#ScattoDiClasse

Fantasia, creatività, un pizzico di immaginazione. La scuola non rinuncia al rito della foto di classe che si trasforma, in questo anno così particolare, in uno scatto a distanza. Il Ministero dell’Istruzione rilancerà sui social il racconto di fine anno di docenti e studenti chiedendo loro di accompagnare con l’hashtag #ScattoDiClasse i post che faranno con le immagini delle loro classi, i messaggi, i video dedicati alla fine della scuola.

Una iniziativa che è stata lanciata oggi, su Instagram, con la foto ‘a distanza’ inviata al Ministero dai ragazzi della 5L del Liceo Scientifico Statale Leonardo Da Vinci di Milano: “Abbiamo lasciato la scuola un giorno di fine febbraio senza pensare che non ci saremo mai più tornati. È stato da quel preciso momento che abbiamo pian piano iniziato ad apprezzare l’importanza delle piccole cose, anche di ciò che consideravamo un fastidio – raccontano -. L’annuario è una tradizione del nostro liceo ed ogni anno teniamo una vera e propria competizione per la foto di classe con il tema più originale. Quest’anno non abbiamo pensato a nessun tema stravagante ma, visto che si trattava della nostra ultima foto di classe, ci sarebbe bastato averne una in cui fossimo stati tutti insieme. Essere insieme, vicini di banco, ridere e suggerirci risposte era ciò che consideravamo normale, ma la vera grande lezione che questa situazione ha dato a tutti noi è che non bisogna mai più dare niente per scontato”, concludono gli studenti.

Le scuole potranno partecipare al racconto collettivo postando la loro foto di classe scattata a distanza o messaggi e video di fine anno su Instagram taggando il Ministero dell’Istruzione (@Misocialig) e aggiungendo l’hashtag #ScattoDiClasse

A. Nothomb, Sete

La Nothomb scrive di Cristo

di Antonio Stanca

   Quest’anno, a febbraio, la casa editrice Voland di Roma ha pubblicato la prima edizione italiana del romanzo Sete di Amélie Nothomb. La traduzione è di Isabella Mattazzi. Scrittrice belga in lingua francese, la Nothomb vive tra Bruxelles e Parigi dopo essere stata per un certo tempo in Giappone. Qui è nata nel 1967, qui si trovava allora la famiglia a causa degli spostamenti richiesti dall’attività diplomatica del padre. A Bruxelles Amélie ha compiuto gli studi universitari, in questa città dopo molto tempo si sarebbe stabilita definitivamente la famiglia senza che Amélie rinunciasse a stare pure a Parigi.

   Al 1992, al romanzo Igiene dell’assassino, risale il suo esordio letterario e d’allora non si sarebbe più fermata, avrebbe sempre scritto. Di narrativa, teatro, poesia sarebbe stata autrice, molte traduzioni avrebbero avuto le sue opere, molte trasposizioni cinematografiche, molto premiate sarebbero state. Il romanzo Sete è il suo ventottesimo, lo ha scritto l’anno scorso e allora è risultato secondo al Prix Goncourt. Anche qui come in altri romanzi la Nothomb è insolita, particolare, presenta situazioni e personaggi fuori dal comune per poi ricondurli entro i termini della logica, della regola. E’ la sua maniera di procedere, generalmente volta a rappresentare quanto di strano, difficile, complicato sia oggi sopravvenuto nella vita, nella società, nei rapporti individuali, sociali senza, però, lasciare che si giunga alla fine, alla rovina poiché capace sempre è la sua scrittura di riprendersi, tornare all’ordine, contenere il disastro. Ogni volta, in ogni opera, si arriva al limite, si sfiora la tragedia ma si riesce sempre ad evitarla, a fare un passo indietro, a salvarsi.    Anche in Sete la situazione è nuova, è quella di Cristo che discute sulla sua figura, sulla sua funzione, sulla sua vita, sulla sua morte, su Dio che lo ha voluto, su tutto quanto ha fatto parte di lui, lo ha costituito. Nell’opera della Nothomb sono tanti i problemi che Cristo si pone da sembrare una persona comune, da assumere una dimensione, un’espressione, una condizione quotidiana. Le vicende che attraversa, i luoghi, le persone della sua vita sono quelle che i Vangeli hanno trasmesso ma questa volta sono state riportate ad una misura più ridotta, più familiare. Cristo discute di quanto gli succede, di quanto gli viene detto, sembra uno dei tanti non l’unico, il solo. Altre cose si aggiungono alla sua figura, di altri pensieri, di altre azioni lo si vede capace, ad un processo di umanizzazione sembra che la Nothomb lo abbia sottoposto: non diverso ma come gli altri è, come loro fa. E’ una novità che alla fine, però, cessa di essere tale poiché la situazione rientra tra quanto stabilito, tramandato dalla tradizione religiosa. Torna Cristo ad essere unico, ad essere Dio dopo aver pensato e agito come uomo, recupera la scrittrice quanto tralasciato, accetta le regole di sempre. Momentanea è stata la loro inosservanza ma non inutile poiché è riuscita a far pensare quanto attendibile possa ritenersi un Cristo diverso.

Che fine ha fatto la FORZA NUCLEARE DEBOLE (FND)?

Che fine ha fatto la FORZA NUCLEARE DEBOLE?

di Paolo Manzelli 
www.egocrea.net

Delle quattro forze fondamentali in natura  la FND e complementare alla Forza.Nucleare FORTE (FNF) che e una forza attrattiva che agisce a distanza . La FNF agisce nel compattare  ( entro la distanza di 10/-13) il nucleo composto di protoni con carica (+) e neutroni ( con carica (0) evitando pertanto la repulsione tra i protoni del nucleo.

I neutroni aumentano quindi la stabilità del nucleo e, se vengono espulsi dal nucleo radioattivo ,  decadono trasformandosi in Protone + elettrone + neutrino.

Dalla loro scoperta  , Enrico Fermi (1935) ridusse la Funzione attrattiva a distanza della FND  relegandola alla spiegazione della  trasformazione  del /decadimento -beta / del Neutrone in Protone, di conseguenza dimenticando la funzione attrazione a distanza  della FND che agisce nel mantenere la coerenza di struttura degli atomi del sistema Periodico di Mendeleev e che inoltre va ad agire a distanza piu ampia anche nella formazione di aggregati intremolecolari e nella formazione dei ponti ad idrogeno . Purtroppo il /Modello Standard della Fisica / descrive solo tre delle quattro forze fondamentali… così che la FND viene sostanzialmente negletta come forza che si esprime come attrazione nucleare debole ad ampia distanza.

Il problema della difficoltà di misura  della FND nasce dal fatto che i nuclei atomici contengono stabilmente neutroni i quali avendo carica neutra non sono trattabili da campi elettromagnetici cosi da per poter fare misurazioni dirette della FND e pertanto si preferisce non prenderla in attenta considerazione al fine di non  porre in discussione il.Modello Standard su cui e costruita la fisica  che include la FNF  ,gia abbastanza complicata , ma troppo importante permanipolare l.atomo e realizzare la Bomba Nucleare ad Idrogeno.

