Prove INVALSI e Alternanza scuola – lavoro

Prove INVALSI e Alternanza scuola – lavoro diventano obbligatori per l’accesso agli Esami di Stato.
Nessun ripensamento da parte del Governo, solo modifiche al (futuro) curriculum dello studente

Roma, 13 febbraio – L’estromissione dei risultati delle prove INVALSI dal curriculum dello studente rappresenta indubbiamente un passo in avanti per il pieno riconoscimento del ruolo dei docenti e degli organi collegiali della scuola quali unici responsabili della valutazione dei processi formativi degli alunni. Del resto, le prove INVALSI, concepite per altri scopi, non hanno nessun valore didattico.

Si tratta però di una scelta debole e residuale, non in grado di invertire la tendenza degli ultimi anni di un pesante rafforzamento dei test standardizzati per la valutazione degli apprendimenti. Infatti, le prove INVALSI diventano obbligatorie per l’accesso all’Esame di Stato. Tale scelta è quest’anno davvero incomprensibile visto che il curriculum dello studente, documento il cui format non è ancora noto ma che dovrebbe associare il profilo dello studente ad una identità digitale, non sarà nemmeno utilizzato. Per questo ribadiamo la richiesta di eliminazione delle prove INVALSI come requisito di accesso all’esame e il superamento dei test censuari.

Persino più grave è la situazione dell’alternanza scuola lavoro, ora PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento). In questo caso la frequenza è obbligatoria per l’accesso, il colloquio dell’esame prevede una parte rilevante dedicata a questi percorsi e, nel futuro curriculum dello studente saranno indicate le competenze, le conoscenze e le abilità, anche professionali, acquisite nelle attività di PCTO, anche ai fini dell’orientamento e dell’accesso al mondo del lavoro.

Si tratta da un lato, di scelte sbagliate e, dall’altro, di forzature che non rispettano l’autonomia progettuale delle scuole e le diverse condizioni economiche e produttive del territorio. Perfino le recenti vicende legate alle condizioni di sicurezza dei luoghi di lavoro denunciano l’errore di una attività che diventa stimolante e produttiva se scelta e programmata dai docenti e si trasforma in esperienza negativa se è obbligata e imposta dall’alto.

Su questo tema chiediamo un deciso cambio di rotta.

ALLARMISMO NO, MA MISURE PRECAUZIONALI SI

CORONAVIRUS 2019-NCOV, ALLARMISMO NO, MA MISURE PRECAUZIONALI SI

Le notizie che pervengono dalla Cina, purtroppo, non sono confortanti. Per come affermato dalla virologa Ilaria Capua, ospite di Myrta Merlino a “L’aria che tira”, su La7, “Ogni malattia infettiva ha un periodo di incubazione, durante il quale il soggetto infetto non mostra sintomi. Il contagio certo che avviene anche senza sintomi. Una persona che comincia a starnutire è infetta”. Particolarmente significativo il suo appello alle aziende, “Le aziende che hanno la possibilità di far lavorare i propri dipendenti con il telelavoro, qualora ci fosse un contagio importante, per piacere comincino a pensarci. Questa infezione non andrà via in una settimana, questa infezione arriverà in Italia, farà il giro del mondo, combinerà dei guai nei Paesi più poveri e quindi organizziamoci“.

Tutto ciò lascia prelude ovviamente un possibile contagio massivo, per cui pur non volendo in alcun modo suscitare allarmismo, l’Associazione Nazionale Docenti, nei giorni scorsi ha inviato una nota a ministri dell’Istruzione e della Sanità.

La diffusione esponenziale del coronavirus 2019-nCoV, -scrive il prof. Francesco Greco, presidente dell’Associazione Nazionale Docenti- per come già evidenziato negli interventi di codesti ministeri, impone, pur con le dovute accortezze, azioni ispirate al principio della massima precauzione, in particolare in quei luoghi maggiormente esposti e vulnerabili quali le scuole.

Al riguardo, -continua Greco- riteniamo necessario chiedere ai capi di istituto, agli enti locali e agli Uffici di Igiene Pubblica l’adozione, tra altre, di alcune misure essenziali che rientrano nell’ordine di un rafforzamento dell’igiene pubblica. In particolare, che i capi di istituto dispongano una maggiore vigilanza riguardo l’accesso a scuola di alunni e studenti che presentino sintomi febbrili; che gli enti locali dispongano una disinfestazione generale e straordinaria delle scuole e dei luoghi di accesso degli studenti (palestre, laboratori, etc.). Naturalmente, altrettanto andrebbe fatto in strutture esterne ad alta presenza di persone.

Quanto richiesto, -conclude Greco- sicuramente non è in contrasto con “il diritto inalienabile di bambini e ragazzi, di qualsiasi nazionalità, di frequentare liberamente e regolarmente la scuola in assenza di evidenti e conclamate controindicazioni di carattere sanitario”, anzi mira proprio ad assicurare tale diritto a tutti, in condizioni di sicurezza per la salute pubblica.”

Al via «Energicamente», progetto nazionale di formazione digitale su innovazione energetica e consumo sostenibile

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

Estra Spa – tra gli operatori leader nel Centro Italia nel settore della distribuzione e vendita di gas naturale, attivo anche nella vendita di energia elettrica – presenta la nona edizione di Energicamente, il progetto didattico a promozione della formazione digitale sui temi dell’innovazione energetica e del consumo sostenibile.

L’iniziativa, a carattere nazionale, si rivolge agli studenti, insegnanti e famiglie dei ragazzi delle scuole primarie e secondarie di primo grado. Al centro del progetto il percorso ludico-didattico, realizzato in collaborazione con La Fabbrica di Milano, che accompagna i ragazzi in modo interattivo con un innovativo approccio digitale; la formazione avviene, infatti, sulla piattaforma web dedicata di Energicamente (https://www.energicamenteonline.it/) in cui si riunisce online l’EstraCommunity, composta da studenti (delle scuole primarie e secondarie di primo grado) e insegnanti provenienti da tutta Italia.

Ai docenti che hanno aderito a Energicamente, Estra insieme a Legambiente Scuola e Formazione, la sezione di Legambiente dedicata ai temi della didattica, offre un corso di formazione strutturato. Un vero e proprio supporto metodologico nella progettazione, gestione e valutazione del percorso in classe, incentrato sulla promozione di competenze di cittadinanza. Il corso è riconosciuto dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca come formazione da 25 ore.

Dalla sostenibilità al risparmio energetico, dall’uso razionale dell’energia a livello domestico alle innovazioni tecnologiche ecocompatibili, molteplici i temi protagonisti del progetto che mira a sensibilizzare le nuove generazioni sui valori della tutela ambientale e dell’utilizzo ecocompatibile dell’energia. I moduli approfonditi traggono origine dal nome di Estra: Energia, Sviluppo sostenibile, Tecnologia, Riduzione dei consumi e Ambiente.

