Coronavirus, distanza di un metro tra le persone e smart working: cosa prevede il Dpcm

da Il Sole 24 Ore

di Nicoletta Cottone

Regole stringenti nel Dpcm negli 11 comuni della zona rossa. Distanza di un metro fra le persone in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna

Scompare la dizione “zone gialle” nella bozza di Dpcm che il comitato tecnico-scientifico sta valutando nell’ambito della stesura definitiva del decreto. Via libera allo smart working in tutte le regioni, nel periodo di emergenza coronavirus. Fra le curiosità nei locali aperti al pubblico in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna va garantita la distanza fra visitatori di almeno un metro, il cosiddetto criterio droplet. Ecco le misure adottate per gli undici comuni della fascia rossa, per le tre regioni dove sono stati registrati il maggior numero di casi e per il resto del Paese.

GLI 11 COMUNI ROSSI
Divieto di allontanamento

Regole stringenti per gli 11 comuni della zona rossa. La prima è il divieto di allontanamento dal territorio comunale e il divieto di accesso, scattato in Lombardia in dieci località: Bertonico, Casalpusterlengo, Castelgerundo, Castiglione d’Adda, Codogno, Fombio, Malco, San Fiorano, Somaglia, Terranova dei Passerini e in un comune del Veneto, Vò. Negli undici comuni sono sospese le manifestazioni, gli eventi, le riunioni in luoghi pubblici e privati (culturali, ludiche, sportive o religiose).

Scuole, musei e luoghi di culto chiusi
Negli 11 comuni chiuse le scuole di ogni ordine e grado, quelle di formazione superiore, comprese le università. Si può partecipare ad attività formative svolte a distanza. Sospesi anche i viaggi di istruzione. Chiusi musei, luoghi di cultura e uffici pubblici. Sospesi anche i concorsi pubblici e privati negli undici comuni.

Mascherina per frequentare i servizi essenziali
Chiuse le attività commerciali, salvo quelle di pubblica utilità. Aperti, ma frequentabili solo indossando la mascherina, i pubblici servizi essenziali e gli esercizi commerciali per l’acquisto di beni di prima necessità (con modalità e limiti indicati dal prefetto). Sospesi i servizi di trasporto di merci e di persone, terrestre o ferroviario, nelle acque interne. Compresi i servizi pubblici locali, anche non di linea. Allo stop fanno eccezione solo i beni di prima necessità e quelli deperibili, con eventuali deroghe previste dai prefetti.

Sospese le attività di imprese
Sospese le attività lavorative per le imprese, escluse quelle che erogano servizi essenziali e di pubblica utilità, compresa l’attività veterinaria o quelle che possono essere svolte a domicilio o a distanza. Sarà compito del prefetto adottare misure per garantire l’allevamento di animali e la produzione di beni alimentari e quelle legate al ciclo biuologico di piante e animali.

Stop al lavoro per residenti e domiciliati
Sospensione dal lavoro per i lavoratori residenti o domiciliati negli 11 comuni, per i quali è obbligatoria la quarantena anche se negativi al coronavirus. Il divieto di allontanamento e di accesso nei comuni “rossi” e la sospensione dalle attività lavorative non si applicano per il personale sanitario, le forze dell’ordine, i vigili del fuoco e le forze armate nell’esercizio delle funzioni.

NELLE 3 REGIONI (EX ZONE GIALLE)
La sospensione delle partite
Nelle tre regioni dove sono stati riscontrati il maggior numero di casi – Emilia Romagna, Lombardia e Veneto – sono state individuate misure ad hoc per contenere la diffusione del coronavirus, a partire dalle partite e dalle competizioni sportive fino all’8 marzo 2020. Consentiti gli allenamenti. Divieto di trasferta organizzata dei tifosi delle tre regioni per eventi che si svolgono in altre regioni. Sospesi, sempre fino all’8 marzo, le manifestazioni culturali, ludiche e sportive, come grandi eventi, cinema, teatri, discoteche, cerimonie religiose.

Chiuse le scuole fino all’8 marzo
Chiuse le scuole di ogni ordine e grado, a partire dai servizi all’infanzia. Ma anche stop a corsi professionali, master, corsi per le professioni sanitarie e università per gli anziani. Si possono svolgere, però, attività di formazione a distanza. Esclusi dai blocchi i medici in formazione specialistica e i tirocinanti delle professioni sanitarie.

Distanza di un metro fra le persone
Chiusi musei e luoghi culturali. Soppressione della chiusura in caso di fruizione contingentata, evitando assembramenti di persone, garantendo la distanza di un metro tra i visitatori. Concorsi sospesi, tranne quelli per le professioni sanitarie, compresi esami di Stato e di abilitazione all’esercizio della professione di medico chirurgo. Apertura delle attività commerciali condizionata all’adozione di modalità contingentata o in grado di evitare assembramenti, garantendo un metro di distanza fra le persone.

Accessi limitati negli ospedali
Le direzioni sanitarie ospedaliere limiteranno l’accesso ai visitatori nelle aree di degenza (indicativamente solo una persona per paziente al giorno). Limitazioni anche per l’accesso dei visitatori agli ospiti delle residenze sanitarie assistenziali per non autosufficienti. Sono sospesi i congedi ordinari del personale sanitario e tecnico e del personale necessario per le attività delle unità di crisi costituite a livello regionale.

LE REGOLE NELLE ALTRE REGIONI
La prevenzione

Il Dpcm detta regole anche a livello nazionale, per le altre regioni. Il personale sanitario deve attenersi a misure di prevenzione per evitare il diffondersi di infezioni delle vie respiratorie. Devono essere applicate le misure di sanificazione e disinfezione individuate dal ministero della Salute.

Disinfezione dei mezzi pubblici
Le aziende di trasporto anche a lunga percorrenza devono adottare interventi straordinari di sanificazione dei mezzi. Nelle scuole, nelle università e negli uffici della Pa devono essere esposte le misure igieniche di prevenzione individuate dal ministero della Salute. Nelle pubbliche amministrazioni dovranno essere messe a disposizione soluzioni disinfettanti per il lavaggio delle mani. Sarà compito di sindaci e associazioni di categoria diffondere informazioni sulle misure di prevenzione igienico sanitarie presso gli esercizi commerciali. Nei concorsi – se ne viene consentito l’espletamento – devono essere evitati gli assembramenti di persone.

Isolamento fiduciario per chi viene da zone a rischio
Isolamento fiduciario per chiunque sia entrato in Italia, nei 14 giorni che prevedono il Dpcm, dopo aver soggiornato in zone a rischio individuate dall’Organizzazione mondiale della sanità o per chi sia transitato negli undici comuni italiani della zona rossa. La persona deve effettuare una comunicazione (al medico di medicina generale, al pediatra di libera scelta o ai servizi sanitari territorialmente competenti). Si possono anche contattare i servizi pubblici tramite il 112 o il numero verde della regione di appartenenza. Uno stretto protocollo svolto da operatori sanitari accerterà la necessità di avviare la sorveglianza sanitaria e l’isolamento fiduciario. L’operatore deve accertare l’assenza di febbre e di eventuali sintomi della persona da porre in quarantena e dei conviventi. Dovrà informare la persona sui sintomi e indicare la necessità di misurare due volte al giorno la temperatura corporea.

La certificazione lavorativa
In caso di necessità di giustificare ai fini Inps l’assenza dal lavoro viene rilasciata una dichiarazione indirizzata a Inps, datore di lavoro e medico di base, in cui si dichiara che «per motivi di sanità pubblica» la persona è stata posta in quarantena. Con data di inizio e fine del periodo.

Le regole della quarantena
Chi è in isolamento domiciliare deve restare in quarantena per 14 giorni. C’è il divieto di contatti sociali, di spostamenti o viaggi. C’è l’obbligo di restare raggiungibile per le attività di sorveglianza. In caso di comparsa di sintomi deve essere subito contattato il medico di base – o il pediatra – e l’operatore di sanità pubblica. Deve essere indossata la mascherina ed è necessario allontanarsi dai conviventi. Restare in una stanza con la porta chiusa, con ventilazione naturale, in attesa del trasferimento in ospedale.

Smart working in tutto il Paese
Per la durata dell’emergenza i datori di lavoro in tutto il territorio nazionale possono applicare lo smart working anche in assenza di accordi individuali. Gli obblighi di infomativa saranno svolti telematicamente, anche ricorrendo alla documentazione sul sito Inps.

Sospesi i viaggi d’istruzionesì alla formazione a distanza
Sono sospesi in tutto il paese viaggi di istruzione, scambi e gemellaggi, visite guidate e uscite didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado per la durata dello stato di emergenza. La riammissione a scuola per assenze superiori a 5 giorni, dovute a malattia infettiva soggetta a notifica obbligatoria avverrà, fino al 15 marzo 2020, dietro presentazione di un certificato medico. I dirigenti scolastici nel perido di sospensione delle attività didattica possono attivare modalità di didattica a distanza. Idem nelle università dove le attività sono state sospese. Chiusi domenica 1° marzo istituti e luoghi di cultura. Proroga dei termini per i candidati che non hanno potuto sostenere le prove d’esame.

Controlli serrati anche nelle carceri
Possibile la riduzione dell’orario negli uffici giudiziari degli undici comuni della zona rossa. Prudenza anche per i nuovi ingressi in carcere e negli istituti penali per minorenni, in particolare per i detenuti provenienti dagli undici comuni della zona rossa.

CPIA: analisi e riflessioni sulle competenze degli adulti

da Orizzontescuola

di redazione

di Antonio Fundarò  – Pubblicato da Invalsi il «Rapporto “Scoprire i Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti: contesti, ambienti, processi»

È stato pubblicato da Invalsi il Rapporto “Scoprire i Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti: contesti, ambienti, processi. Dati dal Questionario CPIA Valu.E e dal Rapporto di autovalutazione”.

Il Rapporto illustra la sintesi dei risultati delle analisi e delle riflessioni condotte sia sui dati rilevati con il Questionario CPIA Valu.E, ossia lo strumento costruito a corredo del percorso sperimentale di autovalutazione dei CPIA volto a rilevarne i processi e il funzionamento, sia sugli indicatori elaborati per il RAV CPIA Valu.E a partire dai dati provenienti da diverse fonti in particolare relativi al contesto nel quale ciascun CPIA opera e agli esiti dell’azione formativa.

L’INVALSI ha iniziato a studiare e a osservare i Centri Provinciali di Istruzione degli Adulti (da ora in poi CPIA) a partire dal 2014, ossia dall’anno di avvio del Sistema Nazionale di Valutazione (SNV) del sistema educativo di istruzione e formazione, così come regolamentato, nel nostro Paese, dal DPR 80 del 2013.

Durante il 2014, infatti, precisa la premessa del rapporto, “è stato istituito un gruppo interistituzionale MIUR e INVALSI, composto da alcune fra quelle persone che si stavano occupando del delicato passaggio dai Centri Territoriali Permanenti ai Centri Provinciali di Istruzione degli Adulti.

L’obiettivo del gruppo era quello di riflettere e provare a individuare quegli aspetti che, nel tempo, sarebbero potuti diventare rilevanti per il Sistema Nazionale di Valutazione nel segmento specifico dell’istruzione degli adulti. In generale però, il riordino dei Corsi serali e dell’Istruzione degli adulti era, allora, un evento ancora troppo recente per aver già determinato un’articolazione chiara di come nel concreto tale segmento si sarebbe dispiegato sui territori e tale da poter permettere di individuare gli elementi da valutare per la qualità del servizio stesso.

