ancorati al senso di realtà. La ricerca di equilibrio tra svago e realtà’ di lavoro si apprende da piccoli e sarà utile per sempre. Se il ministro crede che la scuola, sempre e solo la scuola, incentivi le assunzioni di responsabilità e di apprendimento di cosa significa impegno non conosce i piccoli: essi hanno bisogno di esperienze pratiche ma anche interiori all’esterno dell’istituzione per poi su di esse e tramite esse riflettere coralmente con i compagni a scuola. Il tempo lungo delle vacanze è prezioso.

La seconda considerazione è rivolta ai genitori: essi probabilmente hanno difficoltà a gestire lavoro e accudimento dei figli. Anzi, sicuramente. Nonostante ciò non dovrebbero rivolgere le loro rimostranze verso la scuola, bensì richiedere al governo di turno di spendere denaro nella direzione di un welfare degno di questo nome…richiederlo con forza. Infatti se essi vogliono qualità d’istruzione-educazione da parte delle insegnanti e degli insegnanti, devono rendersi conto del fatto che questi ultimi non sono né badanti né animatori, che hanno necessità di ritemprare la mente e di caricarsi di esperienze al di fuori della scuola per poter arricchire il proprio bagaglio culturale e umano. E dirò di questo nelle righe che seguono, perché la terza considerazione è rivolta alle e agli insegnanti come me. In un generale clima similculturale che ammorba la vita di tutti e tutte, dilaga il mito del fare e del fare veloci. Se non si fa, sembra non esserci più il senso dell’essere.

Ebbene l’insegnante fruttuoso è invece quello che si ferma. Si ferma e rallenta, fa della propria ‘assenza’ una ‘presenza’ densa di pensiero per ognuno e ognuna dei propri studenti, per la qual cosa e proprio al contrario di ciò che vorrebbe il dott. Reggi, ha imprescindibile urgenza di periodi nei quali pensare, studiare, aggiornarsi per risolvere difficoltà relazionali e didattiche. L’ assenza da scuola gli dà modo di rielaborare percorsi, di costruirne altri, di leggere e interiorizzare sostanza e forma lontane dalla propria, di stabilire contatti umani e significativi dai quali trarre linfa nuova. L’insegnante fruttuoso vive perennemente a contatto con ogni studente, se li porta a casa, per la strada, al mare, ovunque cammini, ovunque sia. L’insegnante lavora di testa. Sempre. Anzi, durante i mesi di lavoro attivo, del fare per intenderci, quello che piace alla cultura dominante, vorrebbe poter staccare per ritrovare serenità e energie da usare nelle sfide quotidiane che il contatto con un numero crescente di ragazzi e ragazze presenta. Le soluzioni nascono dall’assenza, dal distacco dall’aula e dalle mura dell’edificio scolastico. Non a caso in alcuni Paesi si concede l’anno sabbatico. Sarebbe ora che le politiche ministeriali tenessero in alta considerazione ciò che un insegnante dovrebbe essere e diventare, invece si pensa a cosa dovrebbe fare, a quante ore dovrebbe stare in ‘presenza’ per far piacere ad altre categorie che sulla carta paiono ‘fare’ di più. Insomma, uno Stato maturo, chiamiamolo così per capirci subito, dovrebbe infischiarsene delle ‘invidie’, delle contumelie, delle piccinerie e dare grande fiducia al lavoro intellettuale alla base di un buon insegnamento e di soddisfacenti apprendimenti. In questi anni si è assistito a un proliferare di carichi senza alcun senso pedagogico e didattico, ad esempio l’obbligo della compilazione giornaliera del registro elettronico, per dirne una, l’istituto di nuove commissioni sui Bes, per dirne un’altra, adempimenti burocratici di vario tipo, progetti slegati dalla programmazione di classe…valutazione in decimi perfino alla primaria, ecc…Ebbene il risultato è stato, mi ripeto, un fare fare fare in presenza (altro che 36 ore!)…ma ricadute su un innalzamento della qualità didattica, sugli apprendimenti dei singoli, poche! Tanto è vero che sono in aumento disortografie, disgrafie, casi di bambini depressi e ipercinetici, ecc…Se qualcuno volesse riflettere sui perché scoprirebbe che gli insegnanti, i quali fino a un certo punto avevano fatto miracoli nonostante tagli a tempo, spazio, persone , non hanno più avuto il tempo di farli, di ‘rallentare’, di pensare in ‘assenza’ a ciò che serviva a questo e a quello studente metodologicamente e didatticamente, umanamente e relazionalmente, in presenza. Cari decisori, qui è in ballo molto di più di ciò che avete in mente, qui è drammaticamente evidente il rischio di ritrovarsi insegnanti demotivati, sfiduciati o, di contro, assillati dal fare per il fare e il far vedere quanto si ‘vale’ col ‘fare’, insegnanti mal disposti verso colleghi di lavoro in continua competizione. Qui ne va della sopravvivenza dell’insegnante che dà frutti a ognuno, quello fruttuoso, pensante, quello dell’essere prima del fare. Perciò è in ballo il futuro dell’istruzione, del non uno di meno di ormai antica memoria!