I giochi interattivi (EstraExperience) che rappresentano l’approccio ludico del progetto si accompagnano alla parte di formazione vera e propria con lezioni interattive online di approfondimento (EstraLesson), quiz di verifica e approfondimenti in classe con i docenti
coinvolti. Grazie ai contenuti e all’approccio didattico, i ragazzi hanno l’opportunità di maturare conoscenze mirate così come lo sviluppo di competenze trasversali (soft e hard skills) ad hoc come creatività, spirito di iniziativa, capacità di lavorare in team e orientamento al risultato.

Il percorso ludico didattico si conclude con la possibilità, rivolta alle classi di studenti, di partecipare al concorso “Energia in Squadra” (aperto fino al 19 marzo 2020). I ragazzi, suddivisi in squadre, realizzano un elaborato creativo (video, device digitale innovativo, gioco) sull’energia in cui condensano le conoscenze apprese. Il premio verrà assegnato agli otto migliori progetti multidisciplinari sul tema. In palio per i vincitori l’EstraDay, una giornata speciale all’insegna dell’energia, dedicata alla loro scuola, in cui potranno mettere in pratica divertendosi i contenuti di Energicamente. Il 30 aprile 2020 si chiude, invece, la possibilità di partecipare al concorso dedicato alle famiglie dei ragazzi che aderiscono a Energicamente. Per i più preparati sul consumo sostenibile in premio prodotti smart living.

Relativamente ai temi dell’Alternanza scuola-lavoro il progetto è stato curato in collaborazione con Civicamente di Padenghe sul Garda e inserito nei protocolli nazionali. Si tratta di un’occasione importante per valorizzare le competenze e orientare gli studenti nelle scelte per il loro futuro. Il percorso si svolge sulla piattaforma di e-learning Youtilities e prevede la formazione di una classe virtuale che partecipa così ad attività interattive sull’efficientamento energetico, arricchite da documentazioni per lo studio individuale.

«Siamo orgogliosi di presentare la nuova edizione di Energicamente con la quale intendiamo contribuire in modo proattivo allo sviluppo di una cultura dell’energia sostenibile – ha dichiarato Francesco Macrì, presidente di Estra. – Il successo delle precedenti edizioni ci rende consapevoli delle enormi potenzialità di questo progetto e testimonia il nostro impegno diretto, a fianco di partner strategici, per la formazione dei giovani su tali temi e per la costruzione di un modello di cittadinanza imperniato sui valori dell’uso responsabile dell’energia e del rispetto dell’ambiente».

«La sostenibilità è l’orizzonte verso il quale le scuole stanno orientando la propria didattica per rinnovarla e dare risposte concrete alla spiccata sensibilità ambientale delle nuove generazioni. Energicamente – ha dichiarato Vanessa Pallucchi, vice presidente di Legambiente nazionale – lavora in tal senso su tutti i fronti: sui docenti, che vogliono acquisire stimoli e strumenti per aggiornarsi, e sugli studenti, che, grazie al progetto, operano sia nel virtuale che nel reale per una maggiore capacità di incidere concretamente nel cambiamento dei propri stili di vita in chiave sostenibile».

Per partecipare a Energicamente occorre iscriversi sulla piattaforma https://www.energicamenteonline.it/.


Invalsi e Maturità, colpo di spugna: i risultati resteranno segreti

da Corriere della sera

Gianna Fregonara e Orsola Riva

Chi ha paura dell’Invalsi? Ma a questo punto sarebbe più corretto dire: chi non ha paura dell’Invalsi? Con un emendamento a sorpresa al Milleproroghe, presentato e approvato in commissione alla Camera su proposta dei deputati di Leu, si è deciso di rinviare di un altro anno l’introduzione del cosiddetto «curriculum dello studente» previsto dalla riforma detta della Buona Scuola: un allegato al diploma di Maturità che contiene tutte le esperienze, competenze e conoscenze che lo studente ha accumulato negli anni di scuola, da presentare a università e datori di lavoro. Peccato che il prezioso documento che, non i maturandi di quest’anno ma (si spera) quelli dell’anno prossimo finalmente potranno vedere, sarà pressoché inutile. Infatti, su proposta di Nicola Fratoianni e altri, la maggioranza ha deciso di cancellare la parte più corposa e significativa del curriculum: la certificazione dei livelli raggiunti dagli studenti di quinta superiore nelle prove Invalsi di matematica italiano e inglese. Quelli, le famiglie italiane non potranno saperli né domani né mai (a differenza dei risultati nei test analoghi di terza media che invece sono a loro disposizione già da un paio d’anni). Si potranno però consolare ricapitolando «le competenze artistiche musicali o sportive maturate dai loro figli in orario scolastico o extrascolastico, le competenze professionali (si fa per dire) acquisite con l’alternanza scuola-lavoro, eventualmente anche le attività di volontariato svolte».

Da Bussetti a Fioramonti

E dire che le prove Invalsi, dopo anni di convivenza non sempre facile con le scuole punteggiati (soprattutto al Sud) da boicottaggi di studenti e prof al grido di «non siamo delle crocette», negli ultimi tempi sembravano ormai digerite quasi da tutti. Già l’anno scorso, nonostante l’ex ministro leghista Marco Bussetti avesse deciso di rinviarne di un anno l’obbligatorietà, il tasso di adesione degli studenti di quinta superiore era stato altissimo (96%). Tanto che anche il suo successore grillino, Lorenzo Fioramonti, antipatizzante dichiarato delle prove Invalsi, alla fine si era arreso e aveva accettato che proprio da quest’anno diventassero condizione indispensabile per essere ammessi alla Maturità. Ora saranno dunque obbligatorie ma «secretate». Resteranno, naturalmente, come dati di sistema a disposizione del ministero e delle scuole.

E Azzolina?

Il testo dell’emendamento è tassativo: il curriculum in quanto tale è rinviato di un anno – salvo che alcune scuole vogliano partire da subito «su base sperimentale e facoltativa» – ma comunque va da subito alleggerito del «secondo periodo del comma 2 dell’articolo 21 del decreto legislativo n. 62 del 13 aprile 2017». E cioè? Cioè proprio della specifica sezione in cui avrebbero dovuto essere indicati i livelli raggiunti dagli studenti nelle prove Invalsi di italiano e matematica e pure di inglese. Quest’ultimo con tanto di certificato di livello B2 (equivalente al cosiddetto Upper-intermediate), distribuita a tutti gratuitamente. D’ora in poi invece chi ha bisogno di una certificazione linguistica dovrà continuare a sostenere l’esame privatamente, pagando ben s’intende. La nuova ministra e preside Lucia Azzolina non ha niente da dire in merito?