Nonostante questo, il gruppo interistituzionale ha prodotto alcuni documenti di lavoro nella consapevolezza che solo da lì a qualche anno questi avrebbero potuto contribuire alla riflessione sulla definizione dei criteri per valutare la qualità di un ‘buon CPIA’ e lo avrebbero fatto appena l’opportunità si sarebbe ripresentata. Tale occasione si è concretizzata all’inizio del 2018 quando l’INVALSI prende parte all’Assemblea dei Centri di Ricerca, Sviluppo & Sperimentazione dei CPIA (CRS&S) per avviare una riflessione sui percorsi di autovalutazione da attivare in quel segmento, in coerenza con quanto previsto dal Sistema Nazionale di Valutazione.

L’attenzione di policy makers e operatori su questo segmento dell’istruzione nel nostro Paese si è notevolmente innalzata anche a seguito della pubblicazione degli esiti dall’indagine comparativa internazionale OECD – PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) per la valutazione delle competenze degli adulti fra i 16 e i 65 anni, realizzata in 24 paesi d’Europa, Asia e America fra il 2011 e il 2012.

Gli esiti dell’indagine hanno mostrato come il nostro Paese sia il fanalino di coda dei 24 considerati: in literacy l’Italia è ultima con 250 punti, a fronte di una media OECD di 273, ed è penultima in numeracy. Circa il 70% della popolazione italiana considerata presenta una distribuzione delle competenze spostata verso il basso, ossia pari al Livello 2 o inferiore; altri paesi hanno porzioni sopra al 50% della popolazione che mostrano competenze al Livello 2 o inferiore, ad esempio la Spagna, la Francia e la Polonia, eppure non raggiungono l’elevata percentuale italiana. Giappone, Finlandia e Paesi Bassi hanno, al contrario, la più alta percentuale di popolazione adulta che si colloca al Livello 3 o superiore, rispettivamente il 72 %, il 62,9% e il 60,9%.

Il nostro Paese ha inoltre il primato di avere una percentuale prossima allo 0 di popolazione adulta collocata nel Livello 5 (ossia quello più alto), e quello di avere il 6% sotto il Livello 1 con una media OECD – PIAAC del 3%.

La Finlandia è il paese dove si osserva la percentuale maggiore di adulti collocati nel Livello 5 ossia il 2,2% della popolazione, mentre ha solo l’1% della popolazione adulta sotto il Livello 1.

I dati mostrano, quindi, in tutta la loro asprezza, la condizione delle competenze di base possedute dagli adulti nel nostro Paese.

Contestualmente, gli esiti della ricerca PIAAC svelano come la partecipazione degli italiani ai percorsi di apprendimento rivolti agli adulti sia la più bassa se posta a confronto con quella degli altri paesi partecipanti all’indagine (solo il 24% della popolazione ha partecipato a percorsi di formazione permanente a fronte del 52% della media OECD); la partecipazione, inoltre, diminuisce con il crescere dell’età.

Considerando che, dal punto di vista delle competenze, lo svantaggio di chi ha un titolo di studio basso può essere colmato da attività formative svolte anche successivamente e che l’avervi partecipato contribuisce in modo sostanziale al mantenimento dei livelli di competenze in età più matura, il fatto che lo si faccia poco nel nostro Paese può essere considerato un dato sconfortante.

Ancor di più se si osserva il dato disaggregato per le diverse macro-aree: nel Sud e nelle Isole la partecipazione è davvero esigua, laddove invece sarebbe necessario investirvi maggiormente dato che, proprio in quelle aree del Paese, l’effetto della formazione in età adulta sembra avere esito positivo anche e soprattutto sui livelli più bassi delle competenze.

La formazione e l’istruzione permanente, così come quella continua, dovrebbero essere infatti considerate come quelle tipologie di percorsi cui possono accedere tutte le cittadine e i cittadini adulti.

L’istruzione permanente ha a che fare con l’acquisizione delle competenze di base generali come ad esempio l’apprendimento della lingua italiana per i migranti in ingresso non solo nel mondo del lavoro, ma nella nostra società più in generale, mentre la formazione permanente è legata alle competenze pre-professionalizzanti, per l’inserimento nel mondo del lavoro (ISFOL, 2013).

Più in generale, come si legge nel sito di Europa Lavoro (Ministero del Lavoro e delle politiche sociali), la formazione permanente (lifelong learning) è il “processo di apprendimento che dura tutto l’arco della vita. Con questo concetto si indica un principio di strutturazione dei sistemi educativi e formativi (formali, nonformali e informali) ai quali si riferiscono gli individui durante il corso della loro vita, con l’obiettivo di incrementare le proprie conoscenze, le capacità e le competenze per la crescita personale, civica e sociale o anche a scopo professionale.”

Nella formazione continua rientrano le attività di formazione sul lavoro, maggiormente legate all’aggiornamento/perfezionamento e alla riqualificazione professionale del lavoratore in termini di sviluppo e integrazione di competenze già acquisite verso gli aspetti maggiormente innovativi (tecnologici e organizzativi) della propria occupazione, o in caso di disoccupazione/reinserimento lavorativo.

La formazione continua è prevista anche nel privato attraverso l’utilizzo dei Fondi interprofessionali e l’implementazione da parte delle imprese. I percorsi di istruzione permanente di primo e secondo livello e i percorsi di alfabetizzazione e di apprendimento della lingua italiana nel nostro Paese sono appunto erogati dai Centri provinciali di istruzione degli adulti (CPIA), a riordino dei Corsi serali, e dell’Istruzione degli adulti in generale, così come in precedenza organizzati.

A giugno 2015 veniva, infatti, pubblicato il decreto di trasmissione delle Linee guida per il passaggio al nuovo ordinamento a sostegno dell’autonomia organizzativa e didattica dei nuovi centri, articolati in reti di servizio, di norma, su base provinciale.

Si legge nelle Linee guida (2015:11) che “I Centri realizzano un’offerta formativa finalizzata al conseguimento della certificazione attestante il livello di istruzione corrispondente a quello previsto dall’ordinamento vigente a conclusione della scuola primaria; di titoli di studio di primo e secondo ciclo; la certificazione attestante l’acquisizione delle competenze di base connesse all’obbligo di istruzione; del titolo attestante il raggiungimento di un livello di conoscenza della lingua italiana non inferiore al livello A2 del Quadro Comune Europeo di Riferimento per la conoscenza delle lingue”.

I CPIA sono organizzati come vere istituzioni scolastiche e sono autonomi; hanno però un’articolazione interna piuttosto complessa e che vale la pena di descrivere al fine di provare a comprendere, nel concreto, che tipo di azioni vi sono svolte.

Essendo una rete territoriale di servizio si articola in tre livelli, ossia: A) unità amministrativa: i CPIA si articolano in sede centrale e punti di erogazione (sedi associate) di percorsi di primo livello e di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana; B) unità didattica: i CPIA stipulano accordi di rete con le istituzioni scolastiche che erogano percorsi di secondo livello per gli adulti, anche al fine di raccordare quelli di primo a quelli di secondo livello; C) unità formativa: i CPIA, per ampliare l’offerta formativa, stipulano accordi di rete con enti locali e soggetti sia pubblici sia privati al fine di integrare/arricchire/favorire il raccordo tra tipologie differenti di percorsi di istruzione e formazione. Infine, i CPIA svolgono attività di ricerca sul tema dell’istruzione degli adulti.

Se da un lato il CPIA rappresenta un chiaro punto di riferimento istituzionale per l’“accoglienza, orientamento e accompagnamento rivolto alla popolazione adulta con particolare riferimento ai gruppi svantaggiati” (Linee guida, 2015:14), dall’altro questo segmento del nostro sistema di istruzione è chiamato ad attuare la valorizzazione del patrimonio culturale e professionale della persona, a partire dalla ricostruzione della sua storia individuale, veicolata dal Patto formativo individuale, stipulato da una Commissione nominata dallo stesso CPIA, e certificata attraverso lo strumento del Libretto individuale. Compiti cruciali, delicati, cui dedicare attenzione e cura.

Infatti, i Dirigenti scolastici e le comunità professionali dei CPIA hanno – ogni giorno – una sfida molto grande da affrontare, cercando di convivere con la complessità di un’organizzazione siffatta e provando a rispondere alle richieste di un’utenza variegata in contesti fra loro molto differenti, percorrendo una strada non sempre lineare nell’elaborazione di una propria identità, a partire dalla sedimentazione di parole e pratiche condivise fra gli operatori.

Nei fatti, i CPIA sono le scuole più ‘giovani’ – e meno conosciute – dall’utenza, dall’opinione pubblica e talvolta – drammaticamente – dagli enti locali del nostro Paese.

E questi aspetti, via via che è stato necessario comprendere tale realtà per delineare quegli aspetti di qualità che sarebbero andati a definire il quadro di riferimento per l’elaborazione del format del Rapporto di autovalutazione per i CPIA, sono emersi con chiarezza durante il lavoro condotto con i CRRS&S in questi due anni di lavoro.

Tuttavia, rappresentare l’atto normativo di costituzione di ‘nuove’ istituzioni scolastiche più attuale del nostro Paese, si configura, come una grande opportunità, grazie all’esplicitazione nella norma di alcuni concetti chiave connaturati alla struttura stessa dei CPIA, ossia quelli di ‘ricerca’ (la progettazione e implementazione di un piano triennale della ricerca), ‘rete’ (la rete territoriale di servizio) e ‘innovazione didattica e organizzativa’ (ad esempio le classi di livello, le unità di apprendimento, la progettazione della aule Agorà) che chiedono di essere resi esigibili.

Il lavoro condotto insieme con i CPIA per l’elaborazione degli strumenti a corredo del loro percorso di autovalutazione, è andato nella direzione di rendere esigibili questi rilevanti elementi, grazie anche al confronto con i Nuclei di consulenza e supporto alla Rete nazionale dei CPIA composti da esperti e accademici di tutto il Paese.

Infatti, per la prima volta, l’Italia è presente nel 4th Global Report on Adult Learning Education (GRALE) dell’UNESCO, pubblicato il 5 dicembre 2019, anche grazie alla elaborazione del RAV CPIA del progetto PON Valu.E. RAV for CPIA, l’azione sperimentale che abbiamo sviluppato all’interno del progetto PON Valu.E cofinanziato con Fondo Sociale Europeo, si compone di tre attività di ricerca, ossia: a) costruire un RAV per i CPIA; b) innovare gli strumenti; c) elaborare un percorso di supporto. Per il gruppo di ricerca INVALSI del progetto PON Valu.E costruire un RAV per i CPIA ha significato avviare uno studio allo scopo di adattare il format del Rapporto di Autovalutazione delle scuole cosiddette ‘del mattino’ alle peculiarità di questo segmento formativo.

Da subito abbiamo scelto di adottare una metodologia di ricerca azione partecipata per concretizzare la collaborazione fra i ricercatori INVALSI e le comunità professionali dei CPIA coinvolte nel progetto, favorendo il dialogo. Infatti, questo tipo di percorso permette di svolgere un’indagine sistematica dei bisogni e delle aspettative dei soggetti coinvolti, per un’azione volta al cambiamento in quanto i partecipanti sono i primi beneficiari della conoscenza prodotta.

In un certo senso elaborare un quadro di riferimento per la qualità dei CPIA ha rappresentato un processo di presa di coscienza, sia per i ricercatori che per i beneficiari, degli elementi di forza su cui puntare e di quelli di fragilità da migliorare.