Claudia Fanti, maestra elementare 

Riunione del GLIR Lazio

L’8 Luglio si è svolta una riunione del glir Lazio ( gruppo di lavoro regionale per l’inclusione scolastica ) che ha avanzato numerose proposte fattibili  entro pochi mesi, tra le quali: formulazione  entro Novembre di criteri uniformi su tutto il territorio regionale per la certificazione di disabilità da parte delle ASL ai fini della richiesta delle ore di sostegno e di assistenza per l’autonomia;formazione di un gruppo di lavoro interistituzionale con la presenza delle associazioni per la revisione dell’accordo di programma regionale del 2008 sull’inclusione scolastica; avvio dal 1 al 15 Settembre di corsi di programmazione ed aggiornamento di tutti i docenti curricolari che hanno in classe alunni con disabilità, volto a farli partecipare attivamente alla lettura della diagnosi funzionale dell’alunno che hanno in classe, ed alla redazione del pei, con la consulenza di docenti specializzati per il sostegno della stessa scuola o di reti di scuole, degli operatori sociosanitari, delle famiglie e degli esperti volontari delle associazioni di persone con disabilità e loro familiari;  riordino degli interventi delle province che  stanno per cambiare natura e funzioni; trovare soluzioni allo sciopero dei collaboratori scolastici  con l’astenzione dall’ assistenza igienica per gli alunni con gravi disabilità, a causa della sospensione dal 1°  Settembre al  3 1 Dicembre prossimi dell’apposita indennità a causa dei tagli alla spesa pubblica.

Il GLIR tornerà a riunirsi ai primi di Ottobre per verificare lo stato di avanzamento dei progetti che ora sono in mano dell’Ufficio scolastico regionale.

Salvatore Nocera

Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire

Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire
L’indecente vicenda della chiusura del Convitto per Sordi di Torino

Con una decisione improvvisa presa ad anno scolastico terminato da un mese, l’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte ha deciso di negare l’organico al Convitto Nazionale per Sordi di Torino e ha proposto al Ministero dell’Istruzione Università Ricerca di chiudere questa storica istituzione educativa.
Il Convitto per Sordi di Torino era in crisi da anni ed ha sofferto di un totale abbandono sia da parte degli uffici del Ministero, sia da parte dell’ex Rettore del Convitto.
Da molto tempo i non udenti provenienti da fuori città vengono indirizzati verso altri istituti educativi privati come la Scuola per Sordi di Torino con sede a Pianezza, e l’attenzione verso quello che rimane la prima istituzione educativa specificamente pensata per i non udenti era drammaticamente crollata.
Perché è successo questo? Perché dal 1992 non vengono più organizzati corsi di formazione in LIS (Lingua Italiana dei Segni) per gli educatori. In questo modo il personale specializzato è venuto via via meno; l’assenza di educatori specializzati ha limitato la fiducia delle famiglie dei non udenti nei confronti di quest’istituzione e il numero di sordi iscritti è calato fino a ridursi al di sotto delle dieci unità.
Questa situazione che oggi viene evocata dall’USR per giustificare la richiesta di chiusura è stata creata negli anni e nessun dirigente scolastico ha mai pensato di porvi rimedio. Ancora diciotto mesi la CUB Scuola Università Ricerca ha proposto all’USR di organizzare corsi di formazione per educatori che avrebbero potuto rilanciare l’offerta del Convitto; molte colleghe e colleghi si erano detti disposti a lavorare nel senso di costruire un’immagine positiva del Convitto per Sordi presso le famiglie di non udenti; la CUB SUR aveva proposto di utilizzare il fondo d’istituto del Convitto per organizzare attività semiconvittuale aperte ai non udenti della città, anche in collaborazione con l’ISIS IPSIA Magarotto.
A tutte queste sollecitazioni non è stata data risposta. Ora sappiamo perché! Qualcuno si era già convinto della necessità di chiudere il Convitto per Sordi ed ha operato perché nulla cambiasse nella sua agonia!
Ora la sospensione delle attività avviene a Luglio, con decine di colleghe e colleghi che hanno già aggiornato le graduatorie del Personale Educativo sicuri del fatto che i posti presso il Convitto per Sordi ci sarebbero stati anche per l’anno scolastico 2014-15.
Ora, la beffa. In quanti avrebbero potuto scegliere un’altra destinazione essendo consci della diminuzione di posti? Ora in quanti rischiano di non lavorare per i prossimi tre anni grazie all’improvvida mossa dell’USR? E’ questo la “nuova attenzione” del governo Renzi verso la scuola italiana?
Una prestigiosa istituzione pubblica viene chiusa avvantaggiando la concorrenza privata, quindici o più educatori ed educatrici vengono condannati alla disoccupazione, allungando il numero dei precari della scuola cacciati dai diversi governi in questi cinque anni, mentre le famiglie dei non udenti perdono quello che avrebbe potuto tornare ad essere un punto
di riferimento educativo in questa città.