Scuola, doppio sciopero in vista. I sindacati attaccano Azzolina: “Bullismo ministeriale”

da la Repubblica

Ilaria Venturi

Vanno giù pari, a testa bassa: “Sono in atto azioni di bullismo ministeriale, la ministra Azzolina fa la forte con i deboli”. La rottura era stata annunciata e pure lo sciopero. Ma oggi i sindacati della scuola tornano all’attacco sui nuovi concorsi – in particolare quello straordinario alle medie e superiori per 24mila posti, il cosiddetto “salva-precari” – i cui bandi dovrebbero uscire a breve. Il clima è invelenito. Il primo sciopero indetto dai sindacati di base (Adl Cobas, Cub-Sur, Sgb, Usi-Cit) accogliendo la richiesta dei coordinamenti dei precari autoconvocati è il 14 febbraio. Il secondo, proclamato da Flc-Cgil, Cisl, Uil, Snals Confsal e Gilda degli insegnanti, il 17 marzo (ma la data potrebbe variare).

Lo scontro è scoppiato con la rottura della trattativa in corso a fine gennaio su un punto centrale: le modalità del concorso straordinario. Uno snodo cruciale vista l’emergenza “supplentite” che quest’anno ha toccato livelli da record – 187.865 supplenze – e vista anche la raccomandazione dell’Unione europea – la seconda – a non reiterare contratti a termine nella scuola. La posizione della ministra pentastellata Lucia Azzolina è netta: “Servono prove selettive”. I sindacati difendono chi già lavora, l’esperienza: “Non arriva una massa di ignoranti a scuola, basta con approcci ideologici”.

Il bando per il concorso straordinario deve uscire a breve ed è aperto a precari con almeno tre annualità di servizio, anche non consecutive, svolte tra il 2008/09 e l’anno scolastico 2019/20 su posto comune o di sostegno. Almeno un anno deve essere svolto per la materia (classe di concorso) per la quale si concorre alla cattedra di ruolo. La prova scritta è unica, varrà per l’80% rispetto ai titoli e i docenti non saranno agevolati dalla pubblicazione dei quesiti prima per esercitarsi. Si tratta di 80 quesiti a risposta multipla a cui rispondere in 80 minuti di tempo. La prova valuta le competenze disciplinari relative alla classe di concorso (45 quesiti), le competenze didattico/metodologiche (30 quesiti) e la conoscenza dell’inglese (livello B2 -5 quesiti). La procedura per il ruolo verrà bandita per 24mila posti, solo per le classi di concorso e per le Regioni con posti vacanti. La procedura solo per abilitare i docenti non è invece stata avviata.

Le cinque sigle sindacali (Flc-Cgil, Cisl, Uil, Snals Confsal e Gilda) oggi in conferenza stampa hanno spiegato le ragioni della rottura. Con tutte le richieste che il Miur non ha concesso: l’avvio della della procedura abilitante per i docenti aventi titolo; un sistema permanente di abilitazione all’insegnamento, ma soprattutto la rimodulazione delle modalità del concorso straordinario. In altre parole, sì alla formazione permanente, no alla ‘batteria dei test’ che servono “solo a sfoltire la rosa dei candidati e non a certificare il merito”. Quello che i sindacati chiedono è “la valorizzazione del servizio prestato, da valutare con più peso rispetto al punteggio della prova e la validità del servizio sul sostegno, anche senza titolo, per partecipare al concorso su posto comune”. Inoltre viene chiesto che sia messa a disposizione la banca dati dei questiti.

I sindacati hanno quindi certificato la “profonda rottura delle relazioni sindacali” con la ministra dell’istruzione che “sbattendoci la porta in faccia” ha messo in atto “un vero e proprio bullismo ministeriale”. “Abbiamo fatto un appello alla ministra affinché dedicasse un’attenzione particolare a un settore che conosce bene, ma da parte sua non c’è alcuna volontà di governare con una politica partecipativa”, ha detto la segretaria della Cisl scuola, Maddalena Gissi. Ribadisce Francesco Sinopoli, segretario della Flc-Cgil: “La qualità di chi insegna in cattedra non si basa sulla batteria dei test ma solo sulla formazione. Quella di Azzolina è una propaganda che noi conosciamo bene e che negli anni non ha portato benefici a nessuno e noi siamo sorpresi che venga riproposta adesso. Ma tant’è. Il concorso serve a stabilizzare i precari. Questo sciopero avrà un grande valore politico e anticipa altre mobilitazioni. Non escludiamo infatti un’altra giornata di sciopero già in questa stagione”.

“La scuola e il presidente della Repubblica sono le due istituzioni che godono della fiducia del paese- ha aggiunto Pino Turi della Uil scuola- affermare quindi che chi lavora nella scuola non è all’altezza equivale ad offendere gli italiani. Così come lo si fa sostenendo di voler valutare chi lavora nel settore da 10 anni. Questa ministra fa la debole con i forti, vedi il ministro dell’economia, e la forte con i deboli, che sono i lavoratori”.E ancora, Elvira Serafini dello Snals, non accetta “che qualcuno possa sentirsi gratificato per aver rotto le relazioni sindacali. Questo è successo e non può essere. Al momento non c’è dialogo nè apertura”. Rino Di Meglio della Gilda parla “di una virulenza nei confronti dei sindacati” da parte della ministra, “mai vista prima”.

Oltre allo straordinario, altri due concorsi sono in arrivo: uno ordinario per medie e superiori, quindi il bando per l’infanzia e la primaria. E poi c’è il problema delle segreterie scolastiche prive di direttori: ad oggi sono oltre tremila i posti da direttore dei servizi generali ed amministrativi (Dsga) vacanti. Sono coperti da assistenti amministrativi facente funzione. Per loro si chiede di attivare una procedura straordinaria già prevista nell’intesa sottoscritta a palazzo Chigi dai sindacati per il riconoscimento al ruolo di Dsga.