L’obiettivo della ricerca infatti è stato duplice: da un lato la concreta elaborazione del RAV, degli strumenti a corredo (il Questionario CPIA Valu.E) e la costruzione di conoscenza e di banche dati attendibili; dall’altro lo sviluppo di modalità di apprendimento auto-riflessivo per i soggetti coinvolti. Elaborare un percorso di supporto per i dirigenti scolastici e i docenti coinvolti nei Nuclei di Autovalutazione è stata una sfida necessaria, rilevante per il buon esito delle azioni messe in campo.

Da subito abbiamo capito quanto fosse utile elaborare una modalità di ‘formazione’ al RAV che avvenisse attraverso l’azione e che stimolasse l’estrapolazione e la co-costruzione dei significati all’interno della comunità scolastica, con un approccio esattivo, grazie al confronto metodologico e al feedback dell’INVALSI, in collaborazione con il Nucleo di consulenza e supporto.

Data l’esigenza emersa di condividere parole e disambiguare concetti, abbiamo progettato l’elaborazione di un Glossario per le parole del RAV che, coinvolgendo le reti dei CPIA che fanno capo ai diversi CRRS&S, sfocerà in una pubblicazione a corredo del RAV.

Ancora molto c’è, però, da fare, consapevoli che è necessario costruire una narrazione pubblica dei CPIA, mostrandone gli ambienti, i volti, le strutture.

La sfida che cercheremo di affrontare negli anni a venire sarà quella di estendere il RAV alle sedi operative di II livello e a quelle carcerarie, a conoscere in modo approfondito chi sceglie di insegnare nei CPIA e chi vi si rivolge con la speranza di rendere esigibile il proprio Patto formativo individuale.

Alcune considerazioni finali “L’istruzione degli adulti in Italia ha l’obiettivo di favorire l’inclusione sociale, la cittadinanza attiva e lo sviluppo della persona, nel quadro degli obiettivi già definiti in sede europea: ottenere tra la popolazione il 15% di partecipazione all’apprendimento degli adulti, portare al 40% la percentuale di giovani in possesso di qualifiche dell’istruzione terziaria o di livello equivalente, ridurre a meno del 10% la percentuale di persone che abbandonano prematuramente l’istruzione secondaria e la formazione nelle scuole professionali regionali.” (Fioramonti, 2019: 105-106).

I CPIA (i Dirigenti scolastici, i docenti, il personale ATA e quello esterno) si trovano ad affrontare quotidianamente il tipo di sfide sopra descritte, dovendo agire localmente e in prossimità dei luoghi ove si determinano i divari e le differenze nel nostro Paese, trovandosi responsabilmente a riflettere sulle tematiche relative al Tailored Learning (l’apprendimento ‘tagliato su misura’ come definito dal CEDEFOP) – che in Italia si concretizza nel Patto formativo individuale – cercando continuamente di coniugare aspetti scientifici e teorici con la realtà concreta dell’utenza e i bisogni formativi da essa espressi.

Un compito molto difficile, ancor di più vista la condizione delle competenze di base possedute lungo lo stivale dalla popolazione adulta, come mostrato dalla ricerca OECD PIAAC, illustrata in alcuni esiti salienti nell’Introduzione di questo Rapporto.

Ma se, come sottolineato nella Postfazione della pubblicazione L’istruzione degli adulti in Italia. I CPIA attraverso la voce dei loro attori di Borri e Calzone edita nel 2019, la realtà dei centri è in grado di offrire nella sostanza questa possibilità, rappresentando un luogo fisico di elaborazione all’interno del panorama scientifico di settore data la struttura di ricerca insita nella norma che li istituisce, altrettanto chiaramente appare il quadro di un’organizzazione del quotidiano molto complesso. E quanto emerge da questo Rapporto, Scoprire i Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti: contesti, ambienti, processi. Dati dal Questionario CPIA Valu.E e dal Rapporto di autovalutazione, è in coerenza con gli esiti dalla ricerca di Borri e Calzone.

Questi punti di debolezza “condivisi a livello nazionale” e che sono in particolare. “la difficoltà concreta di avere spazi adeguati, così come la mancanza percepita di un’identità forte, come istituzione scolastica riconosciuta sul territorio” si collocano all’interno di un bisogno stringente nel nostro Paese di “una cultura condivisa sul tema dell’istruzione degli adulti e del suo più ampio contesto di riferimento che è l’apprendimento permanente” (Fioramonti, 2019: 110-111).

Come abbiamo già avuto modo di scrivere, la formazione e l’istruzione permanente, così come quella continua dovrebbero rappresentare strutturalmente quel genere di percorsi cui possono accedere tutte le adulte e gli adulti del nostro Paese per un pieno esercizio della cittadinanza.

I CPIA raffigurano, de facto, questa opportunità, seppur ancora misconociuta all’opinione pubblica e talvolta, drammaticamente, agli enti locali e alle istituzioni cui essi devono rapportarsi.

Contribuire quindi – per quanto possibile – alla costruzione dell’identità di queste istituzioni scolastiche è stato per il progetto Valu.E, durante il percorso di elaborazione e strutturazione dei processi di autovalutazione per i CPIA, un obiettivo cogente da raggiungere.

Insieme con i dirigenti scolastici e i docenti dei Centri di Ricerca, Sperimentazione e Sviluppo e, con loro, la rete dei CPIA provinciali disseminati nel nostro Paese, abbiamo svolto un’indagine sistematica dei bisogni – e delle aspettative – sottesi a ogni percorso di individuazione degli aspetti di qualità del servizio, grazie all’estrapolazione e cocostruzione dei significati de le parole del RAV emersi dalla comunità scolastica stessa, in un processo di presa di coscienza degli elementi di forza su cui puntare e di quelli di fragilità da migliorare.

Coloro che hanno partecipato a questo processo sono stati i primi beneficiari della conoscenza prodotta, inclusi noi ricercatori.

Del resto, questa prospettiva si colloca all’interno di un orizzonte teorico chiaro, rappresentato, come ricordato nel Capitolo 1 di questo Rapporto, dall’approccio alla valutazione “costruttivista del processo sociale” (Stame, 2016), volto a comprendere la situazione attraverso le interpretazioni che ne danno gli attori e a potenziare le “capacità dei beneficiari di utilizzare il programma per meglio gestire le proprie attività e per favorire un processo di apprendimento” (Stame, 2016: 40), stressando gli elementi conoscitivi e contestualizzati del processo valutativo stesso.

Il quadro che emerge dalla miniera di dati che abbiamo qui a disposizione può contribuire a creare una ‘narrazione’ pubblica concreta dei CPIA, cominciando a offrire indicazioni sugli ambienti, sulle strutture, sugli operatori, sugli studenti.

La narrazione che ne emerge però non è standard – dovremmo, infatti, parlare di ‘narrazioni’ – e non lo potrebbe essere perché davvero molto di ciò che avviene nella rete territoriale di servizio in cui il CPIA si configura strutturalmente può dipendere dal contesto concreto in cui opera, anzi ad esso e con esso è chiamato a misurarsi e a offrire risposte tailored.

Non è dunque di ‘un’ CPIA di cui stiamo parlando: siamo provando a dar conto ‘dei’ CPIA, seppur nelle limitate e rigide regole dei confronti territoriali per macro-area che ci possono offrire solo alcune indicazioni di tendenza, nella consapevolezza che non possono restituirci la piena varietà che, piuttosto, abbiamo incontrato nell’esplorazione dei dati.

Possiamo però intanto provare a dire che abbiamo individuato nella lettura di queste informazioni almeno due accezioni di un’‘identità’ inclusiva di queste istituzioni scolastiche, entrambe altrettanto rilevanti nel nostro Paese, peraltro non mutuamente esclusive.

Se è vero che i CPIA istituzionalmente sono reti di servizio territoriali, costruire reti con le altre scuole e con i diversi attori presenti sul territorio (siano essi pubblici, privati e del terzo settore) è emblematico dell’identità di queste istituzioni scolastiche.

Nonostante le grandi difficoltà strutturali, che rendono difficile l’esigibilità di tali processi, i dati in nostro possesso, come illustrato nel Capitolo 2, mostrano lungo tutto lo stivale l’impegno dei CPIA nella realizzazione di reti, sia grazie ad accordi di primo e secondo livello sia perché promosse a livello di singolo istituto con gli attori presenti sul territorio considerati strategici

Le diverse specificità dei contesti in cui operano i CPIA emergono, però, se teniamo conto della numerosità e tipologia di tali accordi: da un lato, è possibile osservare una tendenza dei CPIA del Nord Italia a scegliere di stringere accordi con il sistema della formazione professionale e con gli enti locali per proporre un’offerta formativa in grado di rispondere alla necessità di un bacino d’utenza perlopiù straniera ma maggiormente stabile e che ha bisogno di certificazioni e qualifiche spendibili nel lavoro. o nella sua ricerca.

Dall’altro, i centri del Sud del nostro Paese sembrano rivolgersi a un’utenza più vulnerabile come, ad esempio, i minori stranieri non accompagnati, i NEET e la popolazione detenuta, facendosene carico, occupandosi anche della promozione del benessere psico-sociale e dell’inclusione di questi studenti.

Queste due accezioni di un‘identità inclusiva non sono mutuamente esclusive e, tuttavia, delineano una risposta chiara e inequivocabile che i CPIA sono chiamati a dare ai propri contesti, costruendo con coerenza la propria organizzazione, prioritariamente – e inevitabilmente – intorno a questa ‘identità’.

Tale identità però, pur essendo netta e chiara, deve compiere ancora alcuni passi per dirsi completamente delineata. Infatti, un aspetto che coglie elementi di criticità nel servizio offerto ha a che fare con l’effettivo conseguimento dei titoli o certificazioni o attestazioni da parte degli studenti al termine dei percorsi ordinamentali e dei corsi/attività di ampliamento dell’offerta formativa.

A titolo di esempio e rimandando al Capitolo specifico di questo Rapporto, a livello nazionale, solo il 18% di coloro che frequentano un percorso di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana consegue il titolo finale attestante la conoscenza della lingua pari al livello A2.

Sicuramente il tema della mancata esigibilità dei titoli/certificazioni/attestati sarà uno fra quelli che necessiterà di un approfondimento specifico, in quanto, con le informazioni attuali, non siamo in grado di individuarne le cause.

Il fenomeno però merita una repentina attenzione perché, ad esempio, sappiamo che la già esigua percentuale di coloro che conseguono il titolo finale della lingua pari al livello A2, lo è ancora di più laddove la frequenza straniera è elevata. Del resto è utile ricordare, a tal proposito, come solo il 27% dei docenti dei CPIA ha avuto la possibilità di formarsi sull’inclusione degli studenti con cittadinanza non italiana, nell’anno scolastico rilevato. In queste brevi considerazioni conclusive, proviamo a dare conto di una seconda ‘identità’. Questa ha che fare con la capacità dei CPIA di costruire ed elaborare un’offerta formativa in grado di rispondere anche alle esigenze della popolazione adulta con cittadinanza italiana e, dunque, di essere attrattivi per quella tipologia d’utenza.

E tuttavia tale identità è molto sfocata nei dati. Infatti, abbiamo visto come mediamente il 71% della popolazione studentesca dei CPIA sia costituita da cittadini non italiani (seppur con differenze evidenti nelle diverse macro-aree del Paese).

