Percorsi normativi per una scuola inclusiva di qualità
(Relazione per il Seminario organizzato
dalla FNISM – sezione di Manduria, tenutosi a Sava- TA il 13 febbraio 2020)
I
1. I principi fondamentali del diritto universale all’educazione e
all’istruzione sono contenuti nella Costituzione italiana, poi replicati e
dettagliati nelle varie Carte internazionali.
Seguendo
l’ordine del testo, l’articolo 3 proclama, nel primo comma, l’uguaglianza di
tutti i soggetti coinvolti nei processi di istruzione, educazione, formazione;
e, più ancora, nel secondo comma impegna la scuola, quale istituzione della
Repubblica e per quanto di competenza, a rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana, già dall’articolo
2 riconosciuta e garantita nei propri diritti inviolabili, sia come singola che
nelle formazioni sociali (e la scuola è – dopo la famiglia ed accanto alla
famiglia – luogo di formazione sociale) in cui si svolge la sua personalità. Persona
umana che, così formata, è, per contro, investita di doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale: doveri ripresi e rinforzati nel
secondo comma dall’articolo 4.
L’intera
Repubblica, nella sua massima estensione, è chiamata poi, nell’articolo 9, a
promuovere lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
L’articolo 30, primo comma, dichiara il dovere e il diritto dei
genitori di mantenere, istruire ed
educare i figli. E non v’è dubbio che tale diritto-dovere legittima la
famiglia, tutt’altro che corpo estraneo, come qualificato soggetto
istituzionale nella scuola pubblica e lo rende contitolare e corresponsabile,
nei limiti e nei modi previsti dall’ordinamento, del progetto educativo che in
detta scuola viene elaborato, attuato e verificato; sino al diritto di scelta
di una scuola, anche marcatamente di tendenza – sia paritaria che privata – i
cui indirizzi e i cui metodi siano ritenuti confacenti ai valori e ai principi
di vita ai quali sempre la famiglia impronta la propria condotta.
Per quanto concerne lo specifico diritto all’istruzione – di una scuola
aperta a tutti (art. 34), anche se
inabili, minorati o aventi bisogni educativi speciali (art. 38) – esso è
fondato sulla libertà d’insegnamento, nel senso che la stessa non può subire
immotivate restrizioni o imposizioni ideologiche, ma – per dottrina e
giurisprudenza consolidate – dovendosi il predetto insegnamento concretizzare in esposizione ordinata e
progressiva di nozioni, sostenute da adeguate motivazioni e/o da sufficienti
argomentazioni, per adempiere al meglio la sua funzione di
educare-formare-istruire.
Perciò, quando erogato in strutture pubbliche come le
scuole, deve vincolarsi a regole legittimamente poste, quali sono le norme generali sull’istruzione
(ordinamenti, indicazioni nazionali, linee guida), e in misura sempre più
stringente quando siano rilasciati titoli di studio aventi valore legale:
vincolo che vale sia per le scuole statali, laiche
per definizione, che per le scuole di
tendenza, quali possono essere le scuole paritarie, previste nella
Costituzione e istituite dalla legge 62/2000.
2.
Il primo intervento strutturale del legislatore ordinario, a quindici
dall’entrata in vigore della Costituzione, si ha con l’istituzione della scuola
media unica, di cui alla legge 1859/62
e contestuali nuovi programmi di studio, per l’istruzione obbligatoria successiva a quella elementare, impartita
gratuitamente, che ha la durata di tre anni ed è scuola secondaria di 1° grado.
Segue l’istituzione della scuola materna statale con legge 444/68.
3.
Preparata dalla legge 820/71 della
scuola a tempo pieno, si apre la stagione dei decreti delegati del 1974
e successiva legge 517/77. E dal modello ministeriale,
centralistico-burocratico-omologante, si passa all’integrazione
vertico-orizzontale del sistema scolastico, per la partecipazione nella
gestione della scuola.
4.
Nello stesso anno è riordinata la scuola media e dotata dei nuovi programmi del 1979,
contestualizzati dalla programmazione educativa-didattica e mirata
all’individualizzazione dei percorsi formativi, anche per gli alunni diversi (handicappati e svantaggiati),
sulla scia della legge 517/77.