Bullismo e cyberbullismo, responsabili anche docenti e dirigenti che non denunciano. Cosa fare

da Orizzontescuola

di Laura Biarella

Ripercussioni, a più livelli, per chi commette atti di bullismo. I minori di età sottovalutano che la loro responsabilità, a diversi livelli, per fatti illeciti, non inizia a 18 anni,

Responsabilità minori

L’età per cui si è considerati responsabili inizia molto prima:

  • secondo la legge italiana il minorenne che abbia compiuto i 14 anni di età, se reputato in grado di intendere e di volere, è responsabile per le condotte aventi rilevanza penale, come quelle che possono manifestarsi nell’ambito del bullismo e del cyberbullismo (ad esempio, il reato di violenza privata). L’effetto, oltre all’eventuale condanna penale, è anche la sanzione a cui il minore può essere sottoposto (ad esempio, la permanenza in casa);
  • anche chi ha un’età inferiore ai 14 anni, e commette fatti che integrano reato, soggiace alle misure di sicurezza, quali il collocamento in una casa di rieducazione o l’affidamento al servizio sociale minorile;
  • il minore che ha posto in essere atti di bullismo, cyberbullismo, oppure gli sia stata riscontrata qualche dipendenza da internet, può essere sottoposto a una terapia sanitaria, preordinata alla cura delle patologie legate dall’incapacità di gestire l’impiego della rete e degli strumenti tecnologici;
  • la Legge n. 71 prevede che, fin quando non venga presentata querela o denuncia dalla vittima, il questore possa convocare il responsabile della condotta illecita, purché abbia già compiuto a 14 anni, commessa nei confronti di altro minorenne, e ammonirlo oralmente, invitandolo a rispettare la legge. Il tutto, in presenza di un genitore o di chi ne faccia le veci, e gli effetti dell’ammonimento, in ogni caso, cessano con il compimento della maggiore età;
  • il curriculum scolastico può essere segnato dalla circostanza di essere stati ritenuti responsabili di atti di bullismo: per il Tar di Napoli (Sezione IV, sentenza 6508 dell’8 novembre 2018) è legittimo il 7 in condotta comminato all’alunna che aveva utilizzato parole offensive nella chat WhatsApp di classe, anche fuori dalle aule e degli orari della scuola, in quanto l’articolo 7 del Dpr 509/2009 statuisce che la valutazione del comportamento degli alunni si valuta anche dal “rispetto dei diritti altrui e dalle regole che governano la convivenza civile in generale e la vita scolastica in particolare”.

La responsabilità civile

A rispondere civilmente delle conseguenze degli atti posti in essere dagli studenti, sono due categorie di soggetti:

  • i genitori, per inosservanza degli obblighi elencati all’art. 147 c.c. L’art. 2048 c.c. pone una presunzione di responsabilità sui genitori, che può essere superata fornendo la prova di non aver potuto impedire l’evento. Il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta (decreto 11 settembre 2018), ha affermato che la condotta di bullismo può rendere necessario l’accertamento delle capacità educative e di controllo dei genitori, in quanto sugli stessi incombe l’obbligo di “vigilare sulla effettiva assimilazione dell’educazione impartita e dei valori trasmessi”;
  • la scuola per omessa vigilanza per ciò che accade allo studente nel corso dell’orario scolastico, qualora il fatto risultasse prevedibile, ed evitabile, secondo l’ordinaria diligenza. Va inoltre evidenziato che con l’entrata in vigore della legge n. 71, risulta necessario attivare specifici percorsi formativi sulla tematica del cyberbullismo. Le linee guida del Miur del 27 ottobre 2017 statuiscono che “Le misure di intervento immediato che i dirigenti scolastici sono chiamati a effettuare, qualora vengano a conoscenza di episodi di cyberbullismo, dovranno essere integrate e previste nei Regolamenti di Istituto e nei Patti di Corresponsabilità, al fine di meglio regolamentare l’insieme dei provvedimenti sia di natura disciplinare che di natura educativa e di prevenzione. Sarà cura del dirigente assicurare la massima informazione alle famiglie di tutte le attività e iniziative intraprese, anche attraverso una sezione dedicata sul sito web della scuola (…)”. Il comma I dell’art. 5 della legge n. 71 prevede che il dirigente scolastico, “salvo che il fatto costituisca reato, in applicazione della normativa vigente e delle disposizioni di cui al comma 2, (…) che venga a conoscenza di atti di cyberbullismo ne informa tempestivamente i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale ovvero i tutori dei minori coinvolti e attiva adeguate azioni di carattere educativo”. Le stesse linee guida recitano: “Ai docenti referenti, così come ai dirigenti scolastici, non sono quindi attribuite nuove responsabilità o ulteriori compiti, se non quelli di raccogliere e diffondere le buone pratiche educative, organizzative e azioni di monitoraggio, favorendo così l’elaborazione di un modello di policy d’istituto”. Quindi, parimenti alle ulteriori responsabilità che interessano la funzione, anche in questo caso il dirigente scolastico può rispondere per “culpa in organizzando”, e più specificamente per non aver predisposto le misure organizzative atte a garantire la sicurezza dell’ambiente scolastico e la disciplina tra gli alunni. Per farla valere, sulla vittima incombe l’onere di dimostrare:
  • il danno subito;
  • il nesso causale tra il danno e la condotta omissiva del dirigente;
  • la carenza o inidoneità delle misure organizzative adottate per assicurare la disciplina degli alunni.

Inoltre, l’istituto scolastico, se condannato, potrà in seguito rivalersi nei confronti dell’insegnante che, per discolparsi, dovrà dimostrare:

  • che il fatto si è verificato per caso fortuito,
  • che il fatto non era prevedibile,
  • di aver posto in essere tutto il possibile per evitarlo.

L’obbligo di denuncia

Come più volte rimarcato anche dalle pronunce dei giudici:

  • l’insegnante di una scuola pubblica o paritaria è un pubblico ufficiale anche fuori dall’orario scolastico,
  • il collaboratore scolastico è un incaricato di un pubblico servizio, sul quale incombono precisi obblighi di vigilanza.

La conseguenza è che tali soggettività hanno l’obbligo di denunciare, alle autorità competenti, i fatti di cui siano venuti a conoscenza e che costituiscono “reati” procedibili d’ufficio (violenza privata, rapina, furto aggravato, estorsione, e via di seguito). La mancata attivazione, da parte di questi soggetti, comporta la possibilità che nei loro confronti sia aperto un processo penale, che potrebbe sfociare nella condanna per il reato, rispettivamente, di:

  • “omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale”,
  • ovvero di “omessa denuncia di un incaricato di pubblico servizio”.

Quanto esposto, limitatamente ai dirigenti scolastici, trova conferma nel comma I dell’art. 5 della legge n. 71: “salvo che il fatto costituisca reato, in applicazione della normativa vigente e delle disposizioni di cui al comma 2, (…) che venga a conoscenza di atti di cyberbullismo ne informa tempestivamente i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale ovvero i tutori dei minori coinvolti e attiva adeguate azioni di carattere educativo”. Per cui, se l’atto di cyberbullismo integra un reato, il dirigente dovrà informare l’autorità giudiziaria.

Mobilità 2020: la percentuale per passare ad altra classe di concorso o grado di scuola sale al 20%

da Orizzontescuola

di Giovanna Onnis

La mobilità professionale comprende due movimenti diversi: il passaggio di cattedre e il passaggio di ruolo

Passaggio di cattedra

Con il passaggio di cattedra il docente chiede una o più classi di concorso nello stesso grado di istruzione di titolarità.