Pur rimandando agli approfondimenti del Capitolo 2 di questo Rapporto, sappiamo quanto ciò incida sulla tipologia di patti formativi individuali sottoscritti con una netta prevalenza dei percorsi di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana (per oltre il 70%) e solo in misura minore dei percorsi di primo livello – primo periodo didattico (22%) e percorsi di primo livello – secondo periodo didattico (6%). Come emerge nel Capitolo 6 di questo Rapporto, a livello nazionale è osservabile una difficoltà ad avviare i percorsi di primo livello secondo periodo didattico, in quanto l’offerta formativa sembra realizzarsi prevalentemente a partire dalle esigenze di quella che oggi rappresenta la popolazione studentesca maggiore nei CPIA del nostro Paese, ossia quella straniera. Su tutto il territorio nazionale è anche scarso l’ampliamento dell’offerta formativa; si evince dai dati come esso sia prevalentemente orientato a offrire corsi/attività rivolti a un’utenza perlopiù straniera, non raggiungendo eventuali altri bisogni formativi, potenzialmente espressi dal territorio.

In generale quindi i dati mostrano un limitato accesso ai CPIA da parte degli italiani adulti. Tuttavia, con le conoscenze attualmente in nostro possesso, non possiamo esprimerci su quali siano le possibili cause di tale mancato accesso e quali condizioni, piuttosto, potrebbero favorirlo.

E’ auspicabile che questi aspetti possano rappresentare un ulteriore momento di riflessione per individuare soluzioni tali da rimuovere gli eventuali ostacoli, promuovendo con maggiore efficacia la partecipazione di tutta la popolazione adulta a questo segmento dell’istruzione.

La terza ‘identità’ dei CPIA è legata alle innovazioni che la norma introduce in tema di organizzazione e didattica, perlopiù fortemente interconnesse istituzionalmente nella elaborazione delle UDA e la loro concreta messa in campo.

Nel provare a scorgere i tratti di questa ‘identità’ è necessario non sottovalutare il contesto in cui essa potrebbe esprimersi e, in particolare, l’impatto che alcune scelte compiute dal decisore politico hanno sulla sua concreta definizione, data la richiesta istituzionale di esigibilità e assolvimento di tali compiti.

Pensiamo, ad esempio, all’impatto, dal punto di vista organizzativo, del transito in un CPIA di un elevato numero di studenti stranieri inviati dalle Prefetture affinché utilizzino le strutture dei centri per sottoporsi al test di conoscenza della lingua, necessario per il rilascio del permesso di soggiorno (mediamente circa 600 per CPIA).

Non è difficile immaginare come sia complesso per un CPIA avere un organico e una struttura effettivamente rispondenti a queste numerosità quando è necessario dare seguito a tali disposizioni e come queste rischino di trasformarsi in ostacoli per la corretta implementazione di azioni di innovazione quali quelle previste dalla norma, come ad esempio la costituzione di classi per gruppi di livello che richiederebbero un’attenzione alla numerosità degli studenti nonché una stabilità di tali numerosità.

Se cerchiamo poi di scorgere l’identità innovativa dei CPIA a partire dai dati che dovrebbero definirla, osserviamo lo scarsissimo utilizzo di tutti gli strumenti di formazione a distanza (FAD), o la presenza di solo due Aule Agorà (di cui solo una realmente attiva) su tutto il territorio nazionale.

Tali strumenti sono stati plausibilmente identificati dalla norma per permettere una maggiore conciliazione dei tempi di un adulto in formazione. Nel concreto però rileviamo come, ad esempio, il personale docente solo nel 30% dei casi ha avuto la possibilità di formarsi sulla FAD o sulla progettazione per UDA, in palese 142 contraddizione con ciò che ci si aspetterebbe.

Per concludere, come ampiamente descritto nel Capitolo 7 di questo Rapporto, «la molteplicità di culture, stati fisici, cognitivi ed esperienziali che caratterizza l’utenza, la pluralità delle fasce di età unitamente alla complessità degli spazi fanno dei CPIA una possibilità concreta di sperimentazione dell’inclusione, nella sua accezione sistemica più ampia» (ivi, p. 131).

Di fatto il CPIA, per come è pensato, potrebbe contribuire al superamento della logica del bisogno individuale, verso la predisposizione delle condizioni per valorizzare le potenzialità di ciascuno, rimuovendo gli ostacoli che ne limitano la partecipazione. E per farlo, potenzialmente, ha a disposizione molteplici strumenti (la personalizzazione del percorso didattico, la flessibilità organizzativa; la molteplicità di attività che consentono il recupero e il potenziamento; la possibilità di fruire a distanza di una parte del percorso di studio; l’attività di tutoring, ecc.).

Dai dati emerge però come le potenzialità inclusive dei CPIA non siano ancora compiutamente realizzate, anche perché dalla loro istituzione, storicamente, hanno dovuto farsi carico delle molteplici problematiche dei propri territori, talvolta determinate dai recenti flussi migratori, fronteggiando – talvolta in solitudine -un’emergente necessità di inclusione sociale.

Questi aspetti possono aver determinato una difficoltà nell’attrarre anche altra utenza che dovrebbe essere considerata d’elezione per i CPIA, come ad esempio gli studenti con disabilità la cui partecipazione è messa in discussione anche dalla scarsa certezza delle risorse a loro favore e dalla mancata possibilità di poter fruire realmente a distanza di parte del percorso previsto su quasi tutto il territorio nazionale.

Sembra quindi sempre più necessario puntare su una formazione continua che porti a una diffusa sensibilizzazione e conoscenza sul tema dell’istruzione degli adulti; i CPIA stanno già realizzando questa azione di sistema. È nostro compito ascoltarli e sostenerli, come si sottolinea nelle conclusioni del rapporto stesso.

Coronavirus, da salvaguardia anno scolastico a rimborsi viaggi istruzione. Quadro apertura e chiusura scuole

da Orizzontescuola

di redazione

comunicato Ministero – Dalla salvaguardia dell’anno scolastico nelle zone dove le scuole sono chiuse per l’emergenza coronavirus, passando per i rimborsi per i mancati viaggi di istruzione e le disposizioni per le studentesse e gli studenti i cui atenei hanno sospeso le attività didattiche. Sono le ultime misure adottate dal governo in queste ore a seguito dell’emergenza coronavirus per scuola e università.

Il decreto legge

Nella serata di venerdì è stato approvato in Consiglio dei Ministri il decreto-legge che introduce “nuove misure di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”.

Per la scuola, il decreto ha previsto che sarà comunque ritenuto valido l’anno scolastico per tutti coloro che, a seguito delle misure di contenimento del coronavirus, non potranno raggiungere il minimo dei 200 giorni di lezione.

Per quanto riguarda i rimborsi relativi ai viaggi di istruzione, sospesi fino al prossimo 15 marzo, oltre la possibilità di esercitare il diritto di recesso ai sensi del Codice del turismo, il decreto ha previsto espressamente anche il riferimento normativo all’articolo 1463 del codice civile in tema di impossibilità sopravvenuta, in modo da rendere più facili i rimborsi.

Infine, è prevista una tutela specifica del diritto al lavoro per tutti quei dipendenti delle ditte di pulizia delle scuole che sono stati internalizzati con apposita procedura nelle scorse settimane. La firma del loro contratto e la presa di servizio, che sarebbero dovute avvenire il prossimo primo marzo presso le scuole di riferimento, si terranno il giorno 2 marzo presso gli uffici territoriali del Ministero, nei territori dove le scuole risultino ancora chiuse per l’emergenza coronavirus.

Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri

Firmato anche il Dpcm di coordinamento delle misure prese per contenere la diffusione del COVID-19.

Confermata la sospensione fino al prossimo 15 marzo di tutti i viaggi d’istruzione, delle iniziative di scambio o gemellaggio, delle visite guidate e delle uscite didattiche. La disposizione è valida per le scuole di tutto il Paese.

Confermata la necessità del certificato medico per la riammissione a scuola dopo assenze di durata superiore a cinque giorni dovute a malattia infettiva soggetta a notifica obbligatoria. Possibile la didattica a distanza nei territori dove le scuole sono chiuse per l’emergenza coronavirus.

Le attività didattiche o curriculari delle Università e delle Istituzioni di Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica dove la frequenza è interrotta a causa dell’emergenza sanitaria possono essere svolte, dove possibile, con modalità a distanza, individuate dalle stesse Università e Istituzioni Afam, tenendo anche conto delle specifiche esigenze degli studenti con disabilità. Il percorso didattico dovrà comunque essere salvaguardato recuperando dove necessario le attività e le prove di verifica.

Il quadro di aperture e chiusure delle scuole e dei provvedimenti adottati

Secondo il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri adottato questa sera:

🔹In Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto, nelle province di Pesaro-Urbino e Savona l’attività didattica è sospesa fino all’8 marzo.

🔹Restano chiuse le scuole nei Comuni della cosiddetta “zona rossa” (nella Regione Lombardia: Bertonico, Casalpusterlengo, Castelgerundo, Castiglione D’Adda, Codogno, Fombio, Maleo, San Fiorano, Somaglia,Terranova dei Passerini; nella Regione Veneto: Vò).

🔹Liguria (fatta eccezione per l’area di Savona dove la chiusura delle scuole durerà fino all’8 marzo) e Piemonte hanno comunicato che le attività didattiche sono sospese fino a mercoledì 4 marzo.

🔹In Friuli Venezia Giulia la sospensione delle attività didattiche è stata prevista fino al giorno 8 marzo.

🔹Nelle altre Regioni le attività riprenderanno regolarmente già da domani.

Coronavirus, ecco cosa accadrà a scuola da lunedì 2 marzo. La situazione regione per regione

da La Tecnica della Scuola

L’emergenza coronavirus continua e divide l’Italia in tre parti, almeno fino all’8 marzo. Una zona rossa (in Lombardia i comuni di Bertonico, Casalpusterlengo, Castelgerundo, Castiglione D’Adda, Codogno, Fombio, Maleo, San Fiorano, Somaglia, Terranova dei Passerini; in Veneto il comune di Vò), una zona gialla (l’Emilia Romagna, la Lombardia, il Veneto, le province di Pesaro e Urbino, Savona) e tutto il resto d’Italia.

Coronavirus, cosa accade a scuola, regione per regione

Attività didattica sospesa da lunedì 2 marzo a domenica 8 marzo

Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, provincia di Savona e provincia di Pesaro e Urbino.

Attività didattica sospesa fino a martedì 3 marzo

Liguria e Piemonte

Il presidente della Regione Piemonte ha già chiarito che solo nella giornata di martedì 3 marzo si deciderà se a partire da mercoledì le scuole della regione riapriranno o se verrà confermato il provvedimento di sospensione delle attività didattiche.

CLICCA QUI per l’ultima bozza del decreto (ore 20.00 del 1° marzo)

Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dpcm) è stato adottato, in attuazione del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, su proposta del Ministro della salute, Roberto Speranza, sentiti i Ministri competenti e i Presidenti delle Regioni, e tiene conto delle indicazioni formulate dal Comitato tecnico-scientifico appositamente costituito.

Il testo distingue le misure sulla base delle aree geografiche d’intervento.