A seguire è la scuola elementare dell’alfabetizzazione culturale, dei nuovi
linguaggi e dei nuovi saperi, non più del maestro unico (Nuovi programmi del 1985 e legge 148/90 sui moduli organizzativi)
E’ poi la volta dei Nuovi Orientamenti del 1991, della scuola materna che si allontana
dalla sua tradizionale dimensione familistica e assistenziale ed inizia a
connotarsi come scuola dell’infanzia.
Nessun intervento organico si registra invece ne
settore della secondaria superiore, sottoposta per contro a modifiche
disordinate tramite le sperimentazioni di ordinamenti e strutture, unitamente
alle sperimentazioni metodologiche-didattiche, ex d.p.r. 419/74.
Il periodo si chiude idealmente con lariforma incompiuta dei cicli
scolastici (riforma Berlinguer, ex legge
30/2000), a cavallo tra il tradizionale assetto centralistico e il nuovo
assetto autonomistico: scuola di base e allungamento dell’obbligo scolastico,
obbligo formativo, flessibilità e differenziazioni dei percorsi, saperi
essenziali e opzionalità, ingresso delle competenze, prefigurazione di un
sistema formativo integrato anche a livello di istruzione superiore (IFTS, exart. 69, legge 144/99).
5. L’odierno scenario è il frutto di una combinazione di intrecci,
riveniente dall’integrazione delle riforme Moratti e Gelmini, intervallate dal cacciavite di Fioroni e collocate nel
nuovo assetto autonomistico del sistema scolastico e formativo (legge 59/97 e
legge costituzionale 3/01, nel segno della sussidiarietà, differenziazione,
adeguatezza), laddove al secolare modello del government subentra il modello della governance, che ridisegna i poteri dei diversi soggetti
istituzionali secondo uno schema che attribuisce:
– allo Stato le norme generali e livelli essenziali delle prestazioni, a
presidio dei livelli unitari del servizio su tutto il territorio nazionale
(obiettivi formativi, indicatori, standard);
–
alle regioni ed EE.LL. la programmazione e organizzazione del servizio sui
territori, più il supporto alle istituzioni scolastiche e formative;
– alle singole istituzioni scolastiche e
formative, dotate di personalità giuridica e di autonomia funzionale, la
progettazione-erogazione-rendicontazione del servizio (tecnico-professionale)
di istruzione-educazione-formazione,”mirato
allo sviluppo della persona umana, adeguato ai diversi contesti, alla domanda
delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al
fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e
gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare
l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento” (art. 1,
D.P.R. 275/99, Regolamento dell’autonomia, ripreso dall’art. 1 della legge
107/15).
5.1 LaRiforma Moratti è
avviata dalla legge delega 53/03 e
resa puntuale nei decreti legislativi n.
59/04 (riordino della scuola dell’infanzia e del primo ciclo
dell’istruzione); n. 286/04
(riordino dell’Invalsi); n. 77/05
(alternanza scuola/lavoro); n. 76/05
(diritto/dovere di istruzione e formazione); n. 226/05 (riordino del secondo ciclo d’istruzione); n. 227/05 (formazione in ingresso degli
insegnanti).
In
sintesi, l’intelaiatura del sistema scolastico è costituita da:
–
monte ore annuali dei curricoli, in luogo dei rigidi orari settimanali;
– indicazioni
nazionali in luogo dei programmi di
studio;
–
apprendimento personalizzato;
–
valorizzazione della progettualità delle istituzioni scolastiche;
–
sistema formativo integrato, certificazione delle competenze, capitalizzazione
dei crediti;
–
facilitazione/flessibilità dei percorsi nell’ambito del generale sistema
dell’istruzione e dell’istruzione e formazione professionale.
5.2 Su quest’assetto è poi
intervenuto il ministro Fioroni smontando e rimontando pezzi del suo
predecessore. Anche qui in rapida sintesi, le più significative novità
registrano:
–
l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni (legge 296/06);
–
le indicazioni nazionali sulle competenze e i saperi che tutti i giovani devono
possedere a 16 anni, declinate sui quattro assi dei linguaggi, matematico,
scientifico- tecnologico, storico-sociale (D.M.