Per presentare domanda deve essere utilizzato lo specifico modulo destinato al passaggio di cattedra per il grado di istruzione richiesto, che sarà messo a disposizione nella piattaforma ministeriale IstanzeOnline nei termini che saranno previsti nell’Ordinanza ministeriale sulla mobilità 2020/21.

Nel caso in cui il docente richieda più classi di concorso dovrà presentare una domanda di passaggio per ogni classe di concorso richiesta e potrà indicare nelle domande l’ordine di priorità tra le diverse richieste.

Nei moduli utilizzati lo scorso anno, che presumibilmente rimarranno invariati, la sezione specifica era quella con l’intestazione “Classe di concorso richiesta”, dove, nel caso indicato, il docente doveva compilare la casella 21 per la scuola Secondaria I grado e la casella 23 per la scuola Secondaria II grado:

Nel caso il candidato abbia presentato più domande di passaggio, indicare l’ordine di trattamento (1°,2°,3°, etc.) della domanda rispetto alle altre”

È possibile presentare contemporaneamente domanda di passaggio di cattedra e di trasferimento e sarà il docente a decidere e indicare nella domanda di passaggio a quale dei due movimenti intende dare priorità. Potrà farlo rispondendo, nella specifica sezione indicata precedentemente, al quesito posto nella casella 20 per la scuola Secondaria I grado e nella casella 22 per la scuola Secondaria II grado:

Nel caso il candidato abbia presentato domanda di trasferimento, preferisce dare precedenza al trasferimento?”

Se il docente presenta contemporaneamente anche domanda di passaggio di ruolo, sarà questo movimento a prevalere rendendo inefficace il trasferimento o il passaggio di cattedra eventualmente già disposti.

Passaggio di ruolo

Con il passaggio di ruolo il docente chiede un altro ordine o grado di istruzione diverso da quello di titolarità.

Il passaggio di ruolo può essere chiesto per un solo ordine o grado di scuola (dell’Infanzia, Primaria, scuola Secondaria di I grado, scuola Secondaria di II grado), per la provincia e anche per più province.

Nell’ambito del singolo ruolo, il passaggio può essere richiesto per più classi di concorso appartenenti allo stesso grado di scuola.

Per presentare domanda deve essere utilizzato lo specifico modulo destinato al passaggio di ruolo per il

grado di istruzione richiesto, che sarà reso disponibile nella piattaforma ministeriale IstanzeOnline nei

termini stabiliti nell’Ordinanza ministeriale sulla mobilità 2020/21.

Nel caso in cui il docente chieda più classi di concorso (sempre per lo stesso grado di istruzione) dovrà presentare una domanda di passaggio per ogni classe di concorso richiesta.

Il passaggio di ruolo è il movimento che risulta avere prevalenza sugli altri (trasferimento o passaggio di cattedra), nel senso che se il docente presenta contemporaneamente domanda di trasferimento, passaggio di cattedra e passaggio di ruolo, il conseguimento del passaggio di ruolo rende inefficace la domanda di trasferimento e/o di passaggio di cattedra o il trasferimento o passaggio di cattedra eventualmente già disposti.

Passaggio di cattedra e passaggio di ruolo: quali requisiti

Per partecipare alla mobilità professionale e presentare, quindi, domanda di passaggio di cattedra e/o di passaggio di ruolo, i docenti devono possedere, al momento della presentazione della domanda, i seguenti requisiti:

  • devono aver superato l’anno di prova nel ruolo di appartenenza
  • devono essere in possesso della specifica abilitazione per il passaggio al ruolo richiesto e per le classi di concorso richieste

Ordine dei movimenti: quale prevale

Nella sequenza operativa dei movimenti, la mobilità territoriale precede quella professionale quindi i trasferimenti vengono disposti prima rispetto ai passaggi di cattedra e ai passaggio di ruolo.

Come vedremo nel dettaglio in un successivo articolo, le operazioni di mobilità territoriale e professionale si collocano nelle seguenti tre distinte fasi:

I fase: Trasferimenti all’interno del comune

II fase: Trasferimenti tra comuni della stessa provincia

III fase: mobilità territoriale interprovinciale e mobilità professionale

Nel rispetto delle fasi indicate e dell’ordine con il quale i diversi movimenti vengono disposti, il docente che presenta contemporaneamente più domande per movimenti diversi, partecipando sia alla mobilità territoriale che professionale, deve essere consapevole della priorità di un movimento rispetto ad un altro.

Come viene esplicitato nell’art.6 comma 3 del CCNI, “la mobilità professionale prevale su quella territoriale nei soli passaggi di ruolo. Nei passaggi di cattedra si segue l’ordine di priorità indicato dal docente. Nel caso di presentazione di domande di trasferimento, di passaggio di cattedra e di passaggio di ruolo, il conseguimento del passaggio di ruolo rende inefficace la domanda di trasferimento o di passaggio di cattedra o il trasferimento o passaggio di cattedra eventualmente già disposti. In caso di richiesta contestuale di trasferimento e passaggio di cattedra il docente deve precisare a quale dei due movimenti intende dare la preferenza; in caso di assenza di tale indicazione prevale il passaggio di cattedra. In caso di più passaggi di cattedra si segue l’ordine di priorità indicato dal docente, nel rispetto dell’ordine della graduatoria e delle precedenze

Mobilità professionale e anno di prova

L’anno di prova deve essere svolto dal docente che ottiene il passaggio di ruolo, mentre non è tenuto a

svolgerlo il docente soddisfatto nella richiesta di passaggio di cattedra.

Come stabilito nel DM n.850/2015, infatti, sono tenuti allo svolgimento dell’anno di prova e formazione tutti i docenti per i quali sia stato disposto il passaggio di ruolo.

Fanno eccezione coloro che rientrano in un ordine o grado di istruzione in cui hanno già svolto e superato l’anno di prova, in quanto questo si svolge solo una volta per ogni ordine di scuola.

La possibilità di non svolgere l’anno di prova per questa categoria di docenti è ribadita nella nota ministeriale n.39533 del 4 settembre 2019, dove, nel paragrafo 3, tra le categorie che non devono svolgere il periodo di prova vengono inseriti anche ”i docenti che hanno ottenuto il passaggio di ruolo e hanno già svolto il periodo di formazione e prova nel medesimo ordine e grado

Mobilità professionale: aliquote 2020/21

Per il prossimo anno scolastico 2020/21 l’aliquota destinata alla mobilità professionale è calcolata sul 50% delle disponibilità residue al termine dei trasferimenti provinciali.