La CUB scuola chiede con forza:

al Ministero di non accettare la chiusura del Convitto nazionale per Sordi di Torino, al contrario di rilanciarlo prevedendo l’organizzazione di corsi in LIS per educatori ed educatrici e l’organizzazione di attività semiconvittuali aperte alla città
all’USR ed all’UST di organizzare progetti di lavoro che coinvolgano tutte le scuole cittadine utilizzando il personale educativo precario per realizzare l’apertura pomeridiana delle scuole che il sottosegretario Reggi vuole svolgere aumentando l’orario dei docenti a parità di salario
nell’immediato la riapertura delle graduatorie del personale educativo in modo che colleghe e colleghi precari possano scegliere se restare in provincia di Torino o spostarsi in altre provincie

Per la CUB Scuola Università Ricerca
Stefano Capello

«Dicevano che sarei andato in pensione. Poi sono rimasto prigioniero a scuola»

da Corriere della sera

«Dicevano che sarei andato in pensione. Poi sono rimasto prigioniero a scuola»

Un professore della «quota 96»: soluzione pronta? Se non vedo non credo

Potrebbe essere ad un passo dalla soluzione la vicenda dei quattromila insegnanti che non sono potuti andare in pensione due anni fa dopo l’approvazione della riforma Fornero. Per loro, che avevano maturato i diritti con il vecchio sistema ma che sono rimasti intrappolati dalla legge del governo Monti, che indicava come limite tra i vecchi e i nuovi criteri pensionistici il 31 dicembre 2011, dopo tanti no sembra arrivato finalmente un sì. «L’emendamento per i cosiddetti “quota 96” è pronto — ha detto il presidente della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia del Partito democratico — e ha le necessarie coperture finanziarie. È molto positivo che il sottosegretario Cassano abbia accolto la nostra richiesta di inserirlo nel decreto della riforma della Pubblica amministrazione». Sulla proposta ci sarebbe anche l’avallo del ministero del Lavoro guidato da Giuliano Poletti. Con questo emendamento, per il quale si sono battute per mesi Manuela Ghizzoni del Pd e Maria Marzana del movimento Cinquestelle, si sanerà quello che da molti è stato definito come un vero e proprio «pasticcio». «Non ci sono più scuse — ha commentato Marcello Pacifico dell’associazione sindacale Anief —. Il governo Renzi deve correggere gli errori della Fornero».

Chi è utilizzato in ordine di scuola superiore avrà l’aumento di stipendio

da tecnicadellascuola.it

Chi è utilizzato in ordine di scuola superiore avrà l’aumento di stipendio

Nei casi di utilizzazione in una scuola di ordine superiore, l’insegnante ha diritto all’adeguamento dello stipendio. Ma la regola vale anche quando si è utilizzati in scuola di grado inferiore: in tal caso lo stipendio diminuisce.