1. Misure applicabili nei comuni della “zona rossa” (Bertonico; Casalpusterlengo; Castelgerundo; Castiglione D’Adda; Codogno; Fombio; Maleo; San Fiorano; Somaglia; Terranova dei Passerini; Vo’)

Per tali comuni si stabilisce quanto segue:

  • il divieto di accesso o di allontanamento dal territorio comunale;
  • la sospensione di manifestazioni, di eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo e religioso;
  • la chiusura dei servizi educativi per l’infanzia e delle scuole di ogni ordine e grado, nonché delle istituzioni di formazione superiore, comprese le Università e le Istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica, ferma la possibilità di svolgimento di attività formative a distanza;
  • la sospensione di viaggi di istruzione in Italia o all’estero fino al 15 marzo;
  • la sospensione dei servizi di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura;
  • la sospensione delle attività degli uffici pubblici, fatta salva l’erogazione dei servizi essenziali e di pubblica utilità, nelle modalità e nei limiti indicati dal prefetto;
  • la sospensione delle procedure concorsuali pubbliche e private, indette e in corso negli stessi comuni;
  • la chiusura di tutte le attività commerciali, ad esclusione di quelle di pubblica utilità, dei servizi pubblici essenziali e degli esercizi commerciali per l’acquisto dei beni di prima necessità, nelle modalità e nei limiti indicati dal prefetto;
  • l’obbligo di accedere ai servizi pubblici essenziali e agli esercizi commerciali per l’acquisto di beni di prima necessità indossando dispositivi di protezione individuale o adottando particolari misure di cautela individuate dall’azienda sanitaria competente;
  • la sospensione dei servizi di trasporto di merci e di persone, anche non di linea, con esclusione del trasporto di beni di prima necessità e deperibili e fatte salve le eventuali deroghe previste dai prefetti;
  • la sospensione delle attività lavorative per le imprese, ad esclusione di quelle che erogano servizi essenziali e di pubblica utilità, ivi compresa l’attività veterinaria, nonché di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare o a distanza;
  • la sospensione dello svolgimento delle attività lavorative per i lavoratori residenti o domiciliati, anche di fatto, nel comune o nell’area interessata, anche ove le stesse si svolgano al di fuori dell’area.

Negli stessi comuni, il prefetto, d’intesa con le autorità competenti, può individuare specifiche misure finalizzate a garantire le attività necessarie per l’allevamento degli animali e la produzione di beni alimentari e le attività non differibili in quanto connesse al ciclo biologico di piante e animali.

Infine, negli uffici ricompresi nei distretti di Corte di appello cui appartengono i comuni della “zona rossa”, sino al 15 marzo 2020, si prevede la possibilità, per i Capi degli uffici giudiziari, sentiti i dirigenti amministrativi, di stabilire la riduzione dell’orario di apertura al pubblico, in relazione alle attività non strettamente connesse ad atti e attività urgenti.

2. Misure applicabili nelle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto e nelle province di Pesaro e Urbino e di Savona

Per tali regioni e province si stabilisce quanto segue:

  • la sospensione degli eventi e delle competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, sino all’8 marzo 2020, in luoghi pubblici o privati, a meno che non si svolgano “a porte chiuse”. Restano consentite le sessioni di allenamento, sempre “a porte chiuse”;
  • il divieto di trasferta organizzata dei tifosi residenti nelle stesse regioni e nelle province di Pesaro e Urbino e di Savona, per assistere a eventi e competizioni sportive che si svolgano nelle restanti regioni e province;
  • la sospensione, sino all’8 marzo 2020, di tutte le manifestazioni organizzate, di carattere non ordinario, nonché degli eventi in luogo pubblico o privato, ivi compresi quelli di carattere culturale, ludico, sportivo e religioso, anche se svolti in luoghi chiusi ma aperti al pubblico, quali, a titolo d’esempio, grandi eventi, cinema, teatri, discoteche, cerimonie religiose;
  • è consentito lo svolgimento delle attività nei comprensori sciistici a condizione che il gestore provveda alla limitazione dell’accesso agli impianti di trasporto chiusi assicurando la presenza di un massimo di persone pari ad un terzo della capienza (funicolari, funivie, cabinovie, ecc.);
  • l’apertura dei luoghi di culto è condizionata all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro;
  • la sospensione, sino all’8 marzo 2020, dei servizi educativi dell’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché della frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, comprese le Università e le Istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica, di corsi professionali, master, corsi per le professioni sanitarie e università per anziani, ad esclusione dei medici in formazione specialistica e tirocinanti delle professioni sanitarie, salvo la possibilità di svolgimento a distanza;
  • la sospensione delle procedure concorsuali pubbliche e private, ad esclusione dei casi in cui venga effettuata la valutazione dei candidati esclusivamente su basi curriculari e/o in maniera telematica, nonché ad esclusione dei concorsi per il personale sanitario, ivi compresi gli esami di Stato e di abilitazione all’esercizio della professione di medico chirurgo, e di quelli per il personale della protezione civile;
  • lo svolgimento delle attività di ristorazione, bar e pub, a condizione che il servizio sia espletato per i soli posti a sedere e che, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei locali, gli avventori siano messi nelle condizioni di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro;
  • l’apertura delle attività commerciali diverse da quelle di ristorazione, bar e pub, condizionata all’adozione di misure organizzative tali da consentire un accesso ai predetti luoghi con modalità contingentate o comunque idonee a evitare assembramenti di persone, tenuto conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei locali aperti al pubblico, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza di almeno un metro tra i visitatori;
  • l’apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura, a condizione che assicurino modalità di fruizione contingentata o comunque tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei locali aperti al pubblico, e tali che i visitatori possano rispettare la distanza tra loro di almeno un metro;
  • la limitazione dell’accesso dei visitatori alle aree di degenza, da parte delle direzioni sanitarie ospedaliere;
  • la rigorosa limitazione dell’accesso dei visitatori agli ospiti nelle residenze sanitarie assistenziali per non autosufficienti;
  • la sospensione dei congedi ordinari del personale sanitario e tecnico, nonché del personale le cui attività siano necessarie a gestire le attività richieste dalle unità di crisi costituite a livello regionale;
  • l’obbligo di privilegiare, nello svolgimento di incontri o riunioni, le modalità di collegamento da remoto con particolare riferimento a strutture sanitarie e sociosanitarie, servizi di pubblica utilità e coordinamenti attivati nell’ambito dell’emergenza COVID-19.

3. Misure applicabili nelle province di Bergamo, Lodi, Piacenza e Cremona

Per tali province si stabilisce la chiusura nelle giornate di sabato e domenica delle medie e grandi strutture di vendita e degli esercizi commerciali presenti all’interno dei centri commerciali e dei mercati, ad esclusione delle farmacie, delle parafarmacie e dei punti vendita di generi alimentari.

4. Misure applicabili nella regione Lombardia e nella provincia di Piacenza

In tali territori si applica altresì la misura della sospensione delle attività di palestre, centri sportivi, piscine, centri natatori, centri benessere, centri termali (fatta eccezione per l’erogazione delle prestazioni rientranti nei “livelli essenziali di assistenza”), centri culturali, centri sociali, centri ricreativi.

5. Misure applicabili sull’intero territorio nazionale

Nell’ambito dell’intero territorio nazionale si stabilisce:

  • la possibilità che la modalità di “lavoro agile” sia applicata, per la durata dello stato di emergenza, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, anche in assenza degli accordi individuali previsti;
  • la sospensione fino al 15 marzo dei viaggi d’istruzione, delle iniziative di scambio o gemellaggio, delle visite guidate e delle uscite didattiche comunque denominate, programmate dalle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, con la previsione del diritto di recesso dai contratti già stipulati;
  • l’obbligo, fino al 15 marzo, della presentazione del certificato medico per la riammissione nelle scuole di ogni ordine e grado per assenze dovute a malattia infettiva;
  • la possibilità, per i dirigenti scolastici delle scuole nelle quali l’attività didattica sia stata sospesa per l’emergenza sanitaria, di attivare, sentito il collegio dei docenti e per la durata della sospensione, modalità di didattica a distanza avuto anche riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità;
  • lo svolgimento a distanza, ove possibile e avuto particolare riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità, delle attività didattiche o curriculari nelle Università e nelle Istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica nelle quali non è consentita la partecipazione degli studenti alle stesse, per le esigenze connesse all’emergenza sanitaria;
  • la proroga dei termini previsti per il sostenimento dell’esame di guida in favore dei candidati che non hanno potuto effettuarlo a causa dell’emergenza sanitaria;
  • l’idoneo supporto delle articolazioni territoriali del Servizio sanitario nazionale al Ministero della giustizia, anche mediante adeguati presidi, al fine di garantire i nuovi ingressi negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni.

Inoltre, il testo prescrive, per l’intero territorio nazionale, ulteriori misure di informazione e prevenzione:

  • il personale sanitario si attiene alle misure di prevenzione per la diffusione delle infezioni per via respiratoria e applica le indicazioni per la sanificazione e la disinfezione degli ambienti previste dal Ministero della salute;
  • nei servizi educativi per l’infanzia, nelle scuole di ogni ordine e grado, nelle università, negli uffici delle restanti pubbliche amministrazioni sono esposte presso gli ambienti aperti al pubblico, ovvero di maggiore affollamento e transito, le informazioni sulle misure di prevenzione rese note dal Ministero della salute;
  • nelle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nelle aree di accesso alle strutture del servizio sanitario, nonché in tutti i locali aperti al pubblico, sono messe a disposizione degli addetti, nonché degli utenti e visitatori, soluzioni disinfettanti per il lavaggio delle mani;
  • i sindaci e le associazioni di categoria promuovono la diffusione delle informazioni sulle misure di prevenzione igienico sanitarie presso gli esercizi commerciali;
  • le aziende di trasporto pubblico anche a lunga percorrenza adottano interventi straordinari di sanificazione dei mezzi;
  • nello svolgimento delle procedure concorsuali pubbliche e private, ove ne sia consentito l’espletamento, devono comunque essere assicurate modalità tali da evitare assembramenti di persone;
  • chiunque abbia fatto ingresso in Italia, a partire dal quattordicesimo giorno antecedente la data di pubblicazione del presente decreto, dopo aver soggiornato in zone a rischio epidemiologico, come identificate dall’Organizzazione mondiale della sanità, o sia transitato o abbia sostato nei comuni della “zona rossa”, deve comunicare tale circostanza al proprio medico di medicina generale, al pediatra di libera scelta o ai servizi di sanità pubblica competenti, che procedono di conseguenza, secondo il protocollo previsto in modo dettagliato dallo stesso dpcm odierno.

Con l’entrata in vigore di questo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, infine, cessa la vigenza di tutti quelli precedenti, adottati in attuazione del decreto-legge 3 febbraio 2020, n. 6.

Nel complesso, oltre al dpcm odierno, i provvedimenti attualmente vigenti, approvati dal Governo in seguito all’emergenza sanitaria internazionale, sono i seguenti:

  • decreto-legge, in corso di pubblicazione, approvato dal Consiglio dei ministri del 28 febbraio 2020, con prime misure economiche urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese;
  • decreto-legge del 23 febbraio 2020, n. 6, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, che introduce misure urgenti in materia di contenimento e gestione delle emergenze epidemiologiche a livello nazionale, attuato con il dpcm odierno;
  • delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 di dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili;
  • ordinanza del Ministro della salute del 30 gennaio 2020 relativa al blocco dei voli diretti da e per la Cina.

Infine, il Governo sta elaborando ulteriori misure, di prossima approvazione, per il sostegno economico ai cittadini, alle famiglie e alle imprese, connesse all’emergenza sanitaria per la diffusione del COVID-19, e più globalmente per la crescita economica del Paese.