Precisamente il 50% dei posti disponibili è destinato alle immissioni in ruolo e il restante 50% è suddiviso nel seguente modo:

  • 30% alla mobilità territoriale interprovinciale
  • 20% alla mobilità professionale

Per il prossimo anno il CCNI riporta la seguente tabella esplicativa con il numero di posti destinati ai diversi movimenti, in relazione alle disponibilità residue dopo i trasferimenti provinciali:

Mobilità professionale e vincolo triennale Si ricorda che la mobilità professionale è sempre mobilità volontaria in quanto non può essere disposto d’ufficio un passaggio di cattedra o un passaggio di ruolo. Passaggio di cattedra e passaggio di ruolo, quindi, sono sempre movimenti a domanda che possono determinare per il docente soddisfatto nella richiesta il vincolo di permanenza triennale nella scuola ottenuta. Il vincolo triennale si applica se il docente ottiene il passaggio in una scuola richiesta con preferenza analitica oppure con preferenza sintetica nel comune di titolarità. Il docente nel vincolo triennale non potrà partecipare alla mobilità nel successivo triennio. Non sarà, invece, interessato dal vincolo triennale il docente che ottiene il passaggio con preferenza sintetica su un comune diverso da quello di titolarità oppure con preferenza sintetica nella provincia.

Gli studenti li valutano i docenti, non i test Invalsi

da La Tecnica della Scuola

Il rimando di 12 mesi delle prove Invalsi dal curriculum degli studenti, attraverso un emendamento a prima firma di Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana-Leu, è un atto legislativo importante: non tanto per la sua incidenza pratica sull’Esame di Stato, che sostanzialmente non muta la sua struttura portante, quanto soprattutto perché sembra ridimensionare le ambizioni di chi pensava di legare i risultati dei test con le competenze degli studenti e dei loro docenti.

Fratoianni (Si-Leu): gli studenti non sono numeri

“Abbiamo ristabilito due principi fondamentali – ha tenuto a dire Nicola Fratoianni – che erano stati messi in discussione dal DL 62/2017: la valutazione delle conoscenze sono prerogativa del corpo docente e in particolare del consiglio di classe, in quanto frutto di un lavoro che tiene conto del profilo e della storia personale di ogni singolo studente; gli studenti non sono numeri”.

“C’è ancora molto lavoro da fare, ma intanto, oggi – ha concluso il parlamentare della commissione Cultura di Montecitorio – abbiamo compiuto un primo passo, a tutela degli studenti e del ruolo del corpo docente”.

Gli esiti dell’Invalsi, quindi, non faranno parte delle informazioni sulle competenze formali e non formali acquisite dagli studenti, le quali verranno adottate dall’anno prossimo, trovando spazio come allegato al diploma, alla fine dell’esame di maturità.

Ascani (Pd): sono solo un “termometro del sistema”

“Il motivo è chiaro – ha detto la viceministra dell’Istruzione dem Anna Ascani -: i test Invalsi non servono a valutare docenti e studenti. Sono uno strumento conoscitivo che fornisce una fotografia dello stato di salute del nostro sistema di istruzione ed è per questo motivo che sono fondamentali per il miglioramento e restano requisito di ammissione all’Esame di Stato”.

“Proprio per questo – ha continuato – abbiamo deciso di utilizzare le rilevazioni dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione come base per intervenire sui divari territoriali presenti nel nostro Paese”.

I test, ha sottolineato Ascani, rappresentano invece “un importante termometro del sistema e aiutano a orientare le azioni in maniera strategica”.

“La decisione di tenerli fuori dal curriculum dello studente, la cui introduzione è stata rimandata per effetto di un emendamento al Milleproroghe, testimonia quindi la natura di queste prove che non sono né inquisitorie, né punitive”, ha concluso la vice ministra.

I test rimangono comunque obbligatori

Per oltre due milioni e mezzo di studenti, rimane l’obbligo di sottoporsi ai test: dal 2 al 31 marzo, toccherà agli studenti del quinto anno delle superiori: dal 1° al 30 aprile, agli alunni di terza media; a maggio sarà la volta delle due classi della primaria (seconda e quinta) e alla seconda superiore.

“Purtroppo resta l’obbligatorietà a svolgere la prova, ma essa non avrà alcun impatto sulla valutazione degli studenti né per il presente, né tanto meno per il futuro”, ha detto ancora Fratoianni.

Rimangono dei dubbi…

Nell’attuale maggioranza sembrano così tutti d’accordo: i test servono solo a fotografare e migliorare strategicamente il sistema scolastico generale, andando a potenziare ad esempio le aree dove si registrano maggiori abbandoni dei banchi o valutazioni negative.

La domanda è d’obbligo: la maggioranza parlamentare crede compattamente che non abbiano alcun scopo di valutazione? Se sì, allora perché non si produce una norma che scolleghi una volta per tutte i risultati delle prove Invalsi (la certificazione dei test sulle competenze acquisite) dall’Esame di Stato? Perchè non si affrancano in modo inequivocabile gli esiti dei test dalla valutazione dei docenti, come rimarca da anni la presidente Invalsi Anna Maria Ajello?

Milleproroghe, risultati delle prove Invalsi fuori dal curriculum dello studente

da La Tecnica della Scuola

I risultati delle prove INVALSI fuori dal curriculum dello studente. Sono uno strumento di lavoro conoscitivo, non servono a valutare docenti e studenti”.

A dichiararlo è Anna Ascani, Vice Ministra dell’Istruzione, che così annuncia l’approvazione di un emendamento relativo al cd. Decreto Milleproroghe.

Abbiamo fortemente voluto – si legge in un comunicato stampa del 12 febbraio – che i risultati delle prove INVALSI rimanessero fuori dal curriculum dello studente, che contiene le informazioni sulle competenze formali e non formali acquisite dagli studenti, che sarà introdotto dall’anno prossimo e che verrà allegato al diploma. Il motivo è chiaro: i test INVALSI non servono a valutare docenti e studenti. Sono uno strumento conoscitivo che fornisce una fotografia dello stato di salute del nostro sistema di istruzione ed è per questo motivo che sono fondamentali per il miglioramento e restano requisito di ammissione all’Esame di Stato”.

Proprio per questo motivo – continua Ascani – abbiamo deciso di utilizzare le rilevazioni dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione come base per intervenire sui divari territoriali presenti nel nostro Paese. Rappresentano un importante termometro del sistema e aiutano a orientare le azioni in maniera strategica. La decisione di tenerli fuori dal curriculum dello studente, la cui introduzione è stata rimandata per effetto di un emendamento al Milleproroghe, testimonia quindi la natura di queste prove che non sono né inquisitorie, né punitive”, conclude la Vice Ministra.