Se ad esempio un docente titolare di scuola primaria si trova nelle condizioni di ottenere utilizzazione o assegnazione provvisoria per una classe di concorso delle scuole secondarie per cui è abilitato, una volta preso servizio nell’ordine superiore di scuola avrà un adeguamento al rialzo dello stipendio.
Quanto detto è scritto nel contratto collettivo nazionale all’art.10 comma 10 :  “Ai sensi dell’art. 52 del decreto legislativo n. 165/2001 (cfr. nota n.2), il personale docente utilizzato, a domanda o d’ufficio, ivi compresa l’assegnazione provvisoria, in altro tipo di cattedra o posto, ha diritto all’eventuale trattamento economico superiore, rispetto a quello di titolarità, previsto per detto tipo di cattedra o posto. La maggiore retribuzione è corrisposta per il periodo di utilizzazione, in misura corrispondente a quella cui l’interessato avrebbe avuto titolo se avesse ottenuto il passaggio alla cattedra o posto di utilizzazione”.
Ma bisogna fare attenzione, perché vale anche il viceversa. Se per esempio un docente di matematica del liceo avesse un utilizzazione o assegnazione provvisoria in una cattedra di matematica (A059) alle scuole medie, si troverebbe a percepire uno stipendio inferiore.
A volte purtroppo  accade che certi spostamenti annuali, fatti in fase di utilizzazione, avvengono d’ufficio per situazioni di esuberi provinciali in certe discipline. Si ricorda che l’utilizzazione non determina la perdita della continuità del servizio acquisito nella scuola di titolarità. Per cui l’anno di servizio da utilizzato è da considerarsi senza soluzione di continuità con i precedenti anni passati nella scuola e nella classe di concorso di titolarità.
Quanto suddetto è riportato con estrema chiarezza nella nota 5 della tabella di valutazione titoli allegata all’ ipotesi del CCNI mobilità annuale. Infatti nella nota 5 è precisato che “non interrompe la continuità del servizio l’utilizzazione in altra scuola del docente in soprannumero nella scuola di titolarità né il trasferimento del docente in quanto soprannumerario qualora il medesimo richieda in ciascun anno dell’ottennio successivo anche il trasferimento nell’istituto di precedente titolarità ovvero nel comune. La continuità di servizio maturata nella scuola o nell’istituto di precedente titolarità viene valutata anche al personale docente beneficiario del predetto art. 7, punto II) del presente contratto – alle condizioni ivi previste – che, a seguito del trasferimento d’ufficio, sia attualmente titolare su posti DOP”.
Mentre nel caso di assegnazione provvisoria la continuità viene persa, con l’eccezione evidenziata sempre nella nota 5, in cui è scritto quanto segue: “Il punteggio di cui trattasi ( si tratta della continuità del servizio)  non spetta, invece, nel caso di assegnazione provvisoria e di trasferimento annuale salvo che si tratti di docente trasferito nell’ottennio quale soprannumerario che abbia chiesto, in ciascun anno dell’ottennio medesimo, il rientro nell’istituto di precedente titolarità”.

 

Reggi non si ferma, ora nel mirino ha le supplenze “brevi”: tagliamole, non danno valore aggiunto

da tecnicadellascuola.it

Reggi non si ferma, ora nel mirino ha le supplenze “brevi”: tagliamole, non danno valore aggiunto

Secondo il sottosegretario, poiché non sono programmate, dal punto di vista didattico “non danno valore aggiunto”. Meglio “utilizzare gli insegnanti di ruolo”, i quali darebbero la loro disponibilità a fare le supplenze in modo più organico. Per realizzare il progetto, però, occorre introdurre prima “l’organico funzionale”. L’impressione è, dopo le 36 ore ritrattate, anche stavolta l’applicazione pratica sia davvero ardua.

Ormai il sottosegretario all’Istruzione Roberto Reggi sembra essersi sostituito al ministro Stefania Giannini. Dopo la discussa intervista a Repubblica, la sostanziale smentita di quanto affermato, nel corso della tre-giorni Pd a Terrasini, il 7 luglio ha fatto delle precisazioni importanti dai microfoni di Radio Anch’io (Radio 1): dopo aver confermato che “nessuno ha mai parlato di 36 ore di lezione. Le ore di insegnamento restano costanti, e quindi 18 ore per le superiori, 22 per le primarie e 25 per le materne”, anche sel’orario di lavoro dovrà essere oggetto di revisione e contrattazione, Reggi è tornato a parlare di docenti precari. Spiegando che stavolta nel mirino del Governo ci sarebbero le supplenze cosiddette “brevi”, quelle, per intenderci, che si fanno anche e spesso per un solo giorno (soprattutto nelle scuole dell’infanzia e primarie).