Fiducia sul DL scuola

Fiducia sul DL scuola: il Governo sbaglia strada sulla scuola pubblica

Roma, 3 giugno 2020 – Il Governo pone la questione di fiducia sul DL scuola e ancora non si preoccupa di trovare le risorse e le riposte che alla scuola servono davvero.

La ripresa a settembre è strettamente legata ai numeri del precariato, un legame che non si può nascondere, perché all’inizio del prossimo anno scolastico tutti i nodi verranno al pettine.
Ed è un tema che il DL scuola non risolve, rinviando addirittura le assunzioni possibili al prossimo anno scolastico.
200 mila cattedre prive di un titolare significheranno nomine di supplenti che dureranno per settimane a scuola già iniziata, con l’impossibilità di smistare gli alunni senza insegnante nelle altre classi, come si fa di solito, perché bisognerà garantire il distanziamento.  

E’ assurdo che con questo decreto non se ne tenga conto e che, addirittura, la ministra dell’Istruzione si preoccupi sul precariato di dare numeri al ribasso, mentre negli altri paesi gli interventi per riaprire le scuole in sicurezza, con organici aggiuntivi e classi ridotte sono oggetto di interventi mirati e tempestivi.

Finora il ricorso alla didattica a distanza ha coperto tutti limiti del nostro sistema: le classi pollaio, gli organici ATA ridotti all’osso, il ricorso abnorme al precariato, l’insufficienza di docenti di sostegno e la mancanza di personale specializzato assunto in pianta stabile. Ma a settembre queste contraddizioni emergeranno tutte e il Governo sappia che né alunni, né famiglie, potranno sopportare il peso di una ripresa a singhiozzo, ancora incentrata sulla DaD.

Maturità, per l’alunno dislessico bocciato esame da ripetere se le misure adottate …

da Il Sole 24 Ore

di Pietro Alessio Palumbo

Con la recente sentenza 5563/2020 il Tar Lazio ha stabilito che l’alunno dislessico bocciato alla maturità per inadeguatezza delle misure adottate dalla Commissione ha diritto alla ripetizione delle prove nonché al risarcimento delle nuove spese scolastiche e del danno “psichico” e alle chance occupazionali se dimostrate.

Assenza di misure conformi = esame da ripetere
Il quadro normativo indirizza le Commissioni valutative verso le doverose azioni da intraprendere e le misure da adottare (senza costi aggiuntivi) per elidere o attenuare le difficoltà legate alla dislessia degli studenti.

Nella vicenda affrontata dal Tar, dai verbali relativi alle prove e relativo scrutinio, non emergeva alcun indizio che lasciasse trasparire l’effettiva adozione di misure idonee a colmare il gap espressivo del ragazzo. E ciò nonostante la specifica condizione dello studente fosse nota alla Commissione e la stessa avesse per giunta dichiarato di voler applicare gli accorgimenti suggeriti da esperti di un centro specialistico.
In tali evenienze la bocciatura è dunque illegittima con conseguente ripetizione dell’esame a cura di commissione in diversa composizione.

Responsabilità della scuola
Per quanto attiene ai danni risarcibili, occorre innanzitutto che sussistano tutti gli elementi tipici della responsabilità, ossia: condotta, evento, nesso di causalità, antigiuridicità, colpevolezza. Ai fini del riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni, infatti, l’illegittimità del provvedimento amministrativo costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità dell’amministrazione.

Con riferimento all’elemento psicologico, la colpa della amministrazione viene individuata nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili.

Ebbene nel caso di specie tale colpa è da ravvisarsi nella inosservanza di un quadro normativo chiaro e di indicazioni precettive dettagliate, fornite dall’amministrazione centrale, che erano sufficienti a dirigere la Commissione valutativa verso le debite azioni da intraprendere e le misure da adottare.

Il risarcimento di nuove spese di studio e del “danno psichico”
Quanto ai danni, deve essere riconosciuto innanzitutto il risarcimento del danno emergente costituito dalle spese che la famiglia ha dovuto sostenere nel successivo anno scolastico quali esborsi per la nuova preparazione di esame e per gli spostamenti conseguenti. È poi dovuto il risarcimento del “danno psichico” qualora l’ingiusta bocciatura abbia determinato conseguenze interiori per lo studente. Conseguenze che – si badi – vanno comprovate con adeguate consulenze mediche.

Il danno alle chance occupazionali
Liquidati i danni sopra riportati, nel caso di specie il Tar capitolino ha invece rigettato la richiesta di risarcimento dei danni da perdita di chance per la mancata partecipazione dello studente bocciato al concorso per aspiranti allievi ufficiali del ruolo aeronavale della guardia di finanza, in quanto non ha dimostrato quali e quante probabilità avrebbe effettivamente avuto di superare la selezione se avesse potuto parteciparvi. È infatti onere del richiedente provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato.

Oggi «No Dad day», contro la didattica a distanza

da Il Sole 24 Ore

di Redazione Scuola

«È ora di fare un gesto, sia pure simbolico, per smetterla di fingere che questo anno scolastico sia stato svolto e abbia un valore. È ora di dare un avvertimento per settembre: non siamo più disposti a continuare con la didattica a distanza». Il Comitato Priorità alla Scuola accoglie la proposta partita da tanti gruppi e luoghi diversi, (Firenze, Lamezia Terme, Ravenna, Roma e altri) e invita a un’astensione massiccia dalla didattica a distanza sostenendo oggi, 3 giugno, il «No Dad day». Tra i comitati e le associazioni che hanno indetto la protesta, con appuntamenti anche in varie piazze, anche i “Lavoratori Autoconvocati scuola”, il gruppo “Genitore Attivo”, o i blog delle mamme torinesi.

Una protesta nata e cresciuta sui social, con pagine Facebook che l’hanno rilanciata, ma anche con il passaparola, con le tante lettere-appello inviate alle classi dalle famiglie contrarie alle didattica a distanza.

Una protesta che si innesta nel complesso processo di elaborazione delle regole per la ripartenza a settembre, con il premier Giuseppe Conte che per domani ha convocato una incontro con la ministra Lucia Azzolina, i sindacati, i rappresentanti degli studenti delle scuole paritarie ma anche Protezione Civile, Upi e Anci per fare un punto in vista delle attività scolastiche a settembre. Con l’obiettivo, ribadisce il ministro, di riportare tutti, bambini e ragazzi, a scuola in presenza, senza didattica a distanza per i più grandi.

Ma per i comitati del «No Dad day», questo impegno non è ancora sufficiente: «Con questa astensione – spiega il Comitato Priorità alla Scuola – ribadiamo quello che diciamo da aprile: a settembre le scuole vanno riaperte, tutte, di ogni ordine e grado, per tutti, senza riduzione di orario, senza turni, senza didattica mista, senza esternalizzazioni di metà del tempo-scuola. Non c’è più tempo: il governo deve reperire e mettere a disposizione tutte le risorse necessarie: occorre investire in spazi adeguati e in misure di prevenzione, aumentare massicciamente il personale docente e ata. Non può scomparire dalle priorità di governo ogni riferimento al reperimento di risorse straordinarie, mentre si propone la riduzione del tempo scuola e si lascia via libera al fai-da-te delle singole istituzioni e all’arbitrarietà dei singoli dirigenti di decidere turnazioni/alternanze e utilizzo di didattica a distanza (già dalla scuola media). E’ inammissibile che lo Stato destini decine di miliardi alle imprese private e riservi alla scuola pubblica solamente un miliardo e mezzo in due anni. Non accetteremo niente di tutto questo».