In proposito, ecco anche le dichiarazioni di Nicola Fratoianni (Leu): Oggi è stato approvato un mio emendamento che toglie definitivamente dal curriculum degli studenti la certificazione delle prove Invalsi. Purtroppo resta l’obbligatorietà a svolgere la prova, ma essa non avrà alcun impatto sulla valutazione degli studenti né per il presente, né tanto meno per il futuro.“

Abbiamo ristabilito due principi fondamentali – prosegue l’esponente di Leu in commissione cultura di Montecitorio – che erano stati messi in discussione dal DL 62/2017:

  • la valutazione delle conoscenze sono prerogativa del corpo docente e in particolare del consiglio di classe, in quanto frutto di un lavoro che tiene conto del profilo e della storia personale di ogni singolo studente
  • gli studenti non sono numeri.”

C’è ancora molto lavoro da fare, ma intanto, oggi – conclude Fratoianni – abbiamo  compiuto un primo passo, a tutela degli studenti e del ruolo del corpo docente.”

I dirigenti amministrativi con incarico passeranno nei ruoli dei dirigenti tecnici a spese delle scuole

da Tuttoscuola

Verranno tolti 2 milioni al Fondo del funzionamento delle scuole per finanziare un ope legis per passare nei ruoli dei dirigenti tecnici diversi docenti, dirigenti scolastici e personale esterno che ricoprono attualmente un incarico di dirigente amministrativo.

Nel decreto legge di spacchettamento dei ministeri che il Senato sta approvando per la sua conversione in legge è inserito, infatti, l’emendamento 4.1 presentato da due senatori di Forza Italia che prevede “la dotazione finanziaria del Fondo di cui all’articolo 1, comma 202, della legge 13 luglio 2015, n. 107, è ridotta di 2.141.755,7 euro a decorrere dal 2020».

Per giustificare questa operazione a spese delle scuole, l’emendamento precisa testualmente: “Al fine di assolvere all’interesse pubblico di assicurare il buon andamento del sistema nazionale di istruzione e formazione, considerato che le dotazioni organiche del personale dirigenziale di seconda fascia già facente parte del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca risultano scoperte per oltre il 50 per cento e che la peculiarità delle funzioni dirigenziali da ricoprire rende necessario ricorrere in via prioritaria ad esperienze professionali già consolidate, maturate all’interno dell’amministrazione, il Ministero dell’istruzione e il Ministero dell’università e della ricerca sono autorizzati ad effettuare nell’anno 2020 un piano straordinario di reclutamento” ecc. ecc.

La dichiarazione, formalmente ammantata di buone intenzioni e di prioritaria finalità per il funzionamento della scuola, nasconde evidentemente interessi ben diversi.

Infatti, meno di due mesi fa il Parlamento con il decreto legge 126/19 convertito dalla legge 159/19 ha già previsto di fronteggiare quel fabbisogno, prevedendo l’indizione di un concorso per titoli ed esami per reclutare 146 nuovi dirigenti tecnici entro il prossimo triennio.

La maggior parte del personale destinatario dell’emendamento ha svolto prevalentemente presso l’Amministrazione centrale e periferica funzioni dirigenziali amministrative, che poco hanno a che fare con la funzione di dirigente tecnico. I Senatori evidentemente ritengono che le funzioni amministrative e tecniche sono equivalenti o, peggio, che non è necessaria una specifica competenza per esercitare la funzione di dirigente tecnico.

Per questi privilegiati non sarà nemmeno richiesto un vero e proprio esame.

Il concorso vero per reclutare i 146 dirigenti tecnici viene svuotato.

Giornata calzini spaiati: un’attività per educare alla diversità

da Tuttoscuola

Di Carla Sacchi

Avendo vissuto tutta la mia esperienza lavorativa nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, mi sono sempre chiesta come si affrontano le problematiche importanti e i temi delicati con i bambini tra i 3 e i 5 anni. Lavorando in un Istituto Comprensivo, vengo a conoscenza delle attività svolte dai colleghi dell’infanzia e le ascolto o osservo con lo stupore di quando si assiste a delle piccole magie. Da un’idea nata in una scuola friulana, la primaria di Terzo, è giunta alla settima edizione La giornata dei calzini spaiati, celebrata, quest’anno, lo scorso 7 febbraio, con l’intento di sensibilizzare alla tematica della diversità.

In punta di piedi, con calzini rigorosamente spaiati, entriamo presso la sede della Scuola dell’Infanzia San Giuseppe di Castel Goffredo. Questo non è un luogo dove si dialoga sui massimi sistemi, non ci sono adulti che fanno la voce grossa per imporre il loro pensiero e non esiste la demagogia: qui c’è vita in erba, ancora più importante, si formano gli uomini e le donne di domani.

È una normalissima giornata di attività, ma le docenti delle sezioni A, D, F e G sono arrivate a scuola con i calzini spaiati. Durante il consueto rito del cerchio i bambini notano questo particolare, le prime spontanee e comprensibili reazioni sono le risate e gli scherzi in merito. Successivamente, pongono domande per capire cosa stia succedendo e affermano che i propri calzini sono appaiati. Le docenti, allora, leggono una storia:

“C’era una volta un vento allegro che amava scombussolare le cose. In particolare gli piacevano moltissimo gli stendini sui balconi. In verità aveva una passione sfrenata per gli stendini con appesi i calzini colorati. Calzini rossi, gialli, verdi, a pois, a rombi, con gli orsetti con le rane, con le stelle, con un buco… Quando vedeva tutti quei calzini impazziva dalla gioia e con un turbinìo li faceva svolazzare di qua e di là. Gli piaceva spaiare i calzini e avvicinare poi le righe alle stelle, le rane ai maialini, i pois alle spirali creando una sorta di allegro arcobaleno. Quando ciò succedeva i calzini inizialmente guardavano i nuovi compagni con un po’ di timore, con diffidenza…quando mai un pois poteva fare amicizia con una stella, o quando una striscia poteva legare con un gregge di pecorelle? I primi sguardi erano sempre di sospetto, ma presto anche i calzini si accorgevano di quanta allegria creava la loro differenza e di quanto fosse bello avere come amico qualcuno di così diverso da se stessi.  Il vento li osservava da lontano e, senza che nessuno potesse vederlo, sorrideva”.

Al termine della lettura della storia, i bambini esprimono il desiderio di spaiare i propri calzini. È chiaro ora, per loro, che il colore o il disegno sul calzino non ne cambiano la sostanza e hanno compreso che serve adottare uno sguardo attento per apprezzare la diversità.

Sarebbe riduttivo intendere il concetto di ‘diversità ‘ come legato esclusivamente all’elevato numero di bambini stranieri presenti in questa scuola (36% circa). La diversità è in tutti noi, per caratteristiche e talenti, che ci distinguono e ci rendono irripetibili. Sensibilizzare i bambini a questa tematica, aiuterà  ad educarli alla convivenza nonostante le diversità che, anzi, arricchiscono e vanno valorizzate.