139/07);
– le indicazioni nazionali sperimentali per la scuola dell’infanzia
e del primo ciclo d’istruzione ex D.M.
31-7-07, liberamente sostitutive
di quelle allegate al morattiano D. Lgs 59/04;
– il ripristino degli istituti tecnici e ripristino-ristatalizzazione
degli istituti professionali
quinquennali;
– la maggiore severità negli esami di Stato
dell’istruzione secondaria superiore (legge
1/07) e nel recupero dei debiti
scolastici (O.M. 92/07).
5.3 Allaministra Gelmini è
intestata la razionalizzazione del
sistema scolastico, avviata con l’articolo
64 della legge 133/08 e regolamenti
di attuazione, seguita dalla legge
169/08 in materia di valutazione del rendimento scolastico, dei processi e
del comportamento, con in più l’introduzione
dell’insegnamento (non materia)
di Cittadinanza e Costituzione.
Nel’ordine,
questi gli essenziali riferimenti normativi:
– D.P.R. 122/09, di coordinamento delle
norme vigenti per la valutazione degli alunni;
– D.P.R. 81/09, di riorganizzazione della
rete scolastica e razionale utilizzo delle risorse umane per tutti gli ordini e
gradi d’istruzione;
– D.P.R. 89/09, di revisione dell’assetto
ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del primo
ciclo d’istruzione;
– D.P.R.
87/10, di riordino degli istituti professionali (il cui assetto è
stato rivisto in profondità dal D. Lgs.
61/17, attuativo di una delle otto deleghe previste dalla legge 107/15;
– D.P.R. 88/10, di riordino degli
istituti tecnici;
– D.P.R. 89/10, di revisione dell’assetto
ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei.
Tutti
questi interventi normativi vogliono essere preordinati alla costruzione del curricolo per competenze da parte delle
singole istituzioni scolastiche nel doveroso esercizio della loro autonomia
funzionale.
Con
una definizione sintetica, la competenza è intesa come attitudine a usare
consapevolmente un sapere (un insieme
di conoscenze acquisite sia nell’ambito formale che in quelli non formali e
informali) e un saper fare (abilità
in termini del loro utilizzo) al di fuori del luogo e dello scopo immediato in
cui/per cui sono stati acquisiti. Essa perciò va oltre la dimensione
prettamente cognitiva, coinvolgendo gli aspetti affettivi (come la
disponibilità ad impegnarsi), motivazionali (la spinta ad agire per ottenere un
risultato soddisfacente o qualificante), sociali (apertura al confronto, al
rispetto dei diversi punti di vista, alla collaborazione). Ed in questo
significato plurale è considerata nella Raccomandazione del Parlamento europeo
e del Consiglio del 18 dicembre 2006, declinante le otto competenze-chiave, ora
sostituita dalla nuova versione del 22 maggio 2018.
Nelle
Indicazioni nazionali sia la scuola dell’Infanzia (nei cinque campi di
esperienza) che la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado (nelle
loro dieci discipline) riportano i rispettivi traguardi di sviluppo delle
competenze; così considerate come un qualcosa di non cristallizzato ma di
dinamico, che evolve gradualmente e pertanto richiede un impegno lungo un arco
temporale di un intero grado scolastico per il raggiungimento di un dato
livello.
La
certificazione delle competenze avviene su modelli unici nazionali, e lo stesso
è per la certificazione al completamento dell’obbligo scolastico al sedicesimo
anno di età; mentre non vi è ancora un modello standard per il triennio
conclusivo della scuola secondaria superiore.