Azzolina “Basta teledidattica a settembre voglio tutti in classe”

da la Repubblica

Annalisa Cuzzocrea

ROMA — Ministra Lucia Azzolina, a settembre la scuola dovrebbe ripartire: con il distanziamento, con le mascherine, con misure igieniche adeguate. Cosa state facendo per renderlo possibile?

«Stiamo facendo tutto il possibile per riportare tutti, bambini e ragazzi, a scuola in presenza».

Senza didattica a distanza per i più grandi?

«È il mio obiettivo. Ovviamente il territorio nazionale è molto diverso, ci sono più di 8mila autonomie scolastiche e 40mila edifici. Noi daremo una cornice, delle linee guida e un pacchetto di strumenti .

Ogni scuola dovrà poi declinare come far ripartire l’anno».

Ma come garantirete il distanziamento?

«Giovedì ci sarà un tavolo a Palazzo Chigi, con il premier Conte, con il mio ministero, gli enti locali, un rappresentante delle famiglie, uno degli studenti, poi scuole paritarie, sindacati, disabili. Tutti insieme contribuiremo a trovare le risposte perché parliamo di misure che riguardano 30 milioni di italiani».

Come possono aiutare gli enti locali?

«Mettendo a disposizione sale comunali, orti botanici, parchi, teatri, cinema. Faremo degli accordi con loro e col terzo settore per fare in modo che la scuola riparta aprendosi al territorio. Quando non sarà possibile il distanziamento, porteremo gli studenti fuori. In altri Paesi europei già si fa».

Ci saranno i termoscanner agli ingressi delle scuole?

«Il comitato tecnico-scientifico ha già detto che non c’è bisogno. Dobbiamo responsabilizzare le famiglie. E dire che a scuola non si va neanche con 37 e mezzo di febbre».

E le mascherine?

«Gli esperti ne hanno consigliato l’obbligo. Vanno bene anche le visierine trasparenti, per vedere le espressioni dei bambini, penso ai più piccoli, l’importante è che abbiano un dispositivo di protezione».

Siete un po’ in ritardo con le decisioni, non crede?

«Stiamo lavorando con la situazione epidemiologica che conosciamo, ma spero che a settembre sia più rosea.

C’era un problema di risorse che abbiamo cominciato a risolvere con gli 800 milioni di euro sull’edilizia scolastica che ho già firmato. Nel decreto scuola abbiamo introdotto una norma che semplifica e permette di fare i lavori più velocemente».

Come recluterete i docenti che servono in tempo per la ripresa?

«Ci aiutano la digitalizzazione delle graduatorie provinciali e il meccanismo della call veloce, che consente di cercare fuori dalle Regioni in cui non si riescono a coprire le cattedre» ,

Parla di una cornice da declinare, ma ci dev’essere qualcosa che la scuola deve garantire a tutti.

«La sicurezza. Ho ricevuto una lettera di medici e infermieri dell’ospedale Covid di Tor Vergata che mi hanno ringraziata di averla messa al primo posto. Non si può dimenticare così in fretta cos’ha sofferto questo Paese».

No, ma si può pretendere di sapere come ricominciare. Ci sono 1,4 miliardi nel decreto Rilancio.

Quando il suo predecessore se ne andò ne erano stati stanziati 2. La buona scuola ne prevedeva 3.

«Quando sono arrivata ho scoperto 800 milioni garantiti dall’Europa che stavamo per perdere perché nessuno si era messo a scrivere i progetti. Lo stiamo facendo, avremo quei soldi e ne arriveranno ancora, ma per scoprire certe cose nei ministeri bisogna starci».

I presidi lamentano che con i 38mila euro a scuola garantiti non sarà possibile fare nulla. Siamo abituati a scuole dove manca la carta igienica, figurarsi la sanificazione. O gli spazi.

«Sono anche luoghi comuni. Tutto dipende dalla serietà delle persone che lavorano. L’autonomia è nata per rendere più efficiente il sistema».

E se lo avesse reso più diseguale?

«Io penso che se si lavora bene, l’autonomia serve eccome. Ci sono scuole che lavorano già con unità orarie flessibili di 40-45 minuti, che saranno utili in questo periodo».

Ma invece non teme ci possa essere una riduzione dell’offerta formativa per mancanza di spazi e di docenti? Meno ore di italiano, di matematica, di storia?

«Questa non è assolutamente un’ipotesi che il mio ministero sta considerando. Abbiamo il dovere di non lasciare indietro nessuno».

La didattica a distanza ha lasciato indietro molti.

«Abbiamo speso quasi 200 milioni. I monitoraggi che abbiamo fatto con i dirigenti sono positivi. So bene che non è il migliore dei mondi possibili, ma qual era l’alternativa? In più, ci sono state delle resistenze. Le diffide dei sindacati sono pubbliche».

C’è uno sciopero l’8 giugno contro la sua scelta di insistere per un concorso per i precari, la cui stabilizzazione potrebbe risolvere molti problemi a settembre.

«Ho ricevuto minacce. Anche di morte. Da quel che farebbero al mio “bel visino” a quel che farebbero della mia vita. Molti sono docenti. Uno è un sindacalista che scambia il diritto di satira per qualcosa di ben più grave».

Ha denunciato e ora è sotto scorta. Si è chiesta il perché di tutta questa violenza?

«Vorrei capirlo.Perché dico che nella Pubblica amministrazione si entra con un regolare concorso, come la Costituzione prescrive? Come si è fatto fino al 2016? Io so cosa vuol dire essere precaria. Sono stata precaria.

E penso che chi è bravo, e ci sono tanti precari bravi, ha tutto il diritto di fare un concorso e di essere assunto a tempo indeterminato».

Ha ricevuto e riceve anche molti insulti.

«Sessisti. Beceri. Dobbiamo decidere che trattamento vogliamo riservare alle donne che fanno politica, se siamo libere di scegliere il colore del vestito o del rossetto».

Ricorda gli insulti dei 5 stelle a Laura Boldrini o Maria Elena Boschi.

«Prima di diventare ministra, alla Camera, ho fatto un intervento per difendere una parlamentare di Forza Italia attaccata in modo indegno. Non ne faccio una questione di colore politico, ma di civiltà».

La scuola delle donne. Mamme, maestre e professoresse

da la Repubblica

di Marco Rossi Doria

Dall’inizio di marzo milioni di incontri, in Rete e al telefono, collegano le nostre case. Sono, in larghissima maggioranza, incontri tra donne. Tra mamme e maestre e professoresse, che sono l’82% di chi insegna. In un Paese spesso disattento e litigioso, ogni giorno vi è un rito, dedicato al rispetto tra persone e al diritto e al dovere allo studio: «Buongiorno, come sta signora?», «Buongiorno, professoressa», «Grazie maestra». E poi: motivare i ragazzi, finire bene il collegamento, raggiungere ogni compagno, dare indirizzi di ricerca e di studio, capire quanto e come s’impara. Si tratta della faticosa costruzione di un’alleanza educativa tra docenti e genitori, con ruoli distinti, nel rispetto reciproco. È un inizio di cambio di direzione: dopo anni di incomprensioni e conflitti tra case e scuole vi è un ri-conoscimento, in senso proprio, e anche una riconoscenza. Non sono rose e fiori. Vi è un lungo lavoro da fare. Ma l’autorevolezza della scuola guadagna terreno, ricostruendo il rispetto dei genitori grazie all’impegno straordinario di chi la scuola la fa ogni giorno e all’arte del dialogo.