I bambini hanno capito perfettamente il senso di questa giornata ed è chiaro quando Marta, 5 anni, esclama: ”Anche se un calzino ha le stelle o i pois o le righe, tutti possono essere amici!”. E il nostro augurio per loro è che vivano una vita felice e in amicizia tra calzini spaiati.

Trasporti difficili e scuole lontane. L’indagine di Openpolis

da Tuttoscuola

In Italia, per l’articolazione territoriale del paese, e spesso anche per la carenza di infrastrutture e servizi, l’accesso al trasporto pubblico non è semplice per tutti i cittadini. Il tempo che serve per raggiungere i servizi di trasporto, come la stazione ferroviaria più vicina, rende molto difficoltosi i collegamenti in alcune aree. La difficoltà di accedere al trasporto pubblico ha delle conseguenze specifiche per bambini e ragazzi. In particolare per quanto riguarda l’offerta scolastica, che risulta penalizzata proprio nei comuni poco collegati e lontani dai servizi: i comuni interni. È quanto emerge da un’indagine di Openpolis.

Data la difficoltà dei collegamenti, nelle aree interne le scuole risultano spesso sottodimensionate e la mobilità del personale docente è più elevata. Con effetti negativi sulla qualità della didattica e sugli apprendimenti degli studenti. Le prestazioni degli studenti delle aree interne sottoposti ai test Invalsi, sia in italiano che in matematica, sono inferiori alla media nazionale praticamente a tutti i livelli scolastici.

Un esito negativo anche in termini sociali, perché comporta il progressivo impoverimento, anche in termini di capitale umano, di questi territori. Per questa ragione è importante capire quali aree del paese abbiano maggiore difficoltà nell’accesso ai trasporti pubblici.

I territori meno collegati dal trasporto ferroviario

Secondo l’indagine di Openpolis, in Italia, in media, il 10% della popolazione che abita più distante dalle stazioni deve percorrere almeno 12,24 chilometri per raggiungere quella più vicina. Ma questo dato cambia molto sul territorio, osservando i dati provincia per provincia.

In alcuni territori la stazione ferroviaria si trova a meno di 5 chilometri di distanza, anche per la fascia di popolazione che abita più lontano. È il caso delle province di Lecco (3,64 chilometri), Genova (3,94), Lucca (4,75), Massa-Carrara (4,76) e La Spezia (4,84).

In altre realtà invece l’accesso al trasporto ferroviario risulta molto più proibitivoNella ex provincia sarda dell’Ogliastra la distanza dalle stazioni sale a 51,2 chilometri. E servono come minimo oltre 30 chilometri anche nel nuorese (33,06), a Pesaro-Urbino (31,86), ad Agrigento (31,45) e Potenza (30,30).

Oltre alle province della Sardegna e del mezzogiorno, spiccano anche alcuni territori del centro-nord: la già citata Pesaro-Urbino, Sondrio (29,6 chilometri) e Arezzo (25,68). Ma cosa sappiamo sui collegamenti delle scuole in queste province?

La raggiungibilità della scuola nei territori meno collegati

Per ricostruirlo, possiamo analizzare dai dataset del Miur quanti edifici scolastici siano collegati attraverso i mezzi pubblici. Tenendo conto che in questi dati, a seguito della soppressione di alcune province sarde, Ogliastra e Nuoro costituiscono un’unica aggregazione (Nuoro), mentre Olbia-Tempio è parte della provincia di Sassari.

La quota di scuole raggiungibili con il treno, come prevedibile visti i dati precedenti, in alcuni di questi territori è molto ristretta. A Pesaro-Urbino e Foggia gli edifici scolastici entro 500 metri da una stazione ferroviaria sono meno del 3%, contro una media nazionale dell’8,68%.

Il dato mostra la percentuale di edifici scolastici distanti meno di 500 metri da una stazione ferroviaria. Le province considerate sono quelle dove è più elevata la distanza minima (in chilometri) che il 10% della popolazione più lontano dalle stazioni ferroviarie deve fare per raggiungere la stazione più vicina. Quest’ultimo dato è stato elaborato dall’European data journalism network.

Superano ampiamente la media nazionale due realtà del centro-nord: Sondrio (21,63% degli edifici scolastici raggiungibili in treno) e Arezzo (15,57%). Anche Campobasso e Potenza si trovano al di sopra di questa soglia.

Ma questo dato da solo è poco utile a ricostruire la reale accessibilità delle scuole in questi territori. Perché, anche quando gli edifici scolastici sono vicini alla stazione ferroviaria, rimane il problema per i ragazzi che abitano a decine di chilometri di distanza da una stazione.

Quindi, per chi non può utilizzare il trasporto ferroviario, resta l’alternativa del trasporto pubblico interurbano. In Italia in media circa il 42% delle scuole è raggiungibile con questa modalità (ovvero si trova a meno di 500 metri da una fermata). Questo dato varia molto tra le province prese in esame.

In 3 territori più della metà delle scuole è raggiungibile con i mezzi interurbani. Oltre a Potenza (58,29%), si tratta delle province del centro-nord già segnalate per la raggiungibilità con il treno: Sondrio (52,88%), Arezzo (51,9%). Tra quelle considerate, le province con meno scuole raggiungibili con il trasporto interurbano sono Agrigento (21,86%) e Foggia (28,05%). Due territori che spiccavano anche tra i meno raggiungibili con il treno.

Nota Provincia Bolzano 13 febbraio 2020

AUTONOME PROVINZ BOZEN – SÜDTIROL
PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO – ALTO ADIGE

Ai Direttori degli Uffici Scolastici Regionali
LORO SEDI
Per conoscenza Al Ministero dell’Istruzione
Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e
formazione
Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la
valutazione del sistema nazionale di istruzione – Ufficio III
Viale Trastevere n. 76/A
00153 ROMA

Oggetto: Esami di Stato nelle scuole secondarie di 2° grado a.s. 2019/2020 – richiesta segnalazione nominativi docenti interessati alla nomina come commissari esterni nelle commissioni degli esami di Stato in lingua italiana della provincia di Bolzano.

Nota 13 febbraio 2020, AOODGOSV 2414

Ai Direttori degli Uffici scolastici regionali LOROSEDI
e, p.c.: Al Capo di Gabinetto SEDE
Al Capo del Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione SEDE
AI Capo Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali SEDE
Ai Dirigenti scolastici delle Istituzioni scolastiche di istruzione secondaria di II grado, statali e paritarie LORO SEDI
Al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Direzione Generale per la Promozione del sistema Paese Ufficio V
Piazzale della Farnesina, 1 00194 ROMA

OGGETTO: Assegnazione risorse finanziarie da destinare alle scuole secondarie di secondo grado, statali e paritarie, per gli studenti che hanno conseguito il diploma nell’anno scolastico 2018/2019 con la votazione di 100 e lode.