Secondo il sottosegretario, siccome queste supplenze non sono programmate, ma improvvisate, dal punto di vista didattico “non danno valore aggiunto”. Meglio, quindi, “utilizzare gli insegnanti di ruolo”, i quali darebbero la loro disponibilità a fare le supplenze in modo più organico. Per realizzare questo progetto, però, ha tenuto a dire Reggi, occorre introdurre prima “l’organico funzionale”: considerando i tanti anni che sono passati da quando si parla di introduzione dell’organico funzionale, l’impressione è anche questa uscita di Reggi sia destinata a non trovare applicazione pratica.

 

Crisi, per i figli degli immigrati la scuola è una vetta altissima

da tecnicadellascuola.it

Crisi, per i figli degli immigrati la scuola è una vetta altissima

Lo dice un rapporto Ocse, richiesto dal Cnel, che parla di crescente tasso di abbandono e di una percentuale di Neet pari ad un terzo degli stranieri tra i 15 e i 24 anni. Spesso non sanno nemmeno la lingua italiana. Il passaggio alle superiori è forse il momento più duro. Anche perchè solo otto regioni consentono agli studenti immigrati con qualifica professionale post-triennale di accedere a un quarto anno di formazione e solo due regioni al quinto

La crisi “morde” tutti, anche e soprattutto chi è già povero e in difficoltà. Se la passano male, in particolare, gli uomini immigrati. I quali sono stati colpiti ”molto duramente” dalla crisi economica, data la loro concentrazione nel settore dell’edilizia e del manifatturiero. Il loro tasso di occupazione ha raggiunto il 72% nel 2012 ed è sceso di 10 punti percentuali dal 2008, circa il doppio rispetto ai nativi. L’occupazione delle donne immigrate, impiegate per lo più in lavori di cura e assistenza, ”dipende invece dai risparmi delle famiglie, che stanno notevolmente diminuendo”. E’ quanto emerge dal rapporto ”L’integrazione degli immigrati e dei loro figli in Italia”, redatto, su richiesta del Cnel, dall’Ocse e presentato il 7 luglio a Roma. Spesso, denuncia l’Ocse, gli immigrati entrano nel circuito del lavoro sommerso e irregolare, dello sfruttamento e della discriminazione. Ciò vale anche per ”quel 10% classificato come altamente qualificato, che rappresenta l’unico gruppo con tassi di occupazione più bassi rispetto ai nativi”.

Complessivamente gli immigrati, uomini e donne, costituiscono rispettivamente il 31 e il 40% dei lavoratori poco qualificati nel 2012. Solo la metà di loro ha un titolo di studio superiore alla licenza media e pochi parlano italiano al momento dell’arrivo. Il passaggio alla scuola superiore non è facile e, ricorda l’Ocse, ”solo otto regioni consentono agli studenti immigrati con qualifica professionale post-triennale di accedere a un quarto anno di formazione e solo due regioni al quinto anno”.

La maggioranza degli studenti immigrati ha genitori poco istruiti e non ottiene buoni risultati a scuola. Per i quindicenni coinvolti nell`indagine Pisa, la differenza tra i risultati ottenuti dagli studenti immigrati e quelli ottenuti dai nativi è una tra le più alte nei Paesi Ocse. I dopo-scuola, insieme a corsi di lingua, servirebbero a migliorare la situazione, insieme a misure per incentivare le famiglie a portare in Italia i loro figli il prima possibile, così che possano imparare la lingua a scuola. Mentre oggi, il rapporto registra tra i figli di immigrati un crescente tasso di abbandono scolastico e una percentuale di Neet pari a un terzo degli stranieri tra i 15 e i 24 anni.
Un ultimo dato interessante emerso dal rapporto riguarda il fatto che tutti i figli degli immigrati sono consapevoli del loro diritto alla naturalizzazione: l`acquisizione della cittadinanza dovrebbe essere facilitata ed incoraggiata, dal momento che i figli degli immigrati naturalizzati hanno risultati migliori nel mercato del lavoro. Sarebbe compito dei Comuni diffondere le buone pratiche esistenti per raggiungere i minori e le loro famiglie ed incoraggiarli a sfruttare questa possibilità.