Così, soprattutto le donne hanno tenuto in piedi il sistema d’istruzione, con spirito repubblicano. Quanto sarebbe importante che una sera di giugno, alla fine dei telegiornali, il governo dicesse grazie a scuole e famiglie e, in particolare, alle donne italiane per questa prova quotidiana di tenuta educativa.

Non è un’opera “tecnica”, relativa a connessioni, device, app. Certo, le scuole fanno arrivare a casa migliaia di tablet e computer, ricaricano schede, collegano con una rete spesso traballante o inesistente, pagano abbonamenti a chi non può. Purtroppo, ancora adesso, non ci si riesce ovunque, nonostante l’impegno di dirigenti, docenti, Comuni, terzo settore. E non è un’opera soltanto di didattica a distanza.

Chi insegna sa che questa è una necessità e un’opportunità ma che non può sostituire la ricchezza della vita a scuola.

Eppure — in un Paese tra i più arretrati in materia e con i docenti più vecchi dell’Ocse — la maggioranza degli insegnanti impara in fretta, con l’aiuto dei colleghi e, spesso, dei ragazzi stessi, figli, alunni. Non solo. Moltissimi gruppi di docenti considerano l’esperienza che gli alunni stanno vivendo come qualcosa che va ben oltre il digitale, che suscita paure e spaesamenti relativi all’idea del futuro e, al contempo, maturazione, resilienza, accresciuta responsabilità e anche voglia di sapere. Così cresce in tanti gruppi di docenti la spinta a ripensare la scuola alla luce della complessità che la pandemia mostra a tutti, con le “materie” che si parlano l’un l’altra e richiedono maggiore attenzione al rigore delle discipline e ai loro nessi reciproci. Non è un’Italia semplice nella quale succede tutto questo.

Dei 9,8 milioni di alunni, 2,2 già vivevano in povertà relativa e altri 1,2 in povertà assoluta. Ora, purtroppo, 1 milione in povertà relativa sta rapidamente cadendo in povertà assoluta e altrettanti, che vivevano sopra la soglia di povertà, non vi rimarranno. E, poi, ci sono 273 mila bambini e ragazzi con disabilità e fragilità e 819 mila stranieri. Il lavoro dei docenti per raggiungere ognuno è stato enorme.

Migliaia di storie lo raccontano e chiedono di poter continuare. Non è certo il “6 politico” — non si sa perché evocato, dato che è uscito di scena oltre 30 anni fa — il tema di chi fa scuola. È piuttosto la fondata paura che l’impoverimento generale e le difficoltà nell’organizzare a settembre la scuola in sicurezza spingano un terzo dei nostri ragazzi fuori dal diritto a imparare, ai margini della coesione sociale. Come ha scritto il Forum Disuguaglianze Diversità: “Si è parlato di salute, e, poi, di economia. I due grandi assenti sono stati: la crisi educativa e la crisi sociale”. Vi è, dunque, l’urgenza politica di rispondere alla crisi educativa. I docenti e i genitori lo chiedono. È finalmente tempo di rendere la scuola strutturalmente rigorosa, innovativa, inclusiva. Perciò, la spesa in istruzione, crollata al 3,5% in rapporto al Pil, deve subito rientrare nella media dell’Unione europea, al 4,5%. E almeno il 15% degli investimenti dei prossimi anni, dedicati alla ripartenza, vanno destinati alle comunità educanti, a scuola e fuori. È condizione per una ripartenza duratura e le decisioni in cantiere dell’Ue non solo lo consentono, lo suggeriscono.

“Se non ora, quando?”.

Servono 80 mila docenti in più

da ItaliaOggi

Alessandra Ricciardi

L’organizzazione e la didattica della scuola italiana in regime di Covid-19 dovrà essere rivista con classi mini e più docenti. Così da garantire un ridotto rischio di contagio. Quanti docenti in più? Tra i 70 e gli 80 mila, da assumere in deroga per il prossimo anno scolastico. In particolare per la scuola dell’infanzia e primaria dove forme miste (didattica in presenza e on line) non funzionano. A chiederlo alla ministra dell’istruzione, Lucia Azzolina, è il comitato di tecnici presieduto da Patrizio Bianchi. La task force suggerisce una serie di soluzioni da adottare di intesa con le regioni, così da tenere conto anche delle diverse situazioni di partenza delle scuole (numero di alunni, mobilità, organizzazione) e le diverse evoluzioni epidemiologiche.

Un’intesa che potrebbe portare anche a derogare, è una delle ipotesi contemplate nel nutrito dossier presentato alla ministra, al calendario scolastico e al tetto dei 200 giorni minimi di lezione perché l’anno sia valido. Sulla stregua di quanto già previsto per l’as che si sta per concludere. A questo scopo, è però necessario adottare una o più norme di legge con le quali consentire, ai diversi Uffici scolastici regionali, a seguito di intese con le singole regioni e sulla base delle situazioni epidemiologiche certificate dalle stesse, l’adozione di misure di adattamento, anche con differenze tra province, del calendario scolastico, del monte ore complessivo da assolvere (fino a un meno 20%, e dunque 40 ore in meno), dell’orario scolastico e della durata delle lezioni, che potranno arrivare fino a 40 minuti, per una diversa articolazione e composizione di classi o sezioni.

La riduzione delle lezioni dovrebbe essere strumentale a consentire ingressi scaglionati e soprattutto a una turnazione dei docenti su più gruppi classe.

Quello che il comitato prospetta è un mix organizzativo e didattico, con lezioni in presenza e on line per superiori, ma essenzialmente in presenza per infanzia e primaria. A questo scopo il Comitato ritiene necessario che sia autorizzato l’incremento dei posti di personale docente in organico di fatto: tra il 10 e il 15% in più. L’incremento dovrà riguardare, in particolare, le sezioni di scuola dell’infanzia, le classi di scuola primaria e il primo biennio della secondaria di I grado, dove, alla luce dell’età degli alunni, si valuta educativamente necessario realizzare una didattica in presenza.

Altro nodo posto all’attenzione della ministra è relativo alla responsabilità del dirigente scolastico in caso di contagio a scuola: il preside è equiparato a un datore di lavoro e in caso di commissione di un errore nell’attuazione delle linee guida e dei protocolli ministeriali sulla sicurezza scatterebbero profili di responsabilità sia penalistici che civilistici.

La possibile responsabilità penale e civile, nel periodo di persistenza dello stato di emergenza, mina la necessaria serenità di presidi e amministrativi, dicono gli esperti. La soluzione che si propone è di considerare punibile, in sede di eventuale commissione di illeciti, esclusivamente il dolo e la colpa grave. Almeno fin quando durerà l’emergenza. Anche in questo caso è necessario un intervento normativo che, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, sarebbe già allo studio del ministero in questi giorni.