Emergenza Coronavirus: ulteriori provvedimenti per la scuola, l’università e l’AFAM

Emergenza Coronavirus: ulteriori provvedimenti per la scuola, l’università e l’AFAM

Varato un nuovo DPCM: chiusura delle scuole in 11 comuni, sospensione delle attività didattiche nelle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna e nelle province di Pesaro e Urbino e Savona fino all’8 marzo.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri in accordo con i governatori di tutte le regioni, ha varato un altro DPCM nella giornata del 1 marzo 2020 che in sostanza proroga gli effetti del decreto precedente, anche se il disposto articola alcune differenze:

Settore scolastico

  1. chiusura delle scuole statali e paritarie, asili comunali, sedi di formazione professionale, sedi universitarie in 11 comuni (10 in Lombardia e 1 in Veneto)
  2. nelle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna e nelle province di Pesaro e Urbino e Savona è prevista la sospensione fino all’8 marzo dei servizi educativi per l’infanzia, dell’attività didattica nelle scuole di ogni ordine e grado
  3. provvedimenti per tutto il territorio nazionale:
  • sospensione delle gite e dei viaggi di istruzione fino al 15 marzo con la possibilità di rimborso per causa di forza maggiore in base all’articolo 41 comma 4 del Codice del Turismo
  • il Ministero dell’Istruzione con una faq ha chiarito che la sospensione riguarda anche i percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO) in quanto queste attività sono assimilate alle uscite didattiche
  • obbligatorietà del certificato di riammissione per chi rientra nelle scuole dopo assenze di 5 giorni per malattia, anche in deroga alla normativa vigente, fino al 15 marzo.
  1. nei servizi educativi per l’infanzia, nelle scuole di ogni ordine e grado, nelle università, negli uffici delle restanti pubbliche amministrazioni esposizione presso gli ambienti aperti al pubblico, ovvero di maggiore affollamento e transito, delle informazioni sulle misure di prevenzione rese note dal Ministero della salute di cui all’allegato 4 (misure igieniche).

Queste ulteriori disposizioni, dunque, che in parte prorogano quelle già adottate, presentano maggiori specificazioni geografiche legate ad un quadro più preciso della situazione d’emergenza.
L’articolo 4 del DPCM promuove il “lavoro agile” in tutto il territorio nazionale.
In tale situazione, soprattutto nelle zone ritenute a maggiore sensibilità al contagio tale da giustificare la chiusura delle scuole o la sospensione delle lezioni, è opportuno che l’organizzazione del lavoro del personale scolastico sia finalizzata all’espletamento dei servizi che si possono ritenere indispensabili a tutela degli interessi degli stessi lavoratori (pratiche pensionistiche, assunzioni in ruolo, certificazioni urgenti, scadenze indifferibili).
A tal fine continuano ad essere molto utili le indicazioni del Ministero dell’Istruzione e della Direttiva 1 del Ministero della Funzione Pubblica al punto 3, soprattutto in considerazione dei potenziali rischi a cui possono essere esposti lavoratrici e lavoratori (fra questi quelli legati alla mobilità, l’uso di mezzi pubblici) ed ai disagi sociali provocati dalle disposizioni emergenziali di queste ultime due settimane. In particolare è consigliabile adottare:

  • per docenti e alunni didattica a distanza nelle forme possibili,
  • per gli insegnanti riunioni collegiali a distanza,
  • per il personale ATA, riduzione al minimo delle presenze in ore ben circoscritte della giornata.

Occorre favorire in ogni caso forme di flessibilità e lavoro agile in particolare per il personale affetto da patologie o che debba accudire i figli in conseguenza alla sospensione delle attività negli asili e nelle scuole dell’infanzia o assistere i familiari.
Riteniamo inoltre importante che sia avviata, anche con mezzi non tradizionali, come la posta elettronica o la videochiamata, un’interlocuzione fra il dirigente scolastico e la RSU al fine di convenire le modalità più idonee sia per il personale ATA sia per quello docente.

Le presenti indicazioni riguardano anche le scuole non statali e della formazione professionale.

Università e AFAM

Nel DPCM viene ribadito che per lo svolgimento delle attività didattiche nei settori di università e AFAM nelle quali non sono consentite, per esigenze legate all’emergenza sanitaria, le attività didattiche in presenza, le stesse attività possono essere svolte, laddove possibile, con modalità a distanza, avendo particolare cura per le esigenze degli studenti con disabilità. Dopo il ripristino dell’ordinaria funzionalità, dovranno essere assicurati, se necessario e individuandone le modalità, il recupero delle attività formative o delle eventuali prove di verifica funzionali al completamento delle attività didattiche. Le assenze degli studenti determinate dai provvedimenti di contenimento del contagio, non sono computate per l’ammissione agli esami finali e ai fini delle relative valutazioni.

Continuiamo a mantenere interlocuzioni costanti con i Ministeri, per sottoporre ulteriori problematicità anche al fine di ottenere delle linee guida condivise con il sindacato per valutare le problematiche che via via emergeranno. Vedi ad esempio il diritto di recesso per i viaggi di istruzione.

Nota 2 marzo 2020, AOODGOSV 3646

Ai Direttori degli Uffici Scolastici Regionali LORO SEDI
Ai Dirigenti scolastici degli Istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado statali e paritari LORO SEDI
All’Intendente Scolastico per la Scuola in lingua italiana della Provincia di BOLZANO
Al Sovrintendente Scolastico per la Scuola in lingua tedesca di BOLZANO
All’Intendente Scoiastico per la Scuole delle località ladine di BOLZANO
Al Dirigente del Dipartimento Istruzione per la Provincia Autonoma di TRENTO
Al Sovrintendente agli Studi della Regione Autonoma della VALLE D’AOSTA
e.p.c.
Al Capo Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione SEDE
Al Capo Ufficio Stampa SEDE
All’Ufficio di Gabinetto SEDE

OGGETTO: XVI Giornata Nazionale del Risparmio Energetico e degli Stili di Vita Sostenibili – “M’illumino di meno” – Campagna di sensibilizzazione sul risparmio energetico – 6 marzo 2020.

XXIX Settimana Cultura Scientifica e Tecnologica

Nota 27 dicembre 2019, AOOUFGAB 39754
Lancio della XXIX Settimana della Cultura Scientifica e Tecnologica


Che cosa è la Settimana

Scopo della Settimana della Cultura Scientifica e Tecnologica è di mobilitare tutte le competenze e le  energie del Paese per favorire la più capillare diffusione di una solida e critica cultura tecnico-scientifica.
In particolare, la Settimana stimola l’apertura di efficaci canali di comunicazione e di scambio tra l’universo della società civile (che vede in prima fila il mondo della scuola), da un lato, e l’articolato complesso del Sistema Ricerca (università, enti di ricerca pubblici e privati, musei, aziende, associazioni, ecc.), dall’altro.
Si tratta di un compito di importanza decisiva, non solo perché contribuisce alla crescita culturale del Paese, ma anche perché costituisce uno dei presupposti per il pieno esercizio dei diritti democratici dei cittadini, i quali sono chiamati a compiere sempre più spesso scelte (ambiente, genetica, energia, ecc.) che, per essere davvero autonome e responsabili, implicano una solida cultura scientifica di base.
Le Settimane costituiscono anche lo strumento per sperimentare e promuovere l’ambizioso progetto elaborato e sostenuto dal MIUR di dar vita a un sistema nazionale di istituzioni permanenti (musei, centri e città della scienza e della tecnica, università, accademie, ecc.), impegnate nel compito di garantire ai cittadini un’informazione tecnico-scientifica aggiornata e certificata, provvedendo nel contempo alla valorizzazione del patrimonio tecnico-scientifico del quale è ricchissimo il nostro Paese.
La Settimana della Cultura Scientifica e Tecnologica mira in modo del tutto particolare a favorire la partecipazione dei giovani in età scolare alle iniziative in programma. Infatti, è soprattutto ai giovani che possono essere affidate le speranze di un radicale rinnovamento e di un proficuo arricchimento della cultura di base del nostro Paese.
Presso università, industrie, enti pubblici e privati, ecc., vi sono laboratori e musei specialistici che possono mostrare agli studenti l’attività di ricerca scientifica nel nostro Paese, di ieri e di oggi. I giovani potranno osservare direttamente gli strumenti di lavoro, le esperienze e le attività di ricerca e incontrare i ricercatori. Ne può quindi risultare un’esperienza importante per i giovani,  capace di influenzare anche le loro scelte future, offrendo un orientamento verso un indirizzo preciso, di studio e di lavoro.
L’iniziativa nazionale delle Settimane (che ha offerto il modello alle Settimane Europee della Cultura Scientifica, promosse nel 1993 dalla CEE per iniziativa del Commissario Europeo per la Ricerca, Antonio Ruberti) si avvale del determinante contributo dei numerosissimi soggetti pubblici e e privati che mettono in cantiere annualmente numerosi eventi offerti al pubblico, nonché dell’incoraggiamento, del supporto e del coordinamento, su scala locale e regionale, che può essere garantito dalle Regioni, dalle amministrazioni comunali e provinciali.

Che cosa offre il programma della Settimana

Convegni e seminari su temi di storia delle scienze e delle tecniche, di attualità scientifica, di riflessione sui fondamenti delle scienze e sulle implicazioni etico-politiche della ricerca scientifica e tecnologica; iniziative di orientamento sul ruolo dei media per la diffusione della cultura tecnicoscientifica, sui metodi per garantire l’aggiornamento permanente degli insegnanti e per far crescere e qualificare il tasso di cultura tecnico-scientifica nel mondo della scuola; riflessioni e sperimentazioni sul ruolo e sui sempre più vasti campi di applicazione delle nuove tecnologie (per la tutela dei beni culturali, per la didattica e la formazione, per la salute e il recupero dell’handicap, ecc.); manifestazioni destinate ad approfondire il tema del rapporto tra diffusione della cultura tecnico-scientifica e crescita delle opportunità di occupazione per i giovani.
Mostre, filmati, cicli di conferenze, forum telematici ecc., su temi di divulgazione scientifica, anche in prospettiva storica.
Presentazione di nuovi progetti, allestimenti, servizi (aperture straordinarie, visite guidate, ecc.)o pacchetti didattici presso i musei scientifici (tecnico-scientifici, naturalistici, medici, etno-antropologici, storici ), gli orti botanici e i parchi naturali, le scuole  e gli istituti di ogni ordine e grado che possiedano gabinetti scientifici d’interesse storico e didattico.
“Laboratori aperti” presso le strutture universitarie di ricerca, gli enti di ricerca e le imprese pubbliche e private impegnate nell’innovazione.
Corsi di aggiornamento per insegnanti su tematiche di frontiera della ricerca scientifico- tecnologica.
Programmi di turismo scientifico per le scuole di ogni ordine e grado; iniziative e manifestazioni nel campo della cultura e dell’educazione ambientale.
Mostre, spettacoli teatrali, musicali e multimediali nel campo delle arti visive e “minori”, nell’ambito delle relazioni arti-scienza, storia-scienza e società-scienza, sulle “immagini” della scienza e della tecnica nell’arte, nella letteratura, nella storia e in generale su questioni interdisciplinari.
Qualunque altra manifestazione o forma di comunicazione suggerita dalla creatività dei proponenti, purché efficace in funzione dell’obiettivo di divulgare una seria cultura tecnico-scientifica di base.

Indicazioni per gli organizzatori delle manifestazioni della Settimana 

Per poter partecipare alla XXIX Settimana occorrerà inserire i dati relativi alle manifestazioni, dalle ore 10.00 del 17 febbraio alle ore 12.00 del 28 febbraio 2020, secondo le indicazioni contenute nella guida scaricabile all’indirizzo https://sirio-miur.cineca.it
Insieme ai dati informativi sarà possibile inserire testi e foto.
Si ricorda inoltre che,nell’ambito della propria autonomia, i soggetti proponenti le singole iniziative sono responsabili  della correttezza dell’informazione prodotta e si assumono interamente gli oneri finanziari di organizzazione e promozione.
E’ dunque necessario:

  • Presentare iniziative appropriate, per contenuti, per metodologie divulgative e per capacità di coinvolgere un vasto pubblico, in coerenza con gli obiettivi culturali della Settimana;
  • Ricercare il massimo coinvolgimento degli insegnanti e degli studenti, a tal fine si raccomanda di predisporre, ove possibile, materiali didattici.  