6. In coerenza con lo scopo oggi compendiato in apertura del Regolamento dell’autonomia (ante, par. 5), si declina la
legislazione ordinaria per la concretizzazione dell’uguaglianza sostanziale, di cui è parola nell’articolo 3 della
Costituzione, da garantire a tutti,
inclusi i soggetti diversi, che si
discostino dai canoni della – presunta – normalità:
rientranti nella generale categoria di bisogni educativi speciali (BES)
6.1. Pietra miliare è la, sintetica e al contempo organica, legge 517/77;
che ha sancito il pieno riconoscimento agli alunni con handicap psico-fisico
del diritto all’integrazione scolastica nelle allora scuola elementare e nella
scuola media, superando il riduttivo approccio medico della legge 118/71,
peraltro limitata a facilitare la
frequenza degli invalidi civili e dei mutilati.
La
legge 517 è stata estesa prima alla scuola materna con la legge 270/82 e poi,
con la sentenza della Corte costituzionale 215/87, ai successivi gradi di
istruzione, fungendo da prodromo della legge-quadro 104/92 per l’assistenza,
l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate: termine
sostituito con disabilità, in
attuazione della Convenzione ONU del 16 dicembre 2006; che, in luogo di enfatizzare ciò che manca,
dà rilievo alle potenzialità e al valore di una persona semplicemente diversa, nei cui confronti vanno
pertanto approntate modalità e strumenti di intervento affinché questa diversità
non si trasformi in disuguaglianza e infine innescando un processo di
emarginazione, prima scolastica e poi sociale.
La
disciplina dell’inclusione dei soggetti con disabilità è stata di recente
rivista dal D. Lgs. 66/17, attuativo di una delle deleghe contenute nella legge
107/15; che in parte modifica l’impianto della menzionata legge-quadro 104, con
decorrenza dal primo gennaio 2019.
L’obiettivo
delle apportate modifiche è duplice: il superamento della parcellizzazione dei
singoli interventi – sanitari, assistenziali, scolastici – tramite
l’integrazione programmata dei servizi di sostegno al disabile; l’allargamento
di una prospettiva che vada oltre il periodo scolastico ed apra l’orizzonte di
un condiviso futuro possibile dopo la conclusione del percorso formativo
istituzionale.
6.1. La seconda categoria riguarda i soggetti che presentano deficit di
funzionamento in determinate aree: come i disturbi nella percezione o nella
produzione di messaggi o in altre prestazioni.
La legge 170/10 ha classificato tali disturbi
come disturbi specifici di apprendimento (DSA) e contestualmente istituito
percorsi di formazione dei docenti al fine di sostenere il diritto allo studio
dei soggetti dislessici, disgrafici o affetti da discalculia: situazioni che ben
possono essere compresenti (comorbilità).
Le
successive Linee guida, emanate con D.M. 12 luglio 2011, forniscono ai docenti
le indicazioni per individuarli e per predisporre adeguati percorsi di recupero
e potenziamento; e se essi persistono impongono loro di dare formale
comunicazione alla famiglia e suggerirle di ricorrere ad uno specialista ovvero
ai servizi di neuropsichiatria infantile.
Questi
valutano la situazione e, nel caso, certificano la presenza di uno o più DSA,
anche combinati fra loro, consegnando alla famiglia la relativa diagnosi con le
prescrizioni ritenute opportune.
La
predetta certificazione, se rimessa alla scuola, consente l’adozione degli
strumenti compensativi e delle misure dispensative previste dalla legge.
Sulla
sua base e in accordo con la famiglia è quindi redatto il Piano didattico
personalizzato (PDP) entro il primo trimestre dell’anno scolastico, in cui
risultano le attività didattiche personalizzate contestualmente alle modalità
di utilizzo di strumenti compensativi e delle misure dispensative.
Gli
strumenti compensativi sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta,
anche assicurandosi tempi più distesi per realizzarla (sintesi vocale,
registratore, programmi di videoscrittura con correttore ortografico, oltreché
le tradizionali tabelle, mappe concettuali ed altro).
Le
misure dispensative consistono nell’esentare il soggetto da alcune prestazioni
non essenziali all’apprendimento (ad es., accorciando e/o esemplificando un
lungo brano).
Va
ad ogni modo sottolineato che l’obiettivo della legge non è quello di creare
percorsi immotivatamente facilitati, al di sotto dei livelli essenziali delle
prestazioni o degli standard nazionali, e tali da vanificare il diritto al
successo formativo.