Capitolo didattica: dovrà essere semplificata, puntata sull’essenziale. E richiederà che per l’online ci sia un’adeguata formazione dei docenti, che dovrebbe avvenire in estate, così da recuperare i gap esistenti tra diverse scuole. Finita l’emergenza coronavirus, comunque non si tornerà alla scuola di prima. Avremo una scuola nuova, quella che prospetta la task force, per la quale servono docenti nuovi e una organizzazione più flessibile.

In Italia basta un metro di distanza. In Francia e Uk servono due metri

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

La parola chiave è distanziamento. Per prevenire e contenere il contagio da Covid-19 alunni e docenti dovranno rimanere lontani almeno un metro l’uno dall’altro. Dovranno indossare le mascherine e dovranno provvedere costantemente all’igiene delle mani. Sono queste alcune delle misure da adottare alla riapertura delle scuole ipotizzate dal Comitato tecnico scientifico del dipartimento della protezione civile. L’analisi della situazione e la descrizione delle precauzioni da applicare sono contenute nel verbale n.82 della riunione del 28 maggio. Il rapporto muove da una ricognizione dei dati riguardanti l’istruzione in Italia. Le istituzioni scolastiche sono 8.094 e la più alta concentrazione è in Lombardia, con 1.120 istituzioni, in Campania ce ne sono 983 e in Sicilia 821.

Le sedi scolastiche che compongono le istituzioni sono 40.749, di cui il 32,6% dedicato all’istruzione dell’infanzia, il 36,6% all’istruzione primaria, il 17,7% all’istruzione secondaria di I grado ed il 13,1% all’istruzione di II grado. Nell’anno scolastico 2019/2020 sulla base dei dati del ministero dell’istruzione, il numero di classi della scuola statale ammonta a 369.769 e il corrispondente numero di studenti è di 7.599.259. La Lombardia, da sola, conta più di 1 milione di studenti con un numero di classi di poco inferiore a 55 mila. Fanalino di coda il Molise che registra poco più di 37 mila studenti e poco più di 2 mila classi. I posti per il personale docente istituiti per l’anno scolastico 2019/2020 ammontano complessivamente a 684.880 posti comuni e 150.609 posti di sostegno. Nell’anno scolastico 2017/2018, stando ai dati del ministero dell’istruzione, vi erano oltre 730 mila docenti titolari, di cui oltre 300 mila con oltre 54 anni di età e circa 267mila nella fascia di età compresa tra i 45 e i 54 anni. A questi dati vanno aggiunte 209.070 unità di personale non docente. Gli edifici scolastici sono 58.842. Di questi, Nel 2017 l’Istat ha stimato che in Italia circa 30 milioni di persone si spostano ogni giorno per raggiungere il luogo di studio (18,5%) o di lavoro (oltre un terzo della popolazione pari al 35,5%).

La più recente indagine multiscopo evidenzia una diversa caratterizzazione degli utenti dei vari mezzi di trasporto collettivi: sebbene la parte principale è composta da lavoratori e da altri soggetti (intesi come persone in cerca di nuova occupazione e di prima occupazione, casalinghe, ritirati dal lavoro e in altra condizione), una quota non trascurabile è rappresentata dagli studenti sia per l’utilizzo di autobus, filobus e tram che di pullman e treno. Quanto all’edilizia, il 23% degli immobili dedicati non era stato costruito appositamente come edificio scolastico ed e è stato riattato per tale uso. Gli spostamenti e la coabitazione di questa enorme mole di persone crea gravi problemi nella gestione degli spazi al fine di prevenire e contenere il contagio. In Belgio, Francia, Svizzera, Spagna e Regno unito il distanziamento all’interno delle classi è organizzato in modo tale che ogni alunno disponga di 4 metri quadri netti al fine di garantire un distanziamento interpersonale di 2 metri. In Italia si pensa al distanziamento di un metro. Ma anche con queste misure viene in evidenza l’ipodimensionamento degli organici dei docenti, che, per attuare questi accorgimenti, risulterebbero assolutamente insufficienti, perché bisognerebbe ridurre il numero degli alunni per classe. In ogni caso sarebbe comunque necessario indossare le mascherine. Fermo restando che l’uso di questi dispositivi non potrà essere ritenuto obbligatorio per gli alunni portatori di handicap che si trovino in situazioni proibitive rispetto all’uso di tali dispositivi. In questo caso, però, i docenti e gli operatori a stretto contatto con i discenti dovranno essere dotati di ulteriori protezioni rispetto alle mascherine (guanti, occhiali ecc). La mascherina non potrà essere utilizzata durante il servizio mensa e durante la ricreazione. Il comitato ha previsto che i docenti debbano essere forniti dall’amministrazione di mascherine chirurgiche e che per gli alunni possano bastare anche le mascherine di comunità.

Non sono previsti controlli sanitari in loco. Pertanto il comitato rimanda alla responsabilità individuale rispetto allo stato di salute proprio o dei minori affidati alla responsabilità genitoriale. Verrà raccomandato, quindi, di garantire come precondizione per la presenza a scuola di studenti e di tutto il personale a vario titolo operante l’assenza di sintomatologia respiratoria o di temperatura corporea superiore a 37.5°C anche nei tre giorni precedenti; il non essere stati in quarantena o isolamento domiciliare negli ultimi 14 giorni; il non essere stati a contatto con persone positive, per quanto di propria conoscenza, negli ultimi 14 giorni. All’ingresso della scuola, quindi, non sarà rilevata la temperatura corporea. Sarà raccomandato, inoltre, a chiunque presenti una sintomatologia respiratoria o temperatura corporea superiore a 37.5°C di rimanere a casa.

Precari, pietra dello scontro

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

È scontro aperto tra Cgil, Cisl, Uil, Snals, Gilda-Unams e ministero dell’istruzione. Il nodo sostanziale è il mancato accoglimento, da parte del governo, delle richieste riguardanti l’istituzione di un concorso per soli titoli. E cioè di una selezione senza esami volta a consentire ai docenti precari con 3 anni di servizio di ottenere l’assunzione a tempo indeterminato già dal prossimo 1° settembre. Il braccio di ferro continua, tant’è che il motivo principale dello sciopero indetto per il prossimo 8 giugno è proprio questo. L’amministrazione, peraltro, ha sospeso i termini per la presentazione delle domande di partecipazione. E questa cosa era stata interpretata come un segno di apertura. Ma tutto è rimasto come prima. Le richieste dei sindacati, peraltro, erano state sostanzialmente accolte dal governo Conte 1. Idem nella fase del Conte 2, in cui la poltrona di viale Trastevere era coperta da Lorenzo Fioramonti. Con il cambio della guardia, però, la situazione è mutata e l’attuale ministra dell’istruzione, Lucia Azzolina, ha rispedito le richieste al mittente, insieme al gruppo del movimento 5 stelle al senato. Tant’è che il concorso riservato ai docenti precari con almeno 3 anni di servizio prevede, comunque, una prova scritta.