Prove di smantellamento

Francesco G. Nuzzaci

Tra le pieghe dell’emergenza del Coronavirus si sono registrati due concomitanti eventi.

1. Il primo riguarda un disegno di legge sull’abolizione della chiamata diretta o chiamata per competenze dei docenti, la cui titolarità la legge 107/15 l’ha incardinata negli ambiti territoriali: a giudizio della sua proponente pentastellata, nell’intervista concessa a Orizzontescuola il 19 luglio 2019, “un dispositivo che conferisce ai dirigenti scolastici di fatto la possibilità di ingerirsi nella libertà di insegnamento di ciascun docente, tutelata dalla costituzione”.

Acquisita l’approvazione del Senato, con le “reazioni dei sindacati confederali e dei sindacati di base più che positive”, e passato all’esame della Commissione cultura della Camera dei deputati, pare però essere destinato all’archiviazione. Ciò nonostante, non vi sarebbe motivo per dolersene più di tanto, neanche per i Partigiani della scuola pubblica, di cui la docente e ora senatrice della Repubblica è stata membro attivo; che – delusi – pretendono le dimissioni della ministra Azzolina e del presidente della Commissione Luigi Gallo, anch’essi appartenenti al medesimo Movimento politico.

Non vi sarebbe motivo, poiché  tale istituto – insieme ad altri che intendevano qualificare l’aborrita tecnocratica legge renziana – è già stato fatto indirettamente defungere dal comma 796, articolo unico, della legge 145/18 (legge di bilancio per il 2019). Recita infatti il predetto comma che “a decorrere dall’anno scolastico 2019/2020 le procedure di reclutamento del personale docente e quelle di mobilità territoriale e professionale del medesimo personale non possono comportare che ai docenti sia attribuita la titolarità su ambito territoriale”: con una copertura legale ex post dell’abusiva disapplicazione lucrata dal CCNI sulla mobilità, susseguente all’accordo tra l’allora ministro Bussetti e i sindacati della scuola, e dovendosi comunque prendere atto che esso – meramente opzionale per i dirigenti scolastici – risulta essere stato  messo in pratica in misura marginale per le oggettive difficoltà derivanti dai vincoli di sistema.

2. Analoga sorte aveva investito il c.d. bonus premiale: suo depotenziamento e confluenza nell’indistinto fondo  per il miglioramento dell’offerta formativa – che raccoglie tutte le risorse rimesse alla contrattazione decentrata d’istituto –  ad opera del CCNL di comparto del 19 aprile 2018, con successiva sanatoria della legge di bilancio per il 2020 (comma 249, articolo unico, legge 160/19), che in più ne consente testualmente l’accessibilità all’intero personale della scuola, docente e ATA, a tempo indeterminato e a tempo determinato.

E lo stesso è a dirsi per quel che sarebbe ancora “da rivedere”, ovvero “la parte relativa alle prerogative degli organi collegiali che sicuramente devono recuperare spazio nelle scelte inerenti alla didattica e all’offerta formativa rispetto al dirigente scolastico che ancora determina le linee di indirizzo della scuola”.

Abbiamo non infrequentemente avuto modo, in questa rivista e altrove, di evidenziare la non necessaria enfasi posta dalla legge 107/15 sulla figura del dirigente scolastico e apprezzato, nella versione finale, gli opportuni correttivi di primigenie disposizioni inutilmente muscolari. Resta, indubbiamente, l’anomalia che sottrae per tabulas al Consiglio d’istituto, attribuendolo al dirigente scolastico, il potere di indirizzo politico, relativo alle scelte generali e/o alle priorità dell’istituzione scolastica, pur nel rispetto dei vincoli nazionali e nei limiti di bilancio. Senonché, a una più attenta lettura del testo, l’anomalia si rivela più apparente che reale; e – prendendosi spunto da un passaggio del Piccolo principe – l’essenziale si rende visibile agli occhi.

Difatti, spetta al Consiglio d’istituto l’approvazione del Piano triennale dell’offerta formativa, così come la sua possibile revisione annuale. Il che significa che la determinazione volitiva finale, intestata al Consiglio d’istituto, non può tradursi in una semplice presa d’atto di una decisione autocratica del dirigente. Sicché, per evitare di impantanarsi in un conflitto defatigante, se non paralizzante, con il Consiglio d’istituto – sino a quando lo stesso non debba essere sciolto dall’Ufficio scolastico regionale, con contestuale nomina di un commissario ad acta (oppure fino a quando non debba piuttosto il dirigente scolastico essere trasferito altrove per conclamata incompatibilità ambientale) –, il lemma approvato deve intendersi, ragionevolmente, inclusivo di un preliminare accordo su quello che è “il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, educativa e organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia”.

La pari necessità di previe interlocuzioni  e di un’adeguata istruttoria, prima dell’emanazione dell’atto di indirizzo, vale nei confronti del Collegio dei docenti; che altrimenti – e a prescindere da tutt’altro che ipotetiche sue resistenze – potrebbe trovarsi nella situazione di dover elaborare il – complesso, articolato, plurale – piano triennale dell’offerta formativa sulla base di non condivise decisioni unilaterali e autoritative.

Così come vale per i mancati contatti, incontri, negoziazioni – sempre sulla bozza, scritta a matita, dell’atto d’indirizzo – con “gli enti locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti sul territorio”, che il dirigente scolastico deve necessariamente “promuovere”; così come deve tenere “altresì conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori e, per le scuole secondarie di secondo grado, degli studenti”.

A parte l’esplicito e inequivoco dettato normativo, dovrà egli poi ricordare che tra gli elementi-criteri-parametri della sua valutazione sono inclusi la “direzione unitaria della scuola, promozione della partecipazione e della collaborazione tra le diverse componenti della comunità scolastica, dei rapporti con il contesto sociale e nella rete di scuole” e, non meno, “l’apprezzamento del proprio operato all’interno della comunità professionale e sociale” (comma 93).

Dunque, lo spazio degli organi collegialiè già tutto a loro – più che libera – doverosa disposizione.

Rimarrebbe ancora in piedi la facoltà del dirigente di assegnare i docenti a posto comune o di potenziamento. E qui l’intervistata aggiunge di aver presentato un – risolutivo – “altro disegno di legge, fondamentale per prevenire fenomeni di mobbing all’interno delle scuole e casi di burnout nei docenti sui reclami stragiudiziali avverso i provvedimenti dei dirigenti scolastici”.

3. Elaborato al tempo della maggioranza giallo-verde del Conte 1, pensavamo che si fosse volatilizzato come le labili foglie al vento d’autunno, e di non doverne più parlare. E invece no, avendo appreso ieri l’altro che ha avuto avvio, nella Commissione Istruzione al Senato, la sua discussione.

Reca l’anodino titolo di “Modifica all’articolo 25 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di reclamo al dirigente preposto all’ufficio scolastico regionale”,ma  la sua traduzione è  Ricorso rapido contro il preside-sceriffo.

Se, in luogo di essere mandato al macero, dovesse tradursi in legge, l’attuale assetto (non più) autonomistico delle istituzioni scolastiche risulterebbe stravolto dalle fondamenta e, a fortiori, verrebbe meno la giustificazione della qualifica dirigenziale di chi non avrebbe più ragione di fregiarsene. E non è neanche questo il punto.

Sotto l’ipocrita foglia di fico della “tutela deflattiva del contenzioso” – come si legge nella relazione di accompagnamento – sono sì “fatti salvi” i commi da 1 a 4 del predetto articolo (qui ininfluenti i successivi 5-11), riguardanti i poteri attribuiti alla dirigenza scolastica. Ma sono poi in fatto neutralizzati dall’aggiunta dei commi 11-bis, ter, quater, quinquies e sexies: al di cui tenore, “avversotutti gli atti di gestione del rapporto di lavoro e i provvedimenti emanati dal dirigente scolastico”, compresi quelli disciplinari, di formazione delle classi, loro assegnazione ai docenti (e ovviamente su posto comune o sul potenziamento) … e  via delirando, entro cinque giorni dalla pubblicazione all’albo o dalla notifica agli interessati, “è ammesso un reclamo motivato al dirigente preposto all’ufficio scolastico regionale”.

Questi, entro il successivo termine perentorio di quindici giorni, in caso di accoglimento annulla o sostituisce l’atto o il provvedimento impugnato e lo comunica altresì all’Ufficio per i procedimenti disciplinari perché si attivi in caso d’inerzia del dirigente scolastico nell’eseguire la decisione. Decisione resa “su parere conforme” di una costituenda commissione di tre – oggi, e presumibilmente per almeno un lustro, introvabili – dirigenti tecnici. Che, si suppone in via esclusiva e dilatando oltre ogni ragionevole misura il proprio orario di lavoro, dovrebbero passare in filigrana tutti gli eterogenei atti di gestione dei de-dirigenzializzati ex-colleghi di pari seconda fascia e posti sotto loro tutela: dalla sanzione disciplinare inflitta, al contestato provvedimento che sposti un collaboratore scolastico in un diverso padiglione dell’edificio, o che abbia sottratto a una inviperita docente l’aula in cui si sia annidata da tempo immemore.

Subito è giunto il plauso di una sigla sindacale rappresentativa nel comparto ad augurarsi  che il provvedimento sia approvato senza stravolgimenti, per frenare  gli abusi “in numerose occasioni commessi da alcuni presidi nei confronti dei docenti”, così giustificando la “necessità di modificare il sistema”. E, nella circostanza, si ricorda la circolare con cui l’USR della Toscana, in seguito a due ordinanze della Corte di cassazione, ha ammonito i dirigenti scolastici dal sospendere dal servizio i docenti, sottolineando che la competenza per questo tipo di sanzione disciplinare spetta ai preposti uffici di ciascun Ambito territoriale.

Verrebbe di affermare: non provate a capire, il tutto è irrimediabilmente senza senso.

Dal primo settembre 2020 avremmo in servizio permanente effettivo diciotto, al momento chimeriche, triadi a sbrogliare, in media, un contenzioso di circa quattrocentocinquanta istituzioni scolastiche; e che, nella sostanza, saranno preposte a dirigerle in remoto, quindi anche dopo che riuscirà debellato il morbo venuto dalla Cina.

E passi pure, perché può esserci una lucida follia, di intrinseca coerenza, nella perdurante ossessione nei confronti dei satrapi dirigenti scolastici.

Ma è solo il frutto di una spaventosa superficialità non realizzare che il contenzioso, in luogo di deflazionarsi, lieviterebbe in misura esponenziale, potendosi contare su uno strumento veloce, a costo zero, direttamente azionabile senza doversi rivolgere a un legale e sempre impregiudicato il ricorso al giudice del lavoro. Con quale funzionalità delle istituzioni scolastiche lasciamo al giudizio di chi voglia mettere in moto quei meccanismi di riflessione, e anche d’inibizione, che gli umani denominano pensiero.

4. Potrebbe però funzionare, e la conflittualità nella scuola risolversi come d’incanto, qualora “il preside” dismetta le vesti di dirigente pubblico preposto in posizione apicale a una “pubblica amministrazione” (art. 1, comma 2, D. Lgs. 165/01), a un tempo ente dotato di una propria soggettività giuridica, ma entro i limiti dell’autonomia funzionale, e organo dello Stato, cioè di un più vasto apparato amministrativo deputato alla produzione di un pubblico servizio su tutto il territorio nazionale; suo rappresentante legale e responsabile esclusivo, in termini di giuridica esigibilità, della efficiente-efficace-economica progettazione ed erogazione di un’offerta formativa di qualità e inclusiva, perciò soggiacente all’esplicito “obbligo di adottare procedure e strumenti di verifica e valutazione della produttività scolastica e del raggiungimento degli obiettivi”,costituenti parametri – e limiti – alla stessa “libertà d’insegnamento” (art. 21, comma 9, legge 59/97): ben prima che si affacciasse sulla scena l’aborrita performance brunettiana, col sequitur della non meno repellente legge 107.