 

La sintesi di Terrasini e l’antitesi delle parole, troppe

da tecnicadellascuola.it

La sintesi di Terrasini e l’antitesi delle parole, troppe

Quando è troppo è troppo e le parole si sono sprecate, durante la tre giorni del Pd a Terrasini, dal 4 al 6 luglio scorsi, anche se la dialettica hegeliana, cara ai marxisti e quindi all’ex Pci, potrebbe pure dare buone prove esemplari di democrazia

Ma la parola deve dare seguito all’azione, soprattutto se la sintesi dialettica viene raggiunta per una nuova riproposizione che poi si avvia naturalmente al suo superamento, ma dopo che è stata fissata, la sintesi. Ed è stata fissata la sintesi delle tre giornate siciliane volute dal Pd di Renzi? E chi lo sa, visto che il leitmotiv è stato quello del “nulla di definitivo”, “intanto si discute”, “valuteremo coi dirigenti e col premier”, “facciamo solo proposte”, “ci stiamo confrontando”, “questo è un cantiere”, da dove però si ha l’impressione che la nave sia lungi dall’essere varata, almeno secondo il progetto complessivo, benché si sia capito che anche a Roma, al Miur, si implementano cantieri-scuola. Cosicchè mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata, e siccome siamo tutti in ferie, nonostante la crisi, nulla di strano che intervenga una sintesi differente da quella discussa e ricavata; oppure che sia frutto di troppe, ulteriori, altre sintesi e che il cammello si trasformi in leone improvvisamente nel deserto dell’incertezza, in modo che dal cilindro sulle sabbie d’agosto si materializzi qualche coniglio bianco in cerca di un orologio che porti indietro il tempo, quando le parole d’ordine erano: credere, obbedire, combattere.
E perché no, visto che di dogmi le fosse son piene, e allora: credere nelle virtù taumaturgiche del presidente del consiglio diventa un atto di fede, non di autodafè che riguarda il burnout; e poi obbedienza nelle sua decisioni, mentre l’ora delle riforme attese da decenni batte solenne nell’orologio della storia d’Italia; il combattimento poi già lo conosciamo ed è quello che ogni giorno ci è imposto dalla condizioni generali della vita e lo conoscono pure i docenti, ma quando sono a scuola, sotto l’imperio di tutte le incombenze che cascano sulla cattedra per decisione ministeriale, del dirigente, dei ragazzi, delle famiglie e perfino talvolta del personale che per una fotocopia ti fa stirare il collo.
La sintesi dunque delle tre giornate “terrasiniane”? Se verrà, ci auguriamo che non sia troppo diversa dalla sintesi elaborata e uscita dai gruppi di lavoro che si sono confrontati sui temi che da anni, troppi anni, affliggono la scuola. E siccome, crediamo, che ci sia sempre qualcosa che si interpone fra terra e cielo, e che il fiume più è impetuoso più i guadi sono azzardati, bisognerà sempre attendere i costruttori di ponti, i “pontifex, e in questo nostro caso il “pontefice toscano”. È lui, viene sempre ripetuto, a rappresentare l’ultima spiaggia, l’ultimo baluardo per la riconquista dei valori italici, come lo fu Arminio a Teutoburgo o Toro Seduto a Little Bighorn. Gli sguardi dunque sono rivolti ancora verso gli acquartieramenti renziani, in attesa delle sintesi delle sue trombe e nella speranza ulteriore che non si pongano in antitesi con le campane del popolo della scuola, più aduso tuttavia alle campanelle tra un’ora e l’altra di lezione.

Unicobas: “Delle scuse di Reggi non sappiamo cosa farcene”

da tecnicadellascuola.it

Unicobas: “Delle scuse di Reggi non sappiamo cosa farcene”

Unicobas conferma l’assemblea nazionale per il 14 luglio e la manifestazione subito dopo.
Il segretario d’Errico: “Reggi non è credibile, dice di non aver parlato di aumento dell’orario ma poi sostiene che le supplenze dovranno farle i docenti di ruolo”.