Nello
specifico, per il primo ciclo l’alunno sostiene prove differenziate coerenti
con il percorso svolto e con valore equivalente ai fini del conseguimento del
diploma, che non deve menzionarle.
Per
il secondo ciclo vi è il rilascio del diploma se si è seguito un PDP
equipollente su tutte le materie di studio; ovvero vi è la possibilità di
sostenere prove differenziate con l’esonero totale dall’insegnamento delle
lingue straniere, in tal caso rilasciandosi solo un attestato di credito
formativo, la cui struttura e i cui contenuti sono indicati nel D. Lgs. 62/17.
Le
misure organizzative e i dispositivi poc’anzi compendiati possono essere estesi
a tutti gli altri soggetti non classificati portatori di DSA, ma solo per
periodi temporanei e per il resto valendo la normativa ordinaria della valutazione.
6.2. Rientrano, o possono rientrare, nei BES anche gli alunni stranieri,
per la cui integrazione lo strumento normativo primario è rinvenibile nell’articolo
45 del D. Lgs. 394/99, recante norme di attuazione del Testo unico
sull’immigrazione.
Le
ultime Linee guida del MIUR, emanate nel
2014, dispongono che le iscrizioni possono avvenire in qualsiasi momento
dell’anno scolastico, contestualmente chiedendo la scuola il permesso di
soggiorno, i documenti anagrafici attestanti gli studi compiuti nel Paese
d’origine, i documenti attestanti le vaccinazioni obbligatorie. E se mancano
e/o in attesa di acquisirli, l’iscrizione è con riserva; e se riguardano lo
stato vaccinale, la famiglia è indirizzata ai servizi sociali e senza che ciò
precluda la regolare frequenza scolastica, essendo dunque valutato prioritario
il diritto all’istruzione rispetto alla considerazione di eventuali
irregolarità dei loro genitori.
Per
migliorare l’accoglienza e facilitare la comunicazione con la famiglia, la
scuola può far ricorso, ove possibile, a mediatori culturali o avvalersi di
interpreti.
La
tipologie degli alunni stranieri, e le inerenti problematiche, sono oggi
fortemente differenziate e riassunte nelle istruzioni operative presenti nella
menzionata ultima versione delle Linee guida.
In
ogni caso, lo strumento essenziale della loro integrazione resta la competenza
linguistica, per costruite la quale si punta sui laboratori linguistici; che in
una fase iniziale prevedono otto-dieci ore settimanali e per la durata di
tre-quattro mesi, da dedicare all’italiano come L2.
Per
evitarsi indesiderati effetti di ghettizzazione, agli uffici scolastici
regionali è affidato il compito di assicurare il rispetto del limite del 30%
delle iscrizioni nelle singole classi, nonché di promuovere azioni che
preservino il legame con la cultura e la lingua del Paese d’origine.
In
assenza di documenti e/o di nulla-osta, la classe cui inizialmente iscriverli è
individuata considerando una serie di fattori, in primo luogo il livello di
conoscenza della lingua italiana.
La
competenza è del Consiglio di classe sulla scorta dei criteri deliberati dal
Collegio dei docenti, che ha altresì il compito di attivare interventi di prima
alfabetizzazione e/o di consolidamento delle competenze linguistiche, nonché di
adattare i programmi d’insegnamento (oggi ed estensivamente: curricolo
dell’autonomia) in relazione al livello
di competenza dei singoli alunni stranieri.
E’
quindi possibile privilegiare inizialmente la valutazione formativa, che
rimodula il percorso in esito alle verifiche intermedie, rispetto a quella
sommativa o certificatoria.
Ma
al momento della valutazione finale, per l’ammissione alla classe successiva e
agli esami di Stato conclusivi dei cicli scolastici, però il criterio legale è
quello prescritto dal D.P.R. 122/09, ripreso e confermato dal D. Lgs. 62/17, in
forza del quale i minori con cittadinanza non italiana presenti nel territorio
nazionale sono valutati nelle forme e nei modi previsti per i cittadini
italiani.