Le dismetta, per indossare quelle di membro di una fantasiosa autoconsistente “comunità educante”, esercitandovi “in forma differenziata l’unicità della funzione docente”:formula, tanto suggestiva quanto oscura, coniata mezzo secolo fa e inopinatamente oggi assurta a valore pseudo-normativo.

Vi agirebbe come primus inter pares, aquesto punto meglio legittimato da un’elezione diretta e ad tempus, concorrendo alla celebrazione dei riti di una democrazia scolastica quale fine in sé, ovvero libera di scegliersi i fini in assoluta autoreferenzialità, sciolta da qualsivoglia vincolo che non sia quello che, sovranamente, si determini di autoimporsi.

E, a ben riflettere, neanche qui difetterebbe la logica: nella misura in cui impone la coerente, e stringente, conseguenza della formale abolizione di una dirigenza segnata alla nascita dall’indelebile stigma di figlia di un dio minore ad opera del preistorico CCNL di comparto del 03.04.1995, il cui articolo 32 istituì la “distinta area della specifica dirigenza scolastica nell’ambito del comparto scuola, non assimilabile alla dirigenza regolata dal decreto legislativo 29/93”.

E’ il ceppo virulento su cui impetu legis (articolo 21, comma 16 del D. Lgs. 165/01) si è poi innestata la sublime “specificità” della quinta area contrattuale, dopo vent’anni riprodotta sotto le mentite spoglie di un’apposita sezione del – fintamente – comune CCNL Istruzione e Ricerca: sempre una sorta di retrobottega per farvi stazionare un sottoprodotto  altrimenti a rischio di infettare le altre dirigenze vere, quelle che a tutt’oggi godono di una retribuzione doppia rispetto ai colleghi – si fa per dire – aggettivati, e senza condividerne la congerie delle innumerevoli responsabilità.

Coronavirus, ma la scuola non si ferma

da la Repubblica

Non è una decisione che si può prendere facilmente quella di chiudere le scuole. Anche solo un giorno. Quando i giornali pubblicano titoli del tipo: “Sciopero dei docenti. Scuole chiuse”, non è mai vero. I presidi sono tenuti a mettere in atto tutte le misure organizzative possibili per assicurare la sorveglianza degli studenti senza chiudere le scuole. Solo quando l’adesione di docenti o collaboratori è così massiccia che in nessun modo si può assicurare l’incolumità dei ragazzi dentro le aule, è possibile chiudere, ma solo i plessi scoperti. Il preside deve fare una determina motivata, in cui indica come e perché è costretto a sospendere le lezioni. Le scuole chiuse rappresentano quindi nella realtà e nel simbolo l’eccezionalità del momento, anche perché in questi giorni non solo sono sospese le lezioni, ma sono chiuse anche le segreterie. A memoria di chi sta nella scuola, non è mai capitato, nemmeno con le nevicate eccezionali del 1985.

Finora si è trattato di due (primo ciclo) o tre giorni (superiori e università). Praticamente un ponte con le vacanze di Carnevale. Ora per Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia si tratta di una settimana intera. È un periodo significativo che ha un impatto importante sul piano della riorganizzazione familiare e, per la novità, anche sull’organizzazione della didattica e della scuola stessa. Una settimana o due non rappresentano una tragedia per i programmi purché la scuola riesca a mantenere il legame con il processo di apprendimento.

“Lasciar cadere” questi giorni vuol dire perdere l’opportunità di verificare quanto le scuole si sanno attrezzare per una didattica che possa dare continuità all’apprendimento, anche a distanza, con modalità e strumenti che ci sono già e che sono conosciuti e apprezzati dagli studenti. Si può fare. Per situazioni particolari come la malattia prolungata di uno studente, più o meno tutte le scuole sono in grado di farlo, anche perché si ingaggiano i docenti su base volontaria e di solito si prestano i tecnologicamente più attrezzati. Un tempo non era così, adesso invece sì.

Ora però si tratta di organizzare una didattica a distanza strutturata, coinvolgendo in modo sistematico e ordinario tutti i docenti e gli studenti. Le scuole che hanno già messo a regime modalità di didattica a distanza stanno lavorando senza difficoltà. Sembrano meglio attrezzate le università. Gli altri livelli di scuola si muovono a spot. Il Miur ha organizzato un gruppo di supporto per le scuole che vogliono sperimentarla, in corsa, vista l’emergenza, invitando a collaborare “i produttori di hardware e software che desiderano rendere disponibili a titolo gratuito i propri prodotti”. In realtà è qualcosa che non si può improvvisare e che non potrà essere senza costi, come chiede il ministero, ma la strada sarà questa e i giorni particolari che stiamo vivendo ci dicono che si deve percorrerla con saggezza.

Coronavirus, Invalsi al via nelle quinte superiori. Nuovo calendario per le scuole chiuse

da Corriere della sera

Si comincia lunedì 2 marzo: fino al 31 marzo le classi quinte di tutte le scuole superiori d’Italia saranno impegnate a turno con le prove Invalsi. Da quest’anno sono obbligatorie per accedere alla Maturità. Ma il loro risultato non fa media. Con una decisione a sorpresa contenuta nella legge Milleproroghe la maggioranza ha deciso che quelle dell’ultimo anno di scuola superiore non verranno però inserite nel curriculum dello studente. Dunque al momento, solo i risultati delle prove di terza media sono consegnate agli studenti alla fine dell’anno e devono essere portate nelle scuole superiori al momento dell’iscrizione. Per quanto riguarda la quinta superiore si tratta di prove al computer di italiano, matematica e inglese.

Rinvio per l’emergenza

Per le classi che non sono a scuola nel giorno previsto dal calendario Invalsi a causa dell’emergenza coronavirus, l’Invalsi provvederà a riprogrammare i test appena possibile: «Siamo in grado di modificare il calendario scuola per scuola, dunque non c’è nessun problema per gli studenti», spiega il direttore Roberto Ricci.

Così funzionano le lezioni a distanza

da Corriere della sera

Valentina Santarpia

In quattro giorni di chiusura, gli studenti dell’istituto superiore Savoia Benincasa di Ancona, una delle scuole fondatrici delle Avanguardie educative, non si sono persi (quasi) nessuna lezione: l’89% dei docenti è riuscito a completare le ore come da programma. Lavagne in condivisione, documenti scaricabili sulla piattaforma gratuita, esercizi collaborativi: l’istituto, che raccoglie studenti di liceo scientifico, linguistico e tecnico economico, è l’esempio ideale di come dovrebbe funzionare la didattica a distanza, che in questi giorni sta diventando fondamentale per le chiusure da coronavirus. «Abbiamo avuto una risposta altissima di cui sono molto felice — ammette Alessandra Rucci, 55 anni, preside di questa scuola da 13 —. Ma non si improvvisa, è frutto di 10 anni di lavoro e pazienza».

Anche il presidente dell’Associazione dei presidi italiani, Antonello Giannelli, sottolinea: «Non abbiamo un sistema, ma tanti esempi virtuosi: dobbiamo far sì che questa situazione diventi un pungolo». E allora, da dove si parte? Il ministero dell’Istruzione si è attivato nei giorni scorsi, con una task force. «Conto di avere per lunedì sul nostro sito una piattaforma dedicata», ha assicurato la ministra Lucia Azzolina, lanciando subito due call per tutte le realtà pubbliche o private che vogliano mettere a disposizione gratis soluzioni tecnologiche, di software e di hardware.

E chi non sa come muoversi potrà fare gemellaggi con scuole che hanno già un’esperienza solida, partendo da un presupposto: in base alle fasce d’età, gli studenti possono essere coinvolti in modi diversi. «Per i bambini della primaria bisogna pensare a modalità semplici, che non richiedano molto impegno e non abbiano bisogno di un account personale», spiega Marina Lodigiani, educatrice di ImparaDigitale. «L’ideale è creare una bacheca virtuale condivisa, in cui i bimbi possano entrare senza una registrazione e da cui scaricare audio, video o schede. Dalla scuola secondaria di I grado in poi i ragazzi sono più autonomi, e allora si può creare una classe, con Google suite for education o Microsoft. È come ci fosse una stanza virtuale dove il docente può far entrare solo gli studenti che hanno l’account protetto. I ragazzi, dotati di webcam e microfono, possono partecipare alle lezioni. Chi parla è messo in primo piano in automatico, e il docente può silenziare gli altri per non creare baccano, o invece farli partecipare alla discussione, o anche condividere il suo schermo per mostrare qualcosa alla lavagna. La registrazione poi può essere salvata e rivista. In parallelo, il registro elettronico può essere usato dai docenti per lasciare materiali ai ragazzi, che possono scaricarli, completarli e restituirli online».

Tutto perfetto? Non proprio. Ci sono elementi problematici che vanno considerati. Il primo è l’autonomia degli studenti, che devono essere in grado di gestire la tecnologia. Il secondo, è la durata e la cadenza delle lezioni. Ad esempio, all’Ungaretti di Melzo, che è una Apple distinguished school, da lunedì hanno suddiviso le lezioni: «Facciamo meeting di tre ore per la primaria, 4 per la secondaria, tutte attraverso la piattaforma Zoom, a cui i ragazzi accedono con l’Id dell’insegnante», spiega la preside Stefania Strignano. Ma un altro nodo è la possibilità per tutti di partecipare: «C’è un 10 per cento di studenti che non raggiungiamo — conferma Lodigiani —. Per motivi di connessione, di competenze, di strumenti. Serve un’assistenza dedicata». Potremmo completare l’anno scolastico in versione virtuale? «Credo di no — chiude Lodigiani —. Siamo preparati per affiancare la didattica tradizionale a quella virtuale, ma non siamo pronti per sostituirla».

Coronavirus, nuovo decreto: stop certificati da 15 marzo, gite sospese con rimborso

da Orizzontescuola

di redazione

La bozza del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in merito alle nuove disposizioni sull’emergenza Covid-19 prevede alcune novità.

Tra queste la possibilità alternativa di lavoro telematico, gite sospese con rimborso dei pacchetti viaggio e fine – dal 15 marzo – dell’obbligatorietà del certificato medico per la riammissione nelle scuole dopo assenze dovute a malattie infettive.

Coronavirus, nuove misure scuola: deroga 200 giorni validità anno, salvo periodo di prova neoassunti, ATA appalti pulizia, rimborso viaggi istruzione. TESTO BOZZA

Ministra Azzolina mercoledì 4 marzo in audizione

da Orizzontescuola

Dovrebbe svolgersi mercoledì 4 marzo l’audizione della Ministra Azzolina  sulle linee programmatiche del Ministero da lei guidato.

Dopo l’atto di indirizzo politico 2020, come già annunciato, la Ministra esporrà in Parlamento le linee programmatiche.

L’esposizione, già rimandata due volte per emergenze contingenti, dovrebbe avvenire mercoledì 4 marzo.

Il Sen. Pittoni responsabile scuola della Lega e Presidente della VII commissione Cultura pone nuovamente l’accento sulla situazione del precariato docente “Mercoledì prossimo abbiamo Azzolina in audizione. Per l’ennesima volta proveremo a spiegarle la situazione…”