All’Unicobas le ritrattazioni e le scuse di Reggi non bastano affatto, anzi servono solamente a confermare le decisioni fin qui prese: assemblea nazionale il 14 luglio in preparazione di una manifestazione subito dopo che – al momento – si preannuncia alquanto affollata: hanno già assicurato la loro presenza Anief, Usb, Coordinament precari, USI e CUB; ma non si esclude che anche i Cobas partecipino.
Più problematica la presenza della Flc-Cgil che però ha preannunciato una manifestazione nazionale per fine settembre.
Duro e ironico il comunicato dell’Unicobas: “Ma con chi crede di parlare Reggi? Da un lato si scusa per aver usato ‘parole mal meditate’ e di ‘non aver mai sostenuto di voler aumentare l’orario dei docenti’. Ma l’apice dell’assurdo si tocca quando, d’altra parte conferma in pieno il progetto. Questa mattina, infatti, a ‘Radio Anch’io’, Reggi ha dichiarato che ‘le supplenze le dovrà fare il personale di ruolo’”.
“Ebbene
– si chiede ironicamente il segretario nazionale dell’Unicobas Stefano d’Errico – come si può sostenere un progetto del genere senza un aumento d’orario per i docenti stabilizzati? Come potrebbero ‘fare le supplenze’ senza alzare l’orario di cattedra?”
La bocciatura di Reggi e Giannini è senza appello: “A questo punto il Dicastero di Viale Trastevere è destituito di ogni credibilità. Ergo, non accettiamo le scuse e riteniamo ancora in campo il progetto al vaglio del Ministro dell’Istruzione per un vero e proprio blitz legislativo estivo contro la scuola”.
Ma d’Errico, parlando al telefono con noi,  ironizza anche sull’annuncio della Flc: “Evidentemente il segretario Mimmo Pantaleo non sa (o forse lo sa fin troppo bene) che un decreto legge adottato dal Governo entro fine luglio per fine settembre sarà già convertito in legge”
Come dire: se non ci si mobilità adesso, a settembre potrebbe essere troppo tardi. L’estate del 2008 dovrebbe essere servita a qualcosa.

 

Reggi: “L’orario dei docenti sarà oggetto di revisione”

da tecnicadellascuola.it

Reggi: “L’orario dei docenti sarà oggetto di revisione”

Il sottosegretario all’Istruzione a Radio Rai: “Nessuno ha parlato di 36 ore per gli insegnanti. Oltre alle ore di insegnamento i docenti preparano lezioni e fanno altre attività che potrebbero essere fatte a scuola o a casa. E’ importante dedicare tempo alla formazione così come all’organizzazione scolastica”

Alla trasmissione di Radio Rai, “Radio Anch’io”, il sottosegretario all’Istruzione, Roberto Reggi parla della sua proposta di aumentare a 36 ore l’orario di lavoro degli insegnanti. Dopo l’intervista a “la Repubblica” della scorsa settimana, ieri, durante il convegno sulla scuola organizzato da Pd a Terrasin i(Palermo), aveva fatto marcia indietro: “So cosa vuol dire stare in trincea con alunni che spostano a scuola i problemi che non trovano riscontro a casa, stiamo costruendo la proposta a livello di Governo e ciò che chiediamo a docenti e sindacati è di ‘venirci incontro”. Intervenuto alla trasmissione radiofonica della Rai, Reggi dice: “Nessuno ha parlato di 36 ore per gli insegnanti. Oltre alle ore di insegnamento i docenti preparano lezioni e fanno altre attività che potrebbero essere fatte a scuola o a casa. E’ importante dedicare tempo alla formazione così come all’organizzazione scolastica”. Il sottosegretario ha comunque ribadito che l’orario di lavoro dovrà essere oggetto di revisione e contrattazione

Reggi: dovunque il lavoro svolto viene valutato

da tecnicadellascuola.it

Reggi: dovunque il lavoro svolto viene valutato

 

Il sottosegretario all’istruzione, Roberto Reggi, intervenendo a Terrasini nel corso delle tre giornate, 4/5/6 luglio scorsi, del “Cantiere scuola del Pd”, alla domanda della deputata democratica, Simona Malpezzi, che lo intervistava, ha spiegato: dovunque è il dirigente che valuta il lavoro degli impiegati, ma a scuola… Superare gli attuali organi collegiali