Nella prima stesura la disposizione sul concorso riservato prevedeva che la prova scritta sarebbe stata incentrata su test a risposta chiusa. Poi, però, è iniziato un lungo braccio di ferro all’interno della maggioranza di governo: il Movimento 5 stelle e Italia viva da una parte, contrari al concorso per soli titoli, e il Pd e Leu dall’altra, contrari all’ipotesi del concorso a crocette e incline a ritenere che sarebbe stato meglio prevedere l’accesso ai ruoli con una selezione per soli titoli, salvo una verifica orale al termine del primo anno di insegnamento. La proposta di Pd e Leu aveva preso forma con uno specifico emendamento presentato da Francesco Verducci, senatore del Pd. Le parti però non avevano raggiunto alcun accordo. E alla fine è dovuto intervenire il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, per moderare i toni di uno scontro che rischiava di far cadere il governo. Alla fine i vertici di Pd e Leu hanno firmato la pace con il M5S e Iv e il 28 maggio scorso hanno votato una piccola modifica in sede di conversione del decreto legge 22/2020 al senato. Che farà slittare il concorso al prossimo anno scolastico. Ma la prova scritta è rimasta, sebbene modificata: al posto dei test a risposta chiusa ci saranno dei quesiti a risposta aperta. Una scelta che, però, allungherà inevitabilmente i tempi di svolgimento del concorso. Tant’è che la maggioranza ha approvato alcune disposizioni che prevedono la retrodatazione giuridica delle immissioni in ruolo al 1° settembre 2020 e il raggiungimento della sede al 1° settembre 2021. Quanto alle nuove regole del concorso straordinario, anzitutto va ricordato che i termini per la presentazione delle domande di partecipazione, inizialmente previsti dal 28 maggio al 3 luglio, sono stati sospesi con un decreto ministeriale (639 del 27 maggio scorso).

Ufficialmente per dare tempo alle parti di mettersi d’accordo. Più probabilmente: per consentire all’amministrazione di riformulare il provvedimento ministeriale di indizione della selezione sulla base delle nuove disposizioni contenute nella legge di conversione del decreto-legge 22/2020. Che peraltro non ha ancora terminato il suo iter di approvazione. Il testo, infatti, è stato approvato solo al senato e, per diventare legge, necessita di un ulteriore passaggio alla camera, che dovrà approvarlo senza modifiche. In caso contrario, il testo tornerà al senato e così via fino a quando entrambi i rami del parlamento non approveranno lo stesso testo. Dunque, la partita è ancora aperta. Quanto alle novità in dettaglio, la prova scritta sarà superata solo dai candidati che prenderanno un punteggio non inferiore a 7/10. Si svolgerà con un sistema informatizzato secondo il programma di esame previsto dal bando e sarà distinta per classe di concorso e tipologia di posto. La prova si articolerà in quesiti a risposta aperta, che saranno incentrati, per i posti comuni, sulla valutazione delle conoscenze e delle competenze disciplinari e didattico-metodologiche e della capacità di comprensione del testo in lingua inglese. E per i posti di sostegno, sulle metodologie didattiche da applicarsi alle diverse tipologie di disabilità e saranno finalizzati a valutare le conoscenze dei contenuti e delle procedure volte all’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, oltre che la capacità di comprensione del testo in lingua inglese. Per le classi di concorso di lingua inglese si svolgerà interamente in inglese e sarà composta da quesiti a risposta aperta rivolti alla valutazione delle relative conoscenze e competenze disciplinari e didattico-metodologiche.

Per la didattica a distanza ora serve il contratto

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

Per regolare la didattica a distanza e le attività collegiali in videoconferenza ci vuole un contratto ad hoc. Finora i docenti hanno navigato a vista ma ora, sebbene in zona Cesarini, il senato ha deciso di colmare questo vuoto normativo. E di ricondurre il lavoro dei docenti, durante l’emergenza sanitaria, nell’alveo della legalità. È quanto si evince da un’integrazione apportata al decreto legge 22/2020, adottata dal senato nel disegno di legge di conversione approvato il 28 maggio scorso. La norma ha un valore meramente simbolico perché, di fatto, è inattuabile: l’anno scolastico volge al termine e non si farà in tempo a stipulare alcun contratto. Tanto più che la vigenza di tale accordo, per espressa previsione del provvedimento, cesserebbe al 31 luglio prossimo, termine finale dello stato d’emergenza deliberato dal consiglio dei ministri il 31 gennaio scorso.Ma è comunque importante perché riconosce, sebbene tardivamente, il valore delle prestazioni volontarie erogate dai circa 7 mila docenti, che si sono fatti in 4 per continuare ad insegnare a distanza, senza che ve ne fosse alcun obbligo. È del 9 aprile, infatti, la prima disposizione di legge che introduce il principio dell’obbligatorietà della didattica a distanza (si veda l’art. 2, comma 3, del decreto legge 22/2020). Che però è priva dei requisiti di effettività. Perché trattandosi di una norma primaria, affinchè possa dispiegare effetti, necessita dell’emanazione della normativa di dettaglio. Che nel caso specifico, stante la contrattualizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici introdotta con il decreto legislativo 29/93, va scritta a 4 mani al tavolo negoziale dal governo e dal sindacato. In altre parole, affinché potesse essere considerata obbligatoria, la didattica a distanza avrebbe dovuto essere regolata da un contratto collettivo ad hoc. E il contratto non c’è. Il legislatore ne ha preso atto, sebbene con forte ritardo, e il senato lo ha messo nero su bianco nel disegno di legge di conversione approvato il 28 magsgio (1774): « Fino al perdurare dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, dovuto al diffondersi del virus Covid-19», si legge nel dispositivo, «le modalità e i criteri sulla base dei quali erogare le prestazioni lavorative e gli adempimenti connessi resi dal personale docente del comparto Istruzione e ricerca, nella modalità a distanza, sono regolati mediante un apposito accordo contrattuale collettivo integrativo stipulato con le associazioni sindacali rappresentative sul piano nazionale per il comparto Istruzione e ricerca». Il disegno di legge di conversione contiene un’ulteriore norma «riparatrice». Che prevede la possibilità, per gli insegnanti di ruolo, di utilizzare i 500 euro della carta del docente « per l’acquisto di servizi di connettività». Anche in questo caso il legislatore ha riconosciuto implicitamente l’illegittimità della pretesa avanzata dal ministero dell’istruzione nei confronti dei docenti. Laddove si è dato per scontato che la didattica a distanza e la partecipazione alle riunioni degli organi collegiali dovessero essere effettuate dagli insegnanti distraendo dall’uso privato la propria strumentazione. A differenza della norma sulla contrattualizzazione della didattica a distanza, che difficilmente troverà attuazione in tempo utile, quest’ultima norma potrà dispiegare un qualche effetto nel caso in cui i docenti non abbiano già speso i 500 euro della relativa disponibilità.