L’unica
eccezione, e limitata alla scuola secondaria di primo grado, è che qualora
l’alunno straniero risulti esonerato dallo studio della seconda lingua
comunitaria, non è soggetto né alla prova scritta né alla prova orale in questa
disciplina.
6.3. Adifferenza dei soggetti tradizionalmente diversi (disabili, affetti da disturbi specifici di apprendimento,
portatori della variegata categoria dei bisogni educativi speciali), le azioni
di sostegno all’eccellenza restano marginaliper il sistema
scolastico, nonostante le risalenti sollecitazioni rivolte agli stati membri
dall’Unione europea per la cura dei talenti e nonostante le ultime disposizioni
normative nazionali enfatizzino il merito.
Allo
stato, l’unico intervento che abbia espressamente affrontato il problema è il
D. Lgs. 262/07, cui ha fatto da ultimo seguito il D.M. 182/15 di attuazione,
volto ad incentivare l’eccellenza degli studenti nei percorsi di istruzione.
I
punti salienti si possono riassumere nella valorizzazione delle prestazioni
sia individuali che di gruppo; nell’individuazione
delle eccellenze mediante procedure di confronto e di competizioni nazionali e
internazionali; nella partecipazione alle olimpiadi o certamina, dal livello di singola istituzione scolastica a quello
nazionale.
Il
riconoscimento delle eccellenze deve avere a riferimento un’autorità
scientifica significativa (università, accademie, istituzioni di ricerca,
organizzazioni professionali) e garantisce l’acquisizione di crediti formativi,
oltre a dare origine a varie forme di incentivo anche di tipo economico.
La
legge 107/15 assegna alle scuole il compito di assicurare un maggiore
coinvolgimento degli studenti e di valorizzare il merito scolastico e i
talenti.
II
Se
il quadro normativo è coerente, crediamo, con le istanze di una scuola
inclusiva di qualità, è la sua piena implementazione a richiedere interventi
mirati o selettivi, che dir si voglia, rifuggendo da logiche meramente additive
che, a un tempo, non rendano ipertrofici i curricoli scolastici – l’ultima è l’introduzione del coding –
e non soverchino le capacità professionali del personale.
1. E’ fondamentale far partire la sistematica e ben cadenzata formazione
iniziale e di accesso al ruolo docente: curricolare, di sostegno e insegnante
tecnico pratico nella scuola secondaria, come previsto dal D. Lgs. 59/17, “funzionale alla valorizzazione sociale e
culturale della professione”; mentre resta confermato il percorso di
formazione iniziale e di accesso al ruolo per la scuola dell’infanzia e per la
scuola primaria, di cui alla legge 341/90, attesa la valenza
professionalizzante degli inerenti corsi di laurea a ciclo unico in Scienze
della formazione primaria.
Sicché
potrà risolversi, o almeno contenersi entro i limiti fisiologici, l’attuale
incredibile proliferazione delle supplenze, per lo più assegnate a soggetti
privi di titolo; così come – secondo il dato ISTAT del 6 febbraio u.s. – è
privo del titolo di specializzazione il 36% dei docenti, che scontano altresì
la mancanza/carenza di educatori e assistenti dell’autonomia e della comunicazione,
involgenti le competenze di ASL ed Enti locali.
Nel
rispetto dei vincoli di legge, potrà ben riconoscersi l’esperienza maturata; ma
per chi dimostri che dall’esperienza abbia imparato, sia pure attraverso prove
selettive non particolarmente cruente, e sempreché sia in possesso dei titoli
di studio e/o delle necessarie abilitazioni.
2. Non meno eludibile è la riconfigurazione dell’intera governance delle scuole, unitamente alla focalizzazione del profilo
della figura dirigenziale orientata sull’organizzazione dell’attività educativa
e didattica nei luoghi istituzionali predisposti dall’ordinamento: nel
Consiglio d’istituto, nel Collegio dei docenti, nei consigli di classe e nei
dipartimenti, ovvero nei gruppi di progetto o nei gruppi di studio, di ricerca-azione;
e seguire in maniera sistematica la suddetta attività didattico-educativa per
apprezzarla sulla scorta di coordinate di natura tecnica-professionale
deducibili dalle fonti normative, siccome contestualizzate e formalizzate nei
documenti programmatici e progettuali.
Rivisitatone il profilo, si tratterà di renderlo poi agibile,
costruendo finalmente – per legge – un middle
management con ampi poteri istruttori, e correlate responsabilità, nel
quadro di una unità d’indirizzo: incardinato nell’organico dell’autonomia di
ogni istituzione scolastica.
Dovrebbe rendersi plurale,
dopo vent’anni e più di tentativi puntualmente naufragati, il profilo
professionale della docenza, con le necessarie – integrate – differenziazioni
funzionali e non gerarchiche. Perché solo una
sorta di fictio iuris – la mai
persuasivamente chiarita unicità della
funzione – rende ogni soggetto,
perfettamente fungibile, in grado di presidiare in modo pieno e congiunto tutte
quelle“competenze disciplinari,
informatiche, linguistiche, psicopedagogiche, metodologico-didattiche,
organizzativo-relazionali, di orientamento e di ricerca, documentazione e
valutazione tra loro correlate e interagenti, che si sviluppano col maturare
dell’esperienza didattica, l’attività di studio e di sistemazione della pratica
didattica”; le cui inerenti prestazioni, giuslavoristicamente esigibili, “si definiscono nel quadro degli obiettivi
generali perseguiti dal sistema nazionale di istruzione e nel rispetto degli
indirizzi delineati nel piano dell’offerta formativa della scuola” (art.
27, CCNL, Comparto Istruzione e Ricerca, del 19 aprile 2018).
E – il middle management
– riguarderà altresì il c.d. ufficio di
segreteria per supportare il dirigente nella gestione amministrativa e
contabile e correlati adempimenti della
contrattualistica, della gestione della sicurezza, dell’attuazione della
trasparenza e dell’accesso agli atti …
3. Secondo la logica di sistema, occorrono
interventi normativi e/o esperibili in via amministrativa, sul versante della governance esterna.
3.1. Nella riorganizzazione dello spacchettato susseguente al decreto
legge 1/2020, il resuscitato Ministero dell’istruzione dovrebbe assumere
propriamente funzioni di indirizzo e di controllo, oltre che assicurare la
provvista delle risorse umane e finanziarie alle istituzioni scolastiche.
Dovrebbe, di conseguenza, porre un freno all’emanazione di
circolari, note e risposte a FAQ, non ravvisate strettamente necessarie: che,
in luogo di chiarire reali o presunte disposizioni oscure della fonte primaria,
finiscono per complicare e/o appesantire l’azione della dirigenza scolastica e
delle serventi strutture amministrative oramai prossime al collasso. E al
riguardo si renderebbe opportuna la costituzione di una struttura di
coordinamento delle direzioni generali centrali e rispettive articolazioni
regionali: la sola che s’interfacci con le istituzioni scolastiche affinché non
siano invase da plurime, e non di rado contraddittorie, richieste di dati,
documenti, monitoraggi et similia,
spesso imposti all’ultimo momento e spesso già posseduti dall’Amministrazione.
3.2. Occorrerebbe ripristinare la filosofia
dei mai decollati Centri servizi per lo sviluppo delle istituzioni scolastiche
autonome, dotate di personale adeguato e da specializzare in compiti di
supporto, consulenza e assistenza tecnica alle istituzioni scolastiche, di
regola deficitarie, se non del tutto prive, delle indispensabili competenze esperte in materia di sicurezza, contrattualistica,
finanziamenti comunitari, privacy e quant’altro incida su queste pubbliche amministrazioni (art. 1, comma
2, D. Lgs. 165/01), evidentemente – e inconferentemente – ben oltre la loro
autonomia funzionale giustificante tale qualificazione.
3.3. Da ultimo e riassuntivamente,
s’imporrebbe una rivisitazione delle regole e dei rapporti tra le istituzioni
scolastiche ed enti locali, organismi istituzionali e le varie agenzie latamente educative operanti sul territorio, per meglio chiarire i rispettivi
ambiti d’intervento e le correlate responsabilità.
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