“Ma a scuola mi rendo che è moto più difficoltoso”, vista la natura stessa del lavoro che svolgono i docenti. E certamente la valutazione dei singoli insegnanti, ha continuato il sottosegretario, non potrà essere affidata a una sola persona, e in questo caso al preside, benchè tutti sappiamo che, come in qualunque luogo di lavoro, c’è chi dà moltissimo e chi poco; e a chi dà moltissimo occorre riconoscere quel moltissimo e non metterlo alla stessa stregua di chi invece dà poco o nulla.
Contestualmente tuttavia è anche importante valutare la scuola, metterla cioè in rapporto col territorio e con i suoi vantaggi o svantaggi, con le condizioni familiari degli alunni e di lavoro. È chiaro che una scuola di periferia, delle frontiere estreme delle città, non potrà subire parametri valutativi simili a quelle di quartieri “alti” del centro città, frequentata dai ceti medio-alti.
Che in effetti anche la gran parte dei docenti sentano fortemente il bisogno di avere riconosciuti i propri sforzi e il proprio impegno, deriva da un sondaggio svolto anni addietro. Non è per certi versi più sopportabile, hanno all’epoca gridato tanti professori, che nelle scuole ci siano docenti che si impegnano con grandi sacrifici e dedizione, mentre altri, che magari bivaccano e fanno spallucce di fronte ai ragazzi, alla fine abbiano uguale stipendio.
Anche questa purtroppo è una contraddizione della nostra scuola dove c’è personale che si auto aggiorna costantemente (mancando l’aggiornamento obbligatorio) e c’è chi invece non compra nemmeno un libro e non solo di didattica.
Reggi ha proprio spiegato a Terrasini, ma lo ha anche sottolineato la deputata Pd Simona Malpezzi nel corso di un seminario sul reclutamento e la formazione dei docenti, che bisogna superare questo vulnus, mentre la proposta del Pd, tutta da discutere ancora e da valutare bene, non si deve vedere in funzione punitiva, ma al contrario in senso premiale, di stima e di valorizzazione della funzione insegnante.
Ma Reggi ha detto pure qualcosa in più: bisogna superare gli organi collegiali così come sono stati pensati nel 1974, precisando: non bisogna avere paura dei cambiamenti.
In pratica l’idea, sempre tuttavia in fieri e sempre ancora da definire e da vagliare, come da tutti i dirigenti Pd presenti a Terrasini è stato costantemente sottolineato, sarebbe quella di coinvolgere, all’interno dei nuovi organi collegiali, il territorio, compresi quindi gli Enti locali come le municipalità, i sindaci, le imprese e così via. Ma ha pure ventilato la possibilità che nelle scuole e quindi all’interno degli organi collegiali, ci sia una sorta di “team di esperti” anche per coordinare per esempio da un lato il Collegio dei docenti e dall’altro il Consiglio di istituto che attualmente hanno funzioni separate. Che senso ha oggi tale separazione? Dice Roberto Reggi.
“L’intenzione nostra, di questo Governo, che si è caratterizzato per la sua volontà riformatrice, è quella di fare ordine nell’organizzazione generale della scuola”.

Pd: 3+2 per diventare insegnanti

da tuttoscuola.com

Pd: 3+2 per diventare insegnanti

I giovani che intendono diventare insegnanti dovrebbero acquisire l’abilitazione direttamente durante un nuovo percorso universitario magistrale, che sarebbe costituto da 3 anni iniziali disciplinari, come avviene oggi, e successivamente da 2 anni di specializzazione. Nel corso del biennio finale sarebbe compreso anche il tirocinio abilitante, che attualmente si fa all’interno del TFA, dopo la laurea.

La proposta giunge dal ‘Cantiere scuola’ del Partito Democratico, in corso a Terrasini, vicino a Palermo. A prospettarla ai 300 docenti e dirigenti presenti è stata Simona Malpezzi, componente della VII Commissione Cultura alla Camera: il tirocinio, ha spiegato la parlamentare, si svolgerebbe nelle scuole e verrebbe affidato ad insegnanti ”senior”, vicini alla pensione e che in questo modo potrebbero mettere a disposizione delle giovani leve la loro lunga esperienza dietro alla cattedra.

I docenti abilitati avrebbero quindi accesso ai nuovi concorsi a cattedra, che avrebbero cadenza biennale e sarebbero a numero rigorosamente chiuso: verrebbero programmati dopo aver verificato i posti effettivamente liberi nelle varie province e discipline, in modo da non produrre più vincitori ‘idonei’ da assumere nel corso degli anni.

La proposta del Pd farebbe insomma risparmiare almeno un anno agli aspiranti docenti di scuola secondaria, inserendo la loro formazione iniziale direttamente all’interno del percorso universitario. Una soluzione adottata anche in altri Paesi, in alcuni dei quali peraltro operano, accanto alle università, apposite istituzioni di istruzione superiore specializzate nella formazione dei docenti.