I docenti più fragili faranno la maturità in smart working

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

I docenti a rischio, in caso di contagio da Covid-19, designati commissari per gli esami di maturità, potranno partecipare alle sessioni in smart working. È questo uno dei chiarimenti più importanti contenuti in una circolare emanata dal ministero dell’istruzione il 28 maggio scorso (8464). Il provvedimento interviene a fare chiarezza su alcune novità introdotte dalle ordinanze ministeriali sugli esami di stato e sulla valutazione. E spiega che ai fini della validità delle riunioni degli organi collegiali effettuate a distanza, non è dovuta la firma del verbale da parte dei presenti. «In ogni caso» si legge nel provvedimento «il dirigente scolastico o il presidente di commissione potrà procedere, a seconda dei casi, a firmare (con firma elettronica o con firma autografa) a nome del consiglio di classe, della sottocommissione, della commissione e/o dei docenti connessi in remoto». Quest’ultima precisazione si è resa necessaria a causa del moltiplicarsi delle pretese, avanzate dai dirigenti scolastici nei confronti dei docenti, circa obblighi non dovuti di firme autografe da apporre sui verbali delle riunioni. Che rischiavano di vanificare le misure di contenimento del contagio da Coronavirus disposte dal governo. Il ministero, peraltro, ha raccomandato di utilizzare procedure che consentano di acquisire e conservare traccia della presenza e del consenso dei docenti eventualmente connessi.

Il tutto tramite la registrazione della fase di approvazione delle delibere (utilizzando la condivisione dello schermo e l’acquisizione del consenso espresso dei docenti con chiamata nominale). Raccomandazione evidentemente ultronea, atteso che la validità dei lavori è attestata dal pubblico ufficiale redattore del verbale di seduta e dall’approvazione del verbale da parte dell’organo collegiale nella seduta immediatamente successiva (tra le tante si vedano le sentenze del Consiglio di stato, V sezione 344/2003 e VI sezione 6208/2001). Quanto alla situazione dei docenti in situazione di fragilità, la circolare omette di indicare le procedure e i presupposti sostanziali per far valere il diritto alla partecipazione a distanza da parte dei soggetti che versino in tale situazione. E in ciò non aiutano nemmeno le scarne disposizioni contenute nel decreto 16 del 19 maggio scorso. Decreto con il quale la ministra dell’istruzione, Lucia Azzolina, ha recepito il protocollo d’intesa sulle linee operative per garantire il regolare svolgimento degli esami conclusivi di stato 2019/2020. Protocollo integrato da un documento tecnico che si limita a specificare quanto segue: «L’individuazione dei lavoratori fragili può essere effettuata anche dal medico di base, qualora non sia possibile ricorrere al medico competente o ai servizi Asl». Per fare chiarezza, dunque, è necessario ricorrere ad altre fonti. Anzitutto va detto che per lavoratore fragile si intende un soggetto portatore di una patologia causa di vulnerabilità di fronte all’infezione virale dal Covid-19. Ai sensi dell’articolo 26, comma 2, del decreto-legge 18/2020 l’accertamento di tale situazione spetta ai «competenti organi medico legali».

L’enunciato testuale della norma, oscuro e generico, di certo non aiuta. E quindi la presidenza del consiglio dei ministri ha dovuto spiegarne il significato con la circolare 27 marzo 2020. Citando la giurisprudenza della Suprema corte (sentenza della sezione penale 29788/17) e del Consiglio di stato (4933/16) palazzo Chigi ha chiarito che i competenti organi medico legali altro non sono se non i medici preposti ai servizi di medicina generale (cosiddetti medici di base o di famiglia) o comunque i medici convenzionanti con il sistema sanitario nazionale. Nulla di tutto questo è riportato nella circolare ministeriale e nel protocollo del 9 maggio. Ma data l’autorevolezza della fonte (palazzo Chigi) è ragionevole ritenere che per certificare lo stato di fragilità non sia necessario l’intervento del medico competente o l’attestazione della presa in carico del docente-paziente da parte del servizio sanitario nazionale. E che invece sia sufficiente un mero certificato, in formato cartaceo o informatico, rilasciato dal medico di famiglia. La circolare ministeriale chiarisce inoltre, che ai fini dell’esame di III media, la mancata trasmissione al consiglio di classe del cosiddetto elaborato «non comporta, di per sé e in automatico, il non superamento dell’esame». Non così, invece, per i candidati privatisti, per i quali la mancata trasmissione o discussione dell’elaborato comporta il mancato superamento dell’esame. Per quanto concerne, invece, l’elaborato sulle discipline di indirizzo ai fini dell’esame di maturità, il ministero ha chiarito che la relativa trasmissione da parte del candidato ai docenti delle discipline d’indirizzo per posta elettronica deve includere in copia anche l’indirizzo di posta elettronica istituzionale della scuola o di altra casella mail dedicata e non deve essere inviato via pec.

In primis il recupero debiti

da ItaliaOggi

Carlo Forte

Il ministero dell’istruzione detterà le regole per il rientro in classe in sicurezza dal 1° settembre prossimo e definirà i criteri generali per il recupero degli apprendimenti. E’ quanto si evince da due modifiche al decreto legge 22/2020, introdotte nel disegno di legge di conversione (1774) approvato in prima lettura dal senato il 28 maggio scorso. Le nuove disposizioni saranno emanate dal dicastero di viale Trastevere nella forma dell’ordinanza. E riguarderanno in primo luogo la definizione di misure concernenti l’ordinato avvio dell’anno scolastico, finalizzate anche all’ eventuale osservanza delle disposizioni in materia di distanziamento fisico.

Tutto ciò tenendo conto dell’età degli studenti, delle caratteristiche di ogni ciclo di istruzione e della capienza delle strutture scolastiche. Il ministero definirà con ordinanza anche i criteri generali dell’eventuale integrazione e recupero degli apprendimenti relativi all’anno scolastico 2019/2020. Che avverrà nel corso dell’anno scolastico successivo, a decorrere dal 1° settembre 2020, quale attività didattica ordinaria. Per quanto riguarda il distanziamento, sebbene il dispositivo non ne faccia espressa menzione, è probabile che le disposizioni ministeriali saranno emanate in attuazione di un provvedimento generale, probabilmente un decreto del presidente del consiglio dei ministri, con il quale saranno recepiti intese e protocolli riguardanti le misure necessarie per garantire la prevenzione e il contenimento del contagio da Coronavirus. L’ordinanza, dunque, dovrebbe servire a declinare in modo più dettagliato ciò che sarà definito con un regolamento governativo di carattere generale.

Quanto alle disposizioni sul recupero degli apprendimenti, la norma contenuta nel disegno di legge di conversione sembrerebbe diretta a dare copertura legale alle disposizioni già emanate dal dicastero di viale Trastevere per quanto riguarda il Pai e il Pia: due acronimi che fanno riferimento, rispettivamente, al piano di apprendimento individualizzato (Pai) e al piano di integrazione degli apprendimenti (Pia). A questo proposito, l’ordinanza sulla valutazione (11/2020) dispone che gli alunni dovranno essere ammessi alla classe successiva a prescindere dalle assenze e dal profitto. Ma se il profitto risulterà insufficiente, i docenti dovranno predisporre per ogni alunno e per ogni singola insufficienza un piano di apprendimento individualizzato.

Nel Pai dovranno essere indicati, per ciascuna disciplina, gli obiettivi di apprendimento da conseguire o da consolidare e le specifiche strategie per il raggiungimento dei relativi livelli di apprendimento. E dovrà essere allegato al documento di valutazione finale. All’esito delle valutazioni individuali, comprensive dei rispettivi Pai, i docenti dovranno individuare le attività didattiche eventualmente non svolte rispetto alle progettazioni di inizio anno e i correlati obiettivi di apprendimento. E dovranno inserirli in una nuova progettazione finalizzata alla definizione di un piano di integrazione degli apprendimenti (Pia).

Il Pia costituirà la base progettuale delle attività didattiche che riprenderanno il 1°settembre e potranno protrarsi fino alla fine del 1°trimestre o quadrimestre o anche oltre se necessario. I progetti didattici dovranno convergere necessariamente sull’esigenza prioritaria di effettuare il recupero.

Il disegno di legge di conversione prevede, inoltre, che le strategie e le modalità di attuazione delle attività di recupero dovranno essere definite, programmate e organizzate dagli organi collegiali delle istituzioni scolastiche. L’eventuale integrazione e recupero degli apprendimenti, sempre secondo quanto previsto nelle nuove disposizioni approvate dal senato, dovrà tenere conto delle specifiche necessità degli alunni delle classi prime e intermedie di tutti i cicli di istruzione. E dovrà avere come riferimento il raggiungimento delle competenze previste nelle indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione e nelle indicazioni nazionali per i licei e nelle linee guida per gli istituti tecnici e professionali.

L’ordinanza 11/2020 prevede, inoltre, che le bocciature saranno ammesse solo ed esclusivamente con voto unanime del consiglio di classe.

E solo nei casi in cui i docenti del consiglio di classe non siano in possesso di alcun elemento valutativo relativo all’alunno già perduranti e opportunamente verbalizzate per il primo periodo didattico dovute a situazioni di mancata o sporadica frequenza delle attività didattiche. E in ogni non per cause imputabili alle difficoltà legate alla disponibilità di apparecchiature tecnologiche oppure alla connettività di rete.

Il senato, però, ha introdotto nel disegno di legge 1774 un’ulteriore eccezione per gli alunni portatori di handicap. Le nuove disposizioni, infatti, danno ai dirigenti scolastici la facoltà di consentire la reiscrizione dell’alunno al medesimo anno di corso frequentato nell’anno scolastico 2019/2020.

Al via la rivoluzione delle graduatorie provinciali, dal prossimo anno i presidi daranno solo supplenze brevi

da ItaliaOggi

Carlo Forte

Al via le nuove graduatorie provinciali. I nuovi elenchi andranno in coda alle graduatorie a esaurimento. E saranno utilizzati dagli uffici per individuare gli aventi titolo alle supplenze annuali e fino al termine delle lezioni. Dalle nuove graduatorie provinciali saranno tratte anche quelle d’istituto. Che saranno utilizzate dai dirigenti scolastici per disporre le supplenze brevi e saltuarie necessarie alla sostituzione dei docenti assenti. Lo prevede il disegno di legge di conversione del decreto legge 22/2020, approvato in prima lettura dal senato il 28 maggio scorso (1774). Il provvedimento passa ora alla camera per l’ok definitivo. E se l’aula di Montecitorio lo approverà senza modifiche, diventerà legge e dispiegherà effetti.

Il dispositivo prevede, inoltre, che per il prossimo triennio le disposizioni di attuazione non saranno emanate sotto forma di regolamento, ma solo con una mera ordinanza ministeriale. La formula, atipica e irrituale, è stata individuata da palazzo Madama per ridurre al minimo i tempi di esecuzione delle nuove norme. Tempi che si impongono ristrettissimi a causa della necessità di utilizzare i nuovi elenchi già nella imminente tornata di assunzioni a tempo determinato. Che mai come quest’anno si preannuncia di dimensioni imponenti. Dovrebbero essere circa 200mila, infatti, i supplenti da assumere dal 1° settembre. L’onere delle assunzioni, peraltro, ricadrà totalmente sugli uffici scolastici. Perché le nuove regole non prevedono la possibilità per i dirigenti scolastici di provvedere alle supplenze annuali (fino al 31 agosto) e fino al termine delle attività didattiche (30 giugno). I presidi, infatti, potranno occuparsi solo delle supplenze brevi e saltuarie.

Le nuove graduatorie di istituto, peraltro, verranno costituite solo come diretta derivazione delle graduatorie provinciali. Ciò in analogia con quanto avviene per le graduatorie a esaurimento, i cui candidati hanno diritto, a domanda, a essere inseriti nella I fascia delle attuali graduatorie di istituto. Gli aventi titolo a essere inclusi nelle nuove graduatorie provinciali avranno diritto a essere inseriti anche nelle graduatorie di istituto di 20 istituzioni scolastiche. E la richiesta andrà presentata contestualmente all’inoltro della domanda di inclusione nelle nuove graduatorie provinciali.

Non è chiaro come avverrà il coordinamento tra le disposizioni regolamentari attualmente in vigore (si veda il decreto 131/2007) e le nuove regole che saranno emanate con l’ordinanza. Le nuove disposizioni prevedono, infatti, che l’ordinanza ministeriale definirà le procedure di istituzione delle graduatorie, l’individuazione e la graduazione degli aspiranti e le procedure di conferimento delle relative supplenze per il personale docente ed educativo. Ma resteranno invariate le disposizioni che regolano gli aspetti relativi alla costituzione e alla composizione dei posti da conferire a supplenza. In buona sostanza, dunque, il ministero fisserà i termini per la presentazione delle domande e le modalità di presentazione delle stesse, definirà le caratteristiche degli aventi titolo a presentare la domanda, i punteggi da assegnare e le procedure di scorrimento delle graduatorie così costituite. Nulla però viene detto sulla sorte degli aspiranti docenti attualmente inseriti nelle graduatorie a esaurimento e, per questo motivo, legittimamente inclusi nella I fascia delle graduatorie di istituto. Va detto subito che la I fascia di questa particolare tipologia di elenchi segue una disciplina diversa da quella delle graduatorie di istituto di II e III fascia. Il termine finale della vigenza della I fascia, infatti, è fissato al 31 agosto 2022 dall’articolo 9-bis del decreto ministeriale 374 del 24 aprile 2019. Mentre la scadenza delle graduatorie di istituto di II e III fascia è fissata al 31 agosto 2020. La I fascia, dunque, non dovrebbe essere interessata alle modifiche previste dal decreto-legge di conversione. Tanto più che le nuove graduatorie provinciali si configurano come graduatorie di coda rispetto alle graduatorie a esaurimento.

Dunque, per le assunzioni della fase provinciale, che vengono gestite dagli uffici scolastici, il problema non si pone: prima lo scorrimento delle graduatorie a esaurimento e poi le graduatorie provinciali di nuova costituzione. L’incognita resta, invece, per le assunzioni a tempo determinato di competenza dei dirigenti scolastici. Le nuove disposizioni, infatti, prevedono una forte restrizione del perimetro di competenza dei presidi in questa materia.

I capi d’istituto, infatti, non potranno più disporre le supplenze fino al 31 agosto e fino a 30 giugno, ma solo quelle brevi e saltuarie. Ciò potrebbe creare problemi, specie al Nord, dove le disponibilità sono tante e le graduatorie spesso incapienti, nel caso in cui le graduatorie a esaurimento e le nuove graduatorie provinciali dovessero esaurirsi. È ragionevole ritenere, peraltro, che almeno la I fascia delle graduatorie di istituto dovrebbe sopravvivere indenne all’avvento della novella anche in forza del principio di